domenica 8 giugno 2014

[Recensione] Dylan Dog Color Fest 12 - Eroi (b): Incubo impossibile



Dylan Dog Color Fest 12 - Eroi (b): Incubo impossibile

Storia di Luigi Mignacco e Alfredo Castelli
Arte di Luigi Piccatto e Renato Riccio
Colori: Overdrive Studio
Premessa

Da quasi un lustro, ormai, il fan di Martin Mystère è abituato ad attendere 9 uscite all'anno (6 bimestrali + Speciale, Almanacco e Storie da Altrove), dato che il Maxi e il Gigante sono defunti rispettivamente nel 2008 e nel 2009. Da allora sono state prodotte anche 4 storie brevi e un racconto in prosa riservato a pochi eletti (più il secondo romanzo di Carlo Andrea Cappi, appena uscito), ma a saziare il mysteriano hanno provveduto soprattutto quelle che nell'Indice Analitico 2002 erano state indicate come "Varie", ovvero le apparizioni estemporanee degli elementi mysteriani su altre testate. Nathan Never e Zagor avevano assorbito il mondo di Mystère già negli anni 1990 e col passare del tempo hanno aumentato il numero di rimandi e citazioni (addirittura Zagor ne ha approfittato per costruire una vera e propria saga, che di fatto è uno spin off di MM e di cui parleremo in un prossimo articolo), ma anche Dylan Dog, di tanto in tanto non si è lasciato sfuggire l'occasione per una qualche allusione al BVZM (nel 2013 si è ricordato di Martin in due occasioni).
Questo preambolo per dire che, oggi, qualunque albo in più targato Mystère fa brodo per il mysteriano, per cui il Dylan Dog Color Fest nr. 12, tutto dedicato ai team-up bonelliani, non può di certo passare inosservato. Tanto più che la sua stessa esistenza basta a riprendere una non-collana giacente immobile da ben tredici anni: stiamo parlando dei Team-up veri e propri (i "Martin Mystère & ..."), albi appositamente realizzati per far incontrare due testate differenti e pubblicati come one-shots. Non comparivano dal lontano 2001, quando il secondo "Martin Mystère & Nathan Never" (Il segreto di Altrove) aveva chiuso un ciclo iniziato il decennio prima. I gusti, e la volontà, di Sergio Bonelli erano ben noti: i team-up dovevano essere il più possibile evitati, al punto che due di essi, inediti e già delineati, erano poi stati costretti alla ritirata sulle testate di partenza. Stiamo parlando della famosa “Scure incantata” (2002), che trasforma Zagor in Za-Te-Nay, e dei “Misteri di Londra” (2004) di Dampyr, ove compare un indagatore dell'incubo londinese che non è Dylan Dog.
Oggi il ritorno degli incontri ufficiali fra protagonisti di serie differenti è una certezza (tanto che per il futuro è già programmato un crossover tra DD & Dampyr), ma per riabituare il lettore a ciò che per i suoi colleghi statunitensi è banale è necessario procedere per gradi. Ecco dunque quattro brevi divertissements che vedono Dylan agire, con modalità non epiche ma più o meno strampalate, con quattro miti del fumetto bonelliano: Jerry Drake alias Mister No, Napoleone, Nathan Never e ovviamente Martin Mystère.


Storia

Inizialmente accreditata ai soli Mignacco e Piccatto, “Incubo impossibile” è la storia che vede il ritorno di quello che forse è IL team-up italiano per definizione, ovvero Dylan Dog & Martin Mystère. Agli autori sono poi stati aggiunti Castelli ai testi e Riccio ai disegni, forse per via di rimaneggiamenti resisi necessari dopo il recente cambio al vertice dylaniato (dal 2013 il curatore è Roberto Recchioni e la storia era in lavorazione già prima). Ora non staremo qui a chiederci cosa abbia scritto Mignacco e cosa abbia aggiunto Castelli, altrimenti si ritorna a “La minaccia di Allagalla”  (Martin Mystère n. 329); possiamo solamente dire che l'avventura imbastita è sicuramente una delusione per quanti si aspettavano qualcosa con un minimo taglio epico o comunque serio. Può invece incontrare qualche apprezzamento da parte di chi aveva capito che, in sole 32 pagine, non sarebbe stato possibile elaborare nulla più di un esercizio di stile. Perché “Incubo impossibile” è proprio questo: un giochino, o, per essere più precisi, una parodia. Parodia di Dylan Dog, com'è ovvio, ma soprattutto di Martin Mystère.
Dov'è il problema? È che, una volta accettato questo, segue l’inevitabile pizzico di delusione nel vedere che le caratteristiche uniche di Martin Mystère finiscono per essere ridicolizzate, invece che valorizzate, sprecando l’occasione di renderlo interessante agli occhi di un pubblico che abitualmente lo ignora. Dopotutto, il Color Fest è anche (soprattutto?) una vetrina in cui esporre personaggi Bonelli meno noti al vastissimo pubblico di una delle punte della casa editrice.
Pur non facendo peggio degli altri tre Eroi in gioco, Martin non riesce a farsi conoscere come è veramente: il detective dell'impossibile non dovrebbe essere un Indiana Jones che scova manufatti inventati in generiche piramidi, manufatti che per puro caso fanno "cose mistiche" (per citare Vincenzo Beretta), come la sfera che permette a Dylan e Martin di scambiare le proprie coscienze. Quella è la versione banale del personaggio, ed è ormai stata vista in svariate occasioni "celebrative", così come ormai le versioni fanservice di Java (che dice "mghr" e mena pugni), di Altrove deus ex machina, degli Uomini in Nero cattivissimi e pronti ad essere picchiati e di Diana "bella dell'eroe" non sono certo quelle più fresche possibili. Si poteva sfruttare lo spazio a disposizione per fare qualcosa di diverso dal solito.
Tuttavia, i dialoghi si rivelano abbastanza spigliati e qua e là molto divertenti (Groucho è in gran forma, d'altronde sia Mignacco che Castelli ai tempi d'oro hanno dimostrato di saperlo maneggiare con profitto), e con i loro sprazzi di lucida follia metafumettistica fanno dimenticare la pressoché inesistenza della trama. Male però il finale, con la scena sentimentale, ovviamente parodia del sentimentalismo a tutti i costi Dylaniato ma in cui Diana è proprio pesce fuor d'acqua, e male il cazzottone dell'ultima tavola, decisamente gratuito.


Arte

Lo stile di Luigi Piccato è ormai da svariati anni eccessivamente stilizzato e squadrato. In questo caso è però coadiuvato da Renato Riccio: il risultato è complessivamente gradevole, per merito anche della vivace colorazione. Martin è disegnato meglio qui che in “Cagliostro!” (Dylan Dog n. 18), l'unico precedente di Piccatto col BVZM. Bene o comunque passabili anche i comprimari di ambo le serie, come Tower, Diana, Lord Wells e madame Trelkovski, male invece Java, spesso trasformato involontariamente (a meno che non sia un effetto voluto anche questo) in un Incredibile Hulk con la gobba.

La copertina di Sara Pichelli offre un Martin molto serioso, completamente antitetico al tono della storia che lo ospita. Il disegno, preso a sé, è comunque di gradevole fattura, in particolar modo nello sguardo del professore.


Le altre storie

Brevi cenni alle altre tre storie, che non riguardano Martin.

“Le radici del Male” (Masiero/Civitelli, col. Luca Bertelè) vede finalmente agire insieme Dylan e Jerry Drake, dopo che i due si erano sfiorati (e forse incontrati, ma non è certo) nella celebre “Ananga!” (Dylan Dog nn. 133-134), quando era stato proprio Martin Mystère a metterli in contatto. Ananga, lo spirito del Male amazzonico, era stato protagonista della prima storia sclaviana con Mister No e si era poi manifestato a Londra, scisso in due metà (positiva e negativa) nella sopracitata avventura dylandoghiana. Non poteva che essere lui il casus belli capace di far interagire i due personaggi. L'idea che Masiero s'inventa per dare il via alla vicenda (il copycat) non è granché, almeno finché non ci si accorge che nel richiamare le due storie di Sclavi l'autore si è ricollegato all'intero corpus sclaviano, e in particolare alla concezione del Male che Sclavi aveva anche esemplificato nella storia omonima (Dylan Dog n. 51). Il Male è qualcosa di immanente e invincibile, giacché è sempre legato al Bene e ha le sue radici nell'essere umano. In questo senso la vignetta finale racchiude perfettamente il senso della storia (che a detta di chi scrive è la migliore dell'albo, anche per via del semplice e misurato riutilizzo dei comprimari), oltre ad essere una citazione-omaggio alle vignette finali di ben due delle storie misternoiane firmate Sclavi, e precisamente “La casa di Satana” (Mister No nn. 104-105) e “La notte dei mostri” (Mister No nn. 138-139), non a caso due storie dai connotati altrettanto horrorifici (ed è noto cosa fosse l'horror per lo Sclavi di quei tempi). Come se ciò non bastasse, la rivelazione delle origini dell'idolo di Ananga fornisce anche un tocco di continuità finora inedita.

Completamente diverse per impostazione le altre due avventure. “Buggy” (di Ambrosini/Bacilieri, col. Erika Bendazzoli) rimette in scena Napoleone, assente dalla chiusura della sua serie nel remoto 2005. E, a dire il vero, è una vera storia breve di Napoleone: Dylan Dog vi compare poco e senza un vero motivo concreto, se non l'occasione fanservice di vedere Allegra invaghirsi di lui. Un team-up poco team-up, insomma. D'altro canto era lecito aspettarselo: “Le spoglie del guerriero” (Napoleone n.42), che vedeva come ospite un Dylan Dog di fantasia, aveva già chiarito la posizione di Ambrosini in merito a questo tipo di trovate.

“Demoni e silicio” (Rigamonti/Calcaterra, col. Fabio D'Auria) è invece la storia più improbabile del lotto. Non tanto perché, con la magia tecnomante in gioco, l'incredulità deve essere sospesa del tutto, quanto per lo stile adottato dai tre autori, che fanno sembrare questa storia un prodotto sfornato nella prima metà degli anni 1990, quando cyberspazio, personaggi plastici molto spesso in posa da eroe (in un paio di punti Calcaterra sembra Castellini), narrazione "marvelliana" di trame altrimenti terribili e pillole di riflessioni esistenziali erano la norma. Tutti elementi che troviamo gradevoli, ma che ci portano alle stesse riflessioni cui ci aveva condotto il Buon Vecchio Zio Marty (che con Nathan ha molti punti d'incontro): perché è così difficile per le nostre serie italiane preferite presentarsi senza prendersi in giro o rifarsi ad un passato che non c'è più?

Il comparto grafico dei tre shorts risulta efficace e in grado di ricreare le atmosfere delle serie originali. Questo vale soprattutto per Bacilieri e Civitelli, mentre, come sopra detto, l'avventura di Nathan Never si rifà ad un contesto, quello dei primi anni '90, ormai estinto, ma comunque ben ricostruito da un convincente Calcaterra.

Se ne discute sul forum di Agarthi.

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