domenica 24 giugno 2012

Speciale estate: I Giganti di Prama, parte 1

Get A Life, la serie NON presentata da Martin Mystere, presenta l'episodio di Giugno 2012, I Giganti di Prama, Parte 1.


Disegni di Seb
Colori per la copertina di Giuseppe Pica.
Storia e lettering di Franco Villa.
Supervisione di Luca Salvadei

Ogni pagina è accompagnata da note esplicative per i collegamenti di continuità e le citazioni. Tocca a voi, adesso, proporne di nuovi, se volete!


Indice della serie Get A Life
1. Il segreto del Teschio di Cristallo
2. Il volto di Orloff
3. La vendetta del Lampadario
4. La progenie del Lampadario
5. Il ritorno del Fantasma del Topkapi
6. I Giganti di Prama (parte 1)

giovedì 21 giugno 2012

Le recensioni perdute di Martin Mystère

Martin Mystère n. 299, "Il segreto di Giovanna d'Arco"

Ottobre 2008

Storia di Carlo Recagno
Arte di Esposito Bros.

Se la signora Rowling e i suoi ghost-writer leggessero Martin Mystère, non potrebbero che applaudire confrontando il lavoro che loro svolgono in gruppo e che Carlo Recagno invece ha realizzato da solo. Sicuramente lui, da appassionato della saga di Harry Potter, ricambierebbe con modestia, ma sicuramente questo tessuto mysteriano di trame così immense e dense, dove ogni nuova storia va al suo posto come un tassello di un mosaico infinito, surclassa persino la complessità a orologeria della saga del popolare maghetto.

Nella migliore complessità narrativa della serie di Martin Mystère, Il segreto di Giovanna d'Arco è il culmine di una epopea nell’epopea, un virtuosismo di vortici narrativi che, come la caduta di una sequenza di tessere di un domino dai disegni simili ad arabeschi, giungono impeccabilmente a compimento dopo anni di gestazione.
Il tutto prende il via dalla remota vicenda di Roncisvalle (Martin Mystère nn. 94-95-96), grandiosa e immensa storia incentrata sulla figura di Orlando il Paladino, nella quale Alfredo Castelli aveva inconsapevolmente dato inizio alla faida tra Sergej Orloff e Morgana, evolvendo nel contempo Orloff da cattivaccio gambadilegnesco ad antagonista degno di questo nome. Ma si può veramente dire che esista un inizio assoluto? Non esattamente, ma quasi: la stessa storia dava inizio anche alla base della mytologia degli esagoni, che a sua volta si ripropone ne Il segreto di Giovanna d'Arco, in forma di “compendio recagnesco della teoria unificata del mystero.
La già citata immensità torna in questo Martin Mystère n. 299 con tale forza che non ho potuto fare a meno di cercare e rileggere Orlando il paladinoIl segreto di San Nicola (Martin Mystère Gigante n. 1) e La spada di Re Artù (Martin Mystère nn. 15-16).
A dire il vero, ho riletto anche Grendel! (Martin Mystère n. 288), ed ero tentato di continuare con L'isola di ghiaccio e di fuoco, L'Ira del cieloLa vendetta di LokiLa città degli angeli e Il sole nero. Ho resistito perché altrimenti non avrei scritto la recensione, ma questo tipo di lettura a posteriori è sempre allettante perché è un viaggio/esperienza inebriante, oltre che un “segnale di stile”: gli albi veramente belli di MM sono quelli che vale la pena rileggere, perché ogni volta hanno qualcosa di nuovo da offrire.

Tornando all’albo oggetto di questa recensione, la rilettura degli albi precedenti non è stata stimolata solo da motivi banali, tipo cercare i riferimenti di continuità (cosa che ho comunque fatto), ma piuttosto dall’afflato epico che caratterizza questo arco narrativo che dura da lustri. E’ anche da notare come l’albo stesso rifiuti l’ossessione autoreferenziale della continuità: le note di rimando (le famose “vedi Martin Mystère numero xxx”) sono infatti state omesse, quasi a dichiarare che “i rimandi sono per i rammolliti!”
E in effetti, i veri lettori di Martin Mystère non ne hanno bisogno perché sanno tutta la cronologia a memoria, mentre al lettore occasionale non importa nulla di sapere quale evento sia accaduto in quale albo e, infine, le nuove leve hanno Internet a disposizione.
E’ probabilmente per questo stesso motivo che gli elementi fondamentali della storia ci vengono presentati in maniera insolita e quasi dissimulata da elementi di sfondo. Prima c'è il falso coinvolgimento del mondo di Faerie: in apertura dell'albo, si parla di fate, il che mi ha subito spinto a ipotesi del tutto sbagliate sul contenuto della storia , ma sono già presenti indizi sottili che puntano alle Norne: l'albero colossale, i terzetti di streghe giovani e vecchie. Poi ci sono le vignette mute che si concentrano sulla presenza dell'Anello dei Nibelungi nelle acque della fonte: molto cinematografiche, ma nello stesso tempo completamente prive di didascalie, dialoghi riepilogativi o riassunti contraffatti, sebbene si tratti di un elemento chiave della storia. Infine, ci sono il riepilogo della vita personale di Orloff, che sconfina nel riassunto onirico-simbolico, e il ritorno di Hilda Schmesser e dei Fratelli Iniziati, presentati con la naturalezza solitamente dedicata ai personaggi fissi, di cui tutti sanno già tutto.

Tornando al parallelo con la vicenda madre, Roncisvalle, in entrambi i casi si tratta di opere che si possono definire solo come immense (come già detto): una narrazione che cavalca i secoli, personaggi memorabili, una visione cosmica della storia dell'umanità e del pianeta su cui vive, immani forze mitologiche che si scontrano per stabilire i destini della realtà, piccoli esseri umani che si affannano nelle loro brevi vite e per pochi istanti riescono a eguagliare lo splendore degli dei.
A pensarci bene, è semplicemente fantastico che un racconto particolare come quello di Roncisvalle abbia potuto raggiungere le edicole, ed è ancor più appagante che, dopo tanti anni, l'eredità di quella vicenda sia stata raccolta e portata avanti con altrettanta intelligenza.

A mio avviso, Alfredo Castelli dovrebbe sentirsi veramente gratificato dal fatto che il suo lavoro abbia saputo ispirare a tal punto un altro autore. Questo è ciò per cui vale la pena dedicarsi con passione alla scrittura, probabilmente: molto meglio delle Ultimatizzazioni di esordienti pretenziosi che detestano le caratteristiche del tuo personaggi, e vogliono cambiarlo per renderlo più conforme ai loro gusti e a quelli del pubblico “moderno”. E d'altra parte, dovrebbe essere ovvio: io leggo Martin Mystère perché in questa serie trovo ciò che negli altri fumetti non c'è. Se le caratteristiche che lo rendono unico diventano un fardello di cui sbarazzarsi, se bisogna a tutti i costi imitare gli altri fumetti, allora tanto vale smettere di leggere Martin Mystère e passare invece direttamente a uno dei fumetti (o degli sceneggiati televisivi più dozzinali ) che si vorrebbe imitare. Meglio leggere direttamente l'originale, piuttosto che una brutta copia ottenuta cancellando, stravolgendo e rinnegando un retroterra tanto ricco quanto peculiare.

E quindi, cosa rende questo tipo di albo così meritevole per il Mysteriano accanito? I “segnali di stile” già accennati in precedenza.
Per esempio, la vicenda, che è più complessa che mai: se il suo predecessore ideale, per quanto fluviale, risultava infine ragionevolmente lineare, questa volta abbiamo due narrazioni che si svolgono in parallelo, apparentemente l'una ignara dell'altra, con le Norne a fungere da improbabile cerniera, almeno finché Martin stesso non le fa convergere, nella ricostruzione storica che è il suo forte. E' a questo punto che la storia si unifica e le numerose sottotrame cominciano a confluire verso il tragico epilogo.
Ma attenzione: non si può dire che la narrazione si banalizzi, perché ogni singolo elemento messo in scena ha uno scopo ben preciso nella trama: non ci sono colpi di spugna, morti di massa, omissioni eclatanti o brutali cambiamenti di personalità a risolvere la faccenda; c'è invece un impiego onesto, puntuale e soprattutto ispirato di ogni filo narrativo disponibile.
La metafora della tessitura dell'immenso arazzo narrativo è più adatta che mai ed è una delle caratteristiche che rendono Martin Mystère più interessante di altri prodotti: la sua lettura è e deve essere una sfida alle capacità intellettive del lettore, altrimenti vale quanto qualunque altra pubblicazione.

Altro elemento di stile: l'ironia. Una delle Norne paragona la vicenda personale di Orloff a una soap opera, cosa su cui l'autore aveva già scherzato in precedenza, rispondendo alle critiche dei lettori (in Grendel!, Monique rifiuta apertamente gli stereotipi da soap opera).
Nello stesso tempo, però, pur sottolineando l'epicità dell'intera faccenda in contrapposizione al melodramma esagerato delle peripezie di Christine, le Norne non possono esimersi di tanto in tanto dall'uscirsene con battute dissacranti espresse in un linguaggio quotidiano, in netto contrasto con il lessico aulico e ricercato tipico degli dei: è ironia sulla risposta all'ironia, nello stile del metafumetto esplorato anche da Castelli nel recente albetto degli Eccentrici Visitatori dalla Seconda Dimensione (Martin Mystère Speciale n. 27).
All'ironia si accompagnano le riflessioni sugli aspetti paradossali della vita moderna: in questo caso specifico, si tratta delle email di spam che tutti noi abbiamo ricevuto (e letto) almeno una volta, probabilmente chiedendoci se potesse davvero stare accadendo a noi (per poi vergognarci della nostra credulità).

Torna anche il racconto nel racconto, sebbene questa volta con uno spazio abbastanza ridotto: è l'email di Hilda, scritta nel tipico stile ponderato e signorile che caratterizza gran parte dei personaggi della serie (persone vere, ma anche colte, mature, capaci di dominare le emozioni in favore di una civile razionalità).

Non ultima viene l'attenzione dedicata a Sergej Orloff, che in questo albo ruba i riflettori a Martin e si contende con Morgana il ruolo di protagonista. E' stato, di nuovo, Roncisvalle a far sì che ai “cattivi” della serie venga riservata una certa attenzione, di solito per rivelare lati inediti della loro storia, che li rendano un po' più plausibili. Dopotutto, l'unico scrittore che può permettersi il lusso di far agire da cattivi i suoi personaggi “perché sì” è Shakespeare...
Come in Roncisvalle Orloff si rivelò più complesso del previsto, così fa ora Morgana, che parlando con Giovanna d'Arco si lascia sfuggire finalmente il motivo dietro la sua cerca delle Spade: riportare il mondo all'armonia che è andata perso. Guarda caso, questo tema dell'Età Dell'Oro è a sua volta uno dei perni della trama di Roncisvalle. Non ci deve stupire: l'intera storia è costruita come un immenso castello di rimandi e simmetrie, dalla semplice scelta di personaggi ed elementi (Orloff, Morgana, Orlando, la Durlindana) alla scelta dei disegnatori (gli Esposito Bros esordirono su Martin Mystère proprio con Roncisvalle).
Da notare, a questo proposito, come ci venga riproposta l'origine di Orloff, specularmente alla solita storia-capostipite. Questa volta, però, l'ottica è doppia: da un lato, c'è la narrazione abbastanza asettica delle Norne; dall'altro, c'è la sequenza onirica di Martin Mystère, che cita diversi scontri storici con Orloff (tra cui quello assai celebre della copertina del secondo albo della sua collana).

Non si può evitare di fermarsi a riflettere sull'ambiguità di Morgana, che pur di raggiungere i suoi nobili (?) scopi non esita a torturare e uccidere, godendosi lo spettacolo. Questa doppia natura richiama chiaramente quella di Orloff, in un parallelo assai azzeccato, ma cita anche la sua antica dualità con Merlino, che ci viene appunto ribadita nella sequenza ambientata nel 1400.
E a questo punto, è difficile non chiedersi chi sia effettivamente Morgana, nelle intenzioni degli autori: giunge veramente dall'epoca di Uther Pendragon, oppure esisteva già da prima? L'abbiamo vista come “umana” in più di un flashback di quell'epoca, ma era tutto qui? O è forse una reincarnazione, addirittura antecedente ad Atlantide? Cos'è davvero la foresta di Broceliande? In che modo Morgana è sopravvissuta alla sua morte in Roncisvalle? Perché un tempo era alleata delle forze dell'Annwn, che avrebbero portato sulla Terra la Desolazione del Wasteland, mentre ora cerca di riportare l'armonia primordiale? (Forse per lo stesso motivo per cui fu più volte alleata di Loki: per convenienza?)
Di certo, la Morgana dell'epoca moderna è molto diversa da quella più “ingessata” dell'antichità (nel senso che era più calata nella parte dello stereotipo della maga decaduta dedicatasi alla conquista del mondo), come descritta nello Special Il cavaliere verde, dove la ricostruzione degli eventi è lasciata alla parole di Viviana (e potrebbe quindi essere falsa). La “prima” Morgana era un'alleata di Merlino, che poi divenne corrotta per brama di potere e si dedicò a un crescendo di macchinazioni: dal furto mancato dell'Excaliburo all'edificazione di una fortezza zeppa di sortilegi, per poi allearsi con le forze dell'Annwn (come già detto). Merlino la fermò, ma al prezzo ben noto, sebbene mai raccontato nel dettaglio: in questa duplice forma (ribadita appunto ne Il segreto di Giovanna d'Arco) è giunta sino ai giorni nostri, per poi “morire” per mano di Orloff, lasciando come suo epitaffio la classica frase pomposa da super-villain sdegnato. Se è morta ed è rinata (rinnovandosi) in questa occasione, non potrebbe averlo già fatto all'epoca di Uther Pendragon?
Ci fermiamo qui, ma la personale epopea di questo personaggio potrebbe continuare a ispirare domande all'infinito, tanto è complessa e ramificata. E ancora una volta, bisogna complimentarsi per la sua creazione: non solo perché è stata tenuta traccia di ogni dettaglio della sua ramificatissima vicenda , ma perché si tratta di una creazione davvero felice, evolutasi nella scia dei villain supereroistici statunitensi, che da macchiette cattive per esigenze narrative sono diventate con gli anni esseri umani a tutto tondo, spinti da motivazioni complesse e a volte condivisbili (Magneto di X-Men, Lex Luthor di Superman e via dicendo, fino ad arrivare al suo “doppio” di Sergej Orloff).

Ultima caratteristica d'obbligo nella serie è quella dell'umanità dei personaggi, sempre per distaccarsi dalle soap opera: basti pensare a Monique nei confronti di Christine, o al tormento con cui Martin ragiona sul “perduto” (?) amico, un classico di analisi dettagliata stabilito dal celebrato Xanadu! (Martin Mystère Gigante n. 2).

Non si può comunque dire che questo sia un albo che vive nel passato, o che si tratti di una reiterazione pedissequa del MM classico: non solo perché si tratta di concetti “digeriti” e meditati, e quindi personali, ma anche perché la continuità continua a evolversi in maniera sistematica, lasciandoci tranquilli sulle risposte ancora in sospeso.
Viene, per esempio, data la lettura definitiva degli eventi del finale de L'isola di ghiaccio e di fuoco (Martin Mystère Gigante n. 6), stabilendo una volta per tutte quali emozioni abbiano guidato l'epico conflitto tra Martin e Orloff per l'utilizzo dell'Anello dei Nibelunghi.
Viene anche rivelato un dettaglio inedito sul Terzo Occhio: introdotto con discrezione, quasi fosse solo un escamotage per chiarire l'identità di Christine oltre ogni dubbio, diventa invece un'altra rivelazione il cui potenziale potrebbe stravolge anche altri personaggi. Per esempio, ci si può chiedere se anche Diana non abbia...?
Fra parentesi, tutti ricorderanno che la sventurata Christine aveva mostrato aspetti paranormali inspiegabili in Grendel! (Martin Mystère n. 288), albo che a tutti gli effetti è il preludio de Il mistero di Giovanna d'Arco. Ora c'è una risposta anche a quell'enigma.

Sebbene la saga di Morgana sembri ancora lontana dal concludersi, questo Martin Mystère n. 299 è comunque una pietra miliare su questa lunga strada, perché, Come detto all'inizio, l'albo riannoda (in modo alquanto inatteso) due fili narrativi che ai più scettici erano sempre parsi scollegati: per nostra fortuna Recagno ci ha mostrato, ancora una volta, quanto fossimo in errore.

Veniamo infine all'elemento più esclusivo di Martin Mystère: la fusione tra fatti storici e invenzioni di fantasia, ampiamente corredati da documentazione e spiegazioni per i balzi dell'immaginazione che sanno trovare inedite connessioni tra i personaggi storici e letterari più improbabili.
In questo caso, si tratta di Giovanna d'Arco, la cui spada sarebbe stata la stessa di Orlando: anche lei, a modo suo, è quindi uno dei “campioni” di questo mondo, come Artù, Sigfrido, Orlando e altri,sebbene la sua missione non sia altrettanto definita, e soprattutto le manchi un consigliere “magico” adeguato.
Giovanna è poco più di un burattino, in balia delle trame del destino che lei stessa riesce a scorgere. Ma neppure le incarnazioni del destino, le Norne, sembrano poter fare qualcosa per lei, quasi come se la forza che tutto decide fosse collocata persino al di sopra delle tre divinità (lo è, in effetti: è lo scrittore del fumetto).
Il richiamo è sottile, quasi occultato, ma sicuramente presente: la forza in azione qui è la stessa di L'uomo programmato (Martin Mystère nn. 123-124). Superiore a chiunque, dotata di agenti che solo certi eletti (o sfortunati) come Giovanna e Frank Johnson possono vedere. Nel caso di Giovanna, questi agenti sono le Norne stesse! Un vero peccato che non ci fosse in zona anche Jaspar.
Come già in passato, sorge spontanea la tentazione del parallelo con uno dei romanzi del ciclo di Eymerich di Valerio Evangelisti, visto che Giovanna d'Arco è comparsa anche in uno di questi ultimi (Mater Terribilis): è interessante notare come, in entrambi i casi, la Pulzella sia uno strumento di forze che non comprende, sebbene lo scopo sia radicalmente diverso (ma altrettanto cosmico). Nella versione di Evangelisti, Giovanna è raffigurata in modo più ambiguo, un'adolescente dalla sessualità ancora non definita, che turba le pulsioni della mente malata di Gilles de Rais; in MM, invece, gli Esposito Bros la visualizzano come la solita sventolona, togliendo un poco di credibilità al personaggio.
Gilles De Rais è un altro elemento interessante: mi ha stupito che l'argomento morboso delle sue passioni perverse sia stato toccato, ma nello stesso tempo non si può non notare come l'autore abbia evitato di esplicitare l'orrore di ciò che il Maresciallo di Francia faceva effettivamente alle sue vittime.

Visto che siamo in tema di continuità: nella saga delle sette spade donate dai Tuatha De Danaan, Recagno trova il modo di sistemare indirettamente anche un corpo estraneo come la spada di Carlo Magno, Joyeuse, che fu ritrovata nel famoso team-up (Martin Mystère/Nathan Never: "Prigioniero del futuro"), e che si rivelò essere “solo” un'arma atlatidea.
Con Martin Mystère n. 299, si chiarisce che la spada ritrovata da Giovanna non era appartenuta a Carlo Magno, ma al nonno Carlo Martello. Non viene detto, ma ciò serve implicitamente a impedire ogni ipotesi di collegamento.

Chiudiamo con un'osservazione sulle due sventurate co-protagoniste femminili della storia: Giovanna e Christine.
L'autore traccia un parallelo “tra le righe” della loro tragica vicenda. Come già detto, le due infelici sono entrambe strumenti di una forza superiore, condannate alla stessa sorte: Christine è manipolata da Morgana, che vede in lei semplicemente un mezzo per un fine; Giovanna è invece condannata al sacrificio dal destino stesso, che per amara ironia lei può vedere ma non cambiare.
Nonostante la simpatia delle Norne (qui particolarmente umanizzate, tanto che ci ricordano l'Osservatore dei fumetti Marvel) e i loro deboli tentativi di intervento, però, al destino non si può sfuggire: è qualcosa che Martin Mystère e soprattutto Sergej Orloff sanno sin troppo bene.


Martin Mystère n. 300, "I sette signori dell'iride"


Dicembre 2008

Storia di Carlo Recagno

Arte di Giancarlo Alessandrini, Bruno Brindisi, Daniele Caluri, Esposito Bros, Gianni Freghieri, Lucio Filippucci, Corrado Roi, Rodolfo Torti
Colori di GFB Comics




L'albo

Nella ben nota tradizione Bonelli, gli albi col doppio zero (nel senso dei numeri cento e multipli) sono presentati eccezionalmente a colori. La serie di Martin Mystère, nota per l' attenzione prestata alle ricorrenze culturali e storiche, non si lascia sfuggire questo evento per proporre una celebrazione elevata all'ennesima potenza.
Come è stato giustamente fatto notare, gli albi a colori di Martin Mystère si distinguono dagli altri perchè sono anche “sui colori”: il numero 300 non solo rispetta questa tradizione, ma va oltre, suddividendosi in otto storie che celebrano le numerose tematiche della serie (mystero, avventura, giallo, fantascienza, storie d'amore, storie di fantasmi, feuilletton ottocentesco, mitologia), i personaggi del nutrito cast e, per finire, anche la ricorrenza del Natale (un altro elemento caratteristico della serie è proprio quello di avere solitamente un'uscita dicembrina a tema con le festività).
L'autore di questa vorticosa girandola narrativa, che spazia letteralmente nel tempo, nello spazio e nell'intero universo narrativo di Martin Mystère (e della Bonelli!), è Carlo Recagno, il degno erede di Alfredo Castelli (che ha comunque avuto l'idea di base dell'albo: dedicare sette storie ai sette colori dell'iride).
Oltre all'elaborata serie di ricorrenze e celebrazioni, l'albo propone quindi la classica struttura della raccolta di storie brevi (sette, più una narrazione portante che funge da prologo, intermezzo ed epilogo), disposte secondo un preciso ordine e caratterizzate da sottili riferimenti/rimandi reciproci. Davanti a questa geometria nella geometria, ce n'è abbastanza per sentirsi sopraffatti, nel tentativo di ricostruire la progettazione e il lavoro profusi in quest'opera decisamente ciclopica.
Ancora una volta, Recagno dimostra di non limitarsi a conoscere didascalicamente l'universo e la continuità di Martin Mystère: il suo lavoro ne è una celebrazione (giustamente, vista la natura dell'albo), un’esplorazione che conduce verso nuove mete, un ampliamento, un’evoluzione e una miglioria. In poche parole, è un atto di rispetto e passione: il miglior modo per onorare questi trecento albi di serie regolare.
Può capitare che le storie di Recagno non vengano ben accolte per la presunta assenza del mystero nella storia: a parte il paradosso della sfuggente definizione del termine “mystero” (che, come questo numero 300 sottolinea, col tempo si è dilatata sino a includere praticamente ogni genere narrativo), il punto di forza di Recagno è proprio quello di saper andare oltre il semplice mistero del mese (o del bimestre), evitando le trappole più ovvie (come il proporre un elemento mysterioso perché è obbligatorio, ma poi scrivere una storia che parla di tutt'altro, come se la si fosse semplicemente riciclata camuffandola) e producendo infine storie sul “myto”, se possiamo concederci questa invenzione linguistica (e se non è già stata utilizzata): la mitologia complessiva di Martin Mystere, la sintesi di personaggio, universo, filosofia, continuità e tematiche.
Cioé proprio ciò che questo albo n. 300 incarna, nella sua celebrazione che è anche rappresentativa in modo completo e dettagliato di ciò che Martin Mystère è divenuto negli anni.

E' curioso notare come la tematica dell'iride come “spettro emotivo” che influenza e rappresenta le emozioni sia anche alla base di una delle più importanti saghe del personaggio di Green Lantern (Lanterna Verde) della DC Comics, concepita e sviluppata in questi ultimi anni dall'apprezzato e talentuoso scrittore USA Geoff Johns. Chi avrà avuto l'idea per primo: Johns o Recagno? Per rispondere, è davvero opportuno citare Alfredo Castelli e Martin Mystere, ricordando cosa accade quando le idee sono nell'aria...

La selezione artistica è a sua volta celebrativa: l’introduzione all’albo spiega esattamente quali precedenti Mysteriani possano vantare gli autori scelti. La selezione è rappresentativa e autorevole, ma a volte un po’ forzata (Brindisi): è un vero peccato che siano stati esclusi il certosino Franco DeVescovi e i relativamente nuovi acquisti Cardinale & Orlandini, in quanto illustratori di storie piuttosto importanti per la serie.

I singoli racconti

VERDE. La storia di apertura è la più generica, allo scopo di essere introduttiva: sebbene ci sia un legame con la continuità (col ritorno del Piccolo Popolo e la sua bizzarra regina), Martin Mystere è poco più che il notaio dell'avventura di Wahlgren.
La trama è azzeccata: folle, ironica, surreale e costellata di trovate e sorprese.
Da notare come Wahlgren sia in esilio da trecento anni esatti.
L'arte di Freghieri, tanto classica quanto gradevole, si presta bene alla colorazione. L'abbondanza di ombre e dettagli sopperisce alla piattezza della tecnica cromatica utilizzata.
L'arcobaleno, rappresentato con le chine nere a circoscriverlo, stona parecchio con le potenzialità della moderna colorazione computerizzata.

BLU. Storia natalizia alla Charles Dickens, che coniuga la celebrazione festiva d'obbligo per l'albo di dicembre con la continuità della serie regolare (Maria) e dello Speciale (Angie, o almeno una sua ottima simulazione). Sebbene il personaggio centrale sia Java, è la falsa Angie a essere resa nel modo migliore, per la freschezza dei dialoghi e la gradevolezza dei disegni. Le comparsate di vari personaggi (Kawah, Tower, Brody, Aldous, Castelli) sono tipiche tanto degli albi Doppio Zero quanto di quelli di Natale, in una delle tante convergenze di tradizioni del numero 300.
In questa storia spicca anche la caratteristica umanità dei personaggi della serie (che spesso si estende anche ai malvagi): il cast non è costituito da tizi cinici, sarcastici, egoisti e cattivi come esige la moda, ma da persone adulte ancora capaci di provare empatia e di costruire legami solidi basati su un rispetto e un’attenzione di fondo sempre presenti, anche durante le peggiori crisi.
Il dottor Spektor, che torna da Di tutti i colori! (Martin Mystère n. 100) inizia il suo ruolo di trait d'union, in un intervento che sembra mirato proprio ad aiutare Java ad affrontare il suo periodo blue: non sembra un caso, viste le rivelazioni successive. Altri rimandi, anche se molto generici, sono la presenza di un Coboldo (storia VERDE), il riferimento all'Egitto (storia VIOLA), il prisma che scompone i colori (storia ARANCIONE).
Citazione da Star Trek accessibile ai non iniziati: “La resistenza è inutile”.
L'arte di Caluri, con i suoi neri decisi, fornisce autonomamente la profondità che i colori non riescono a dare. I tratteggi tipici dell'artista, però, poco si adattano alla sin troppo semplice tecnica di colorazione utilizzata (avrebbero invece funzionato bene per identificare gradazioni dello stesso colore).

INDACO. Una classica storia di fantascienza, volutamente dal tono retrò, con toni freddi e razionali come quelli dell'indaco secondo il popolo di Tin Hinan, ha però un finale molto triste (che richiama quello dell'albo Il sole nero) e una curiosa citazione Lovecraftiana (apparentemente capovolta: per il Solitario Di Providence, un colore venuto dallo spazio non porterebbe mai logica, ma solo follia… e in effetti il guardiano fa una brutta fine, non sapendo apprezzare il dono ricevuto).
La presenza del Martin Mystere contemporaneo continua a ridursi (dalla storia successiva non apparirà più), ma la narrazione continua a esistere solo in sua funzione: i nuovi eventi non potrebbero avere luogo, senza di lui, oppure Martin non potrebbe esistere senza certi eventi del passato.
L'arte di Roi, che combina curiosamente una capacità per il dettaglio e ampi spazi vuoti, si rivela efficace anche con i colori, ancora una volta grazie all'ottimo uso delle chine da parte del disegnatore.

ARANCIONE. E' forse la storia cromaticamente meno convincente, nel senso che il colore Arancione gioca un ruolo molto ridotto rispetto all'effettiva vicenda. La trama, riprendendo i personaggi degli agenti temporali dell'albo speciale Generazioni, a sua volta è quasi uno spin-off delle Storie Di Altrove: un ennesimo omaggio celebrativo, quindi.
Da notare come, ancora una volta, i due Agenti Temporali restino senza nome.
La presenza del Martin Mystère robotico del futuro è un omaggio alle Storie Brevi.
Spektor, ancora una volta in un ruolo benefico, si rivela essere un viaggiatore temporale. Presentandosi come alchimista, allude all'altro interesse di Newton, curiosamente antitetico alla scienza moderna che egli contribuì a fondare.
L'arcobaleno si ricollega alla storia VERDE.
Citazione da Star Trek accessibile ai non iniziati: il Martin Mystère del futuro predilige lo stesso tipo di tè del capitano Jean Luc Picard della serie televisiva Star Trek:The Next Generation.
Ottima prova di Brindisi, con arte elegante e posata. Peccato che lo sfondo cosmico di apertura sia tutto tranne che cosmico. Dove sono le stelle, le nebulose e le galassie e gli abissi del nero vuoto interstellare?

GIALLO. Dopo l'Intermezzo, la narrazione si sposta completamente nel passato: una materia che Recagno gestisce sempre con grande competenza, inventiva e ricchezza di riferimenti.
Nelle sue storie, la narrazione di un flashback è sempre garanzia di un evento, nel senso che si assiste sempre alla “prima volta” di qualche aspetto storico della serie, da tutti dato per scontato.
In questo caso, si tratta della genesi del programma televisivo Mystere's Mysteries, narrata in chiave gialla, e dove guarda caso Diana gioca un ruolo cruciale in tempi ancora non sospetti (alla faccia di chi la ritiene un comprimario ininfluente). Ovviamente, i tempi non sono poi così “non sospetti”, visto che Diana dimostra un interesse per Martin che capovolge la vecchia prospettiva della sua relazione con Aldridge (secondo la versione nota, fu la tattica di Martin ad allontanarla da Aldridge; ora scopriamo invece che Diana è stata molto più autonoma nel decidere di quanto si credesse). L'idea sviluppa ciò che Recagno stesso aveva solo brevemente accennato in L'ira del cielo (Martin Mystère n. 245).
Spicca ancora una volta la capacità di Recagno di connettere gli n-mila elementi di continuità creati negli anni: chi avrebbe mai detto che Martin fosse stato ospite del vituperato programma The Oink Oink Family, tanto amato dai Morgan, i suoi terrificanti vicini di casa?
Aldridge è raffigurato alla perfezione nel suo ruolo di finto antagonista di Martin: come sempre, infatti, l'anziano professore finisce per aiutare Martin Mystere, in un ruolo di figura paterna in incognito , ma non resiste alla tentazione di presentarsi invece come un personaggio quasi perfido.
Nei rimandi interni, si segnalano l'anno (1978) e il riferimento alla spedizione di Orloff in Egitto (storia VIOLA).
Da notare l'insegna “Alfredo's”, in omaggio a Castelli, cioè l'autore che ha creato la rivalità Mystere/Orloff e la vicenda Aldridge/Diana (qui fatte collidere da Recagno per la prima volta).
L'arte di Torti risulta piatta e confusa anche a colori.

VIOLA. E' l'altra faccia della medaglia rispetto al GIALLO: un bagno di continuità, un evento fondamentale per Sergej Orloff, un incontro guidato dal fato e dall'ironia (Kate sa? Sospetta? Allude?).
L'elaborato e sfaccettato mosaico della vita di Orloff viene illustrato in una sequenza che riunifica cronologicamente e coerentemente i vari dettagli rivelati sinora (non stupisce che Recagno sia il biografo ufficiale di Orloff!), regalandoci il suo inedito punto di vista sulla storica inimicizia con Martin (cosa rara). Può darsi che alla fine il murchadna abbia influito anche sulla personalità di Martin?
Nella vicenda si innestato riflessioni e implicazioni ormai storiche: il murchadna aveva influito su Orloff, incattivendolo, ma questi si era poi pentito e si sarebbe forse redento, nel periodo in cui ne era stato separato. Purtroppo, sua madre dovette salvargli la vita e, nel farlo, lo trasformò definitivamente in un mostro (ah, che tragica ironia!), sospingendolo di nuovo sulla strada del male e del murchadna. Altro che il libero arbitrio, quindi: il fato ha letteralmente fatto di tutto per instradare Orloff!
La storia si concentra sul tema dell'archeologia avventurosa, ma nello stesso tempo anticipa quello del feuilleton del ROSSO.
Il collegamento narrativo alle vicende di Xanadu! (Martin Mystère Gigante n.2) permette di includere anche la collana Martin Mystère Gigante nelle celebrazioni.
Nei rimandi interni, bisogna notare che i due Agenti Temporali sono davvero poco professionali. C'è mai stata una volta che non si siano fatti scoprire?
Spektor compare anche nell'antico Egitto: fu lui a donare a Cleopatra l'anello di ametista dai grandi poteri.
Giulio Cesare viene descritto come Orloff: sia buono che cattivo. Sarà forse una linea di sangue?
L'arte degli Esposito Bros spicca come sempre per la cura e l'evocatività (è quasi un peccato che non sia toccato a loro illustrare la vicenda di Loki, ma d'altra parte l'universo del Docteur Mystère è prerogativa di Filippucci): le loro ombre nitide e gli studi sulle sorgenti di luce sopperiscono ancora una volta alla fiacchezza dei colori monotoni.

ROSSO. La mytologia di MM compie un altro enorme balzo in avanti e l'albo raggiunge il culmine della complessità, quando Recagno fonde la sua personale saga Nordico-Arturiana con le vicende “novecentesche” della famiglia Mystère, così come concepite da Alfredo Castelli. Luke/Loki da un lato, impegnato nella sequenza che amplia i dettagli della sua già narrata liberazione; Jaques/Cigale e Paul dall'altro, in un preludio agli eventi che porteranno Martin a scoprire la storia del suo “antenato” Docteur Mystère.
Il piano narrativo di Recagno, che si rivela progressivamente con ogni albo da lui scritto, continua a dipanarsi, proponendo ogni volta un nuovo tassello di paralleli/simmetrie/connessioni (un gradito premio per chi ha letto con attenzione gli albi in questione!): Loki è un trovatello, come Cigale; ma potrebbe anche essere un soldato statunitense, come il defunto figlio di Paul; la famiglia Mystere lo accoglie, ma Loki (ri)cade in disgrazia come in futuro farà Orloff.
In un bizzarro capovolgimento, il climax narrativo dell'albo viene raggiunto non nel presente, ma nel passato. Con l'imprevedibile incontro tra gli elementi scatenanti (o quasi) delle mitologie dei due autori principali della serie, il cerchio si chiude, ma innumerevoli altri si rivelano, in attesa del loro turno di essere completati.
Il tema dell'umanità dei Mystère torna anche qui, come in BLU: Cigale offre a Loki un posto in famiglia, così come Martin lo offre idealmente a Orloff (come già detto, Orloff è come il Dottor Destino per i Fantastici Quattro). Recagno espande ulteriormente il concetto, sottolineando come la famiglia Mystère sia per tradizione atipica: lo sono Martin, Diana e Java (con Angie); lo erano il Docteur e Cigale, lo è l'attuale famiglia di Cigale che è un settantenne con una moglie giovanissima e un “trovatello” come figlio surrogato.
Il riferimento al Docteur Mystère, che è stato per qualche anno protagonista della storia a fumetti dell'Almanacco del Mistero, consente un ulteriore collegamento celebrativo.
Gli stupendi disegni di Filippucci, con i loro chiaroscuri fotografici, funzionano alla perfezione anche con la piatta colorazione già citata.

PROLOGO/INTERMEZZO/EPILOGO. Le sorprese finali della vicenda portante sono almeno due: una è prevedibile per via della collocazione temporale di apertura (“non molti anni fa”) ma pur sempre gradita (e ancora una volta ritorna il tema della celebrazione degli eventi chiave del passato); mentre l'altra è gustosamente inattesa.
Kut Humi mantiene la sua caratteristica aura enigmatica e duplice: quante volte in passato l'abbiamo visto agire in un certo modo, ma solo per ottenere uno scopo completamente opposto? Interessante anche la menzione del Re Del Mondo: esiste davvero, oppure Kut Humi sta recitando?
L'arte di Alessandrini, qui decisamente in forma, è titanica e fastosa: è grazie ai sui disegni spettacolari che l'apertura della storia riesce ad annunciare in poche immagini il tono epico della vicenda, con la rapida carrellata di Lemuria, Atlantide, l'Egitto e Agarthi (che non compaiono, se non l'Egitto, nelle altre storie, ma sono comunque rappresentative dell'ennesima tematica portante della saga mysteriana). E con questa nota sulle tavole di apertura, chiudiamo anche noi il cerchio, terminando la recensione.


Giugno 2011

Storia di Carlo Recagno
Arte di Esposito Bros

Non so perchè, ma mi inquieta sottilmente”. Questa battuta di Martin Mystère, sebbene compaia solo a pagina 88 dell'albo, è la chiave di lettura dell'intera storia, realizzata come un ritorno alle origini (modernizzate) di Martin Mystère.
Già, le origini. Ma quali? Come ribadito e celebrato dal numero 300 della collana, il nome di Martin Mystère è stato associato praticamente a ogni genere letterario (e, quindi, ne ha anche creato uno).
In questo caso specifico, non si tratta del Martin Mystère che affronta grandi enigmi archeologici che svelano una storia alternativa, ma piuttosto del Martin calato in un contesto urbano moderno, la cui continua evoluzione tecnologica cela un segreto aspetto fantascientifico/cyberpunk. Possiamo dire che si tratta di un filone codificato con la famosa storia Il fuoco che uccide (Martin Mystère nn. 46-48) che vide l'esordio di Mister Jinx: tecnologie impossibili che portano a inesplorati stati della realtà, un riferimento più o meno velato a un'opera letteraria, uno scienziato pazzo che vede più in là degli altri, un luogo comune che si realizza.
Certo, mancherebbe il suddetto Mister Jinx, per il dispiacere dei suoi estimatori, ma d’altra parte abusare di lui per questo ruolo significherebbe fargli fare la fine di Orloff-Gambadilegno (e d'altra parte, Jinx ha i suoi problemi di continuità, di cui parliamo approfonditamente nelle note al nostro episodio Precursore postumano).

Come già osservato in precedenza, Recagno non si limita a emulare il maestro, ma ne espande ed evolve il lavoro, sfruttando gli anni di esperienza e di conoscenze accumulati: ecco quindi che questo Martin Mystère diventa più castelliano di quello dello stesso Alfredo Castelli.
Sottili inquietudini narrative; apparizioni degli inossidabili coniugi Morgan (con evoluzione del loro rapporto, che si capovolge: adesso è Elmer ad essere “amico” della vicina di casa Diana!); concetto del “pensiero laterale” tradotto in un elemento estremamente concreto della trama; recupero consistente e meditato di personaggi caduti nel limbo come Von Eriksen (a differenza di quanto accaduto con Mister Mind, oppure Beverly Howard Carter, per esempio, che con i dinosauri c'azzeccava ben poco).
Si può tranquillamente dire che questa storia non sarebbe mai esistita senza il lavoro di Alfredo Castelli, ma nello stesso tempo il Martin Mystère moderno non sarebbe più se stesso senza l'opera di Recagno.

Oltre alla conoscenza, c'è l’approccio filologico al personaggio e al suo mondo: scrivere un albo di Martin Mystère non significa solo di assemblare alla meno peggio un po' di elementi mysteriosi, condendoli con abbondanti scene di violenza e traumi atti a sconvolgere lo spettatore con l'effetto del “pugno nello stomaco” (che, passati gli effetti immediati, scivola nel dimenticatoio).
La conoscenza sistematica della serie, nei suoi minimi dettagli, non si traduce semplicemente un database imparato a memoria e consultato all’occorrenza: si tratta invece di uno studio derivato da un apprezzamento genuino, palpabile nella cura riservata alle minime sfumature (per parafrasare lo stesso Martin in Affari di famiglia, si vede che la materia in questione non è stata solo sfogliata, ma letta e digerita).
Da qui, il recupero e l’amalgama della mitologia, in un insieme articolato, omogeneo, armonioso e moderno, accompagnato come sempre da ispirazioni provenienti da altre fonti, che però non prendono il sopravvento sulla storia (anche questo è un classico della sfida lanciata da una vera storia di Martin Mystère: non basta copiare & incollare testi dalla Wikipedia, come noi dilettanti saremmo tentati di fare).
Le ispirazioni esterne, in questo caso, sono ovviamente il romanzo Peter Schlemihl e il Superspettro: questi due elementi, che nella realtà non hanno alcuna relazione tra loro, sono risucchiati nel bizantino gioco di intrecci tipico del Martin Mystère Castelliano, rivelandosi ancora una volta come opere/concetti ispirati a fatti tanto impossibili quanto reali. Anche in questo l'albo si distingue nel suo ritorno alle origini, per via della creazione (o deduzione?) di connessioni originali e argute, che coinvolgono naturalmente anche Peter Pan (come tutti i fan della continuità si sarebbero aspettati, e non solo per la faccenda dell'ombra, ma anche perché Ritorno alla Terra Che Non C'è (Martin Mystère n. 280) è ancora una volta un racconto di Recagno).

Tra le influenze di questo albo sembra piuttosto netta quella di X-Files, serie tv che è stata frequentemente citata in passato, ma che ora viene lasciata nel “non detto”, probabilmente perchè ormai un po’ datata (non che gli alieni siano una sua esclusiva, ma di certo l'approccio alternativo lo è). Ma può anche darsi che invece l'idea di base (la minaccia dell'ombra che invade il quotidiano, a causa delle avventate manipolazioni di qualcuno) provenga da un altro classico della fantascienza tv come Sapphire & Steel: chi può dirlo?

Come sempre, l’albo è articolato su più strati: all’enigma del mese (ormai enigma del bimestre), tipico delle storie autoconclusive e mirato al lettore occasionale o distratto, si sommano con discrezione altri livelli di lettura, che lo discostano nettamente dal riempitivo ininfluente commissionato ad autori esterni e che appagano quindi anche il lettore storico. Come già detto per il numero 300, va bene inseguire a tutti i costi la moda del momento in nome delle vendite, ma è bello riuscire anche a premiare i lettori storici che hanno saputo apprezzare la matrice radicalmente diversa del fumetto di Martin Mystère.
Ecco quindi che, in modo quasi sottotono e inosservato, che il cast si espande: Travis ha ora una collega, Margaret Chase, che sembra avere una certa confidenza per lui (o un interesse inconfessato? Sappiamo che questa è la sola apparizione di Margaret, e che non la vedremo tornare per anni, per cui possiamo solo augurarci che non le accada all'improvviso solo per essere brutalmente trucidata e sprecata!).
Ed ecco anche Diana, che riflette su come il suo rapporto con Martin abbia cambiato la sua vita, anche nelle piccole cose relative al lavoro: se vogliamo essere veramente ultra-citazionisti, possiamo pensare che questa riflessione di Diana sia un ulteriore riferimento a Il fuoco che uccide, storia nella quale la futura moglie di Martin ha fatto sentire con forza le proprie opinioni.
Oltre alla mytologia castelliana (da cui il ritorno di Travis e di Von Eriksen, coinvolti a un livello più profondo di quanto capita solitamente ai comprimari della serie), fanno capolino anche tre dei filoni che sono praticamente una prerogativa dell’autore: il Piccolo Popolo, gli Angeli e gli alieni creatori dell'umanità (vabbè, in questo caso c'è la fila all'ingresso, ma gli Elohim sono sicuramente i più rappresentativi).
La narrazione corale dà voce e spazio a numerosi comprimari: Travis, Von Eriksen, Diana, i cattivi di turno, lo stesso Schlemil. L’effetto è quello di rendere Martin Mystère un ingranaggio che partecipa alla trama e contribuisce a risolverla, ma senza essere per forza di cose il deus ex machina della situazione: questo evita un trattamento troppo supereroistico (il ricorso frequente al Terzo Occhio per salvare la situazione ne è un esempio), ma nello stesso tempo diventa anche l’ennesimo sottile e arguto rimando al lavoro di Castelli (in certe storie, Martin Mystère diventa un personaggio secondario rispetto alla complessa vicenda che si sta svolgendo intorno a lui, e alla fine non ne viene a capo, mentre il lettore finiscer per saperne più di lui: accade per esempio in nella vicenda di New York stories (Martin Mystère nn.182-183-184)).

La componente artistica sembra essere stata scelta in maniera mirata (e se invece è opera del caso, allora si tratta di un felice destino!): l'elegante e incisivo bianco&nero degli Esposito Bros è semplicemente l'ideale per narrare una vicenda che ha le ombre come protagoniste.

Chiudiamo sottolineando ancora una volta il gusto dell'autore per la ricerca e la citazione di opere letterarie che non sono esattamente famosissime. E non è solo per quanto riguarda Peter Schlemihl, ma anche per quanto riguarda la comparsata di The Spirit (un'altra “ombra”!).

Novembre 2011

Storia di Alfredo Castelli
Arte di Giulio Camagni

Longitudine zero segna l’esordio dell'artista Giulio Camagni, un nuovo illustratore (per questa testata, almeno) che sin dall’inizio si rivela  a suo agio nel gestire le complesse e sfaccettate sceneggiature di Alfredo Castelli: il suo stile piuttosto versatile funziona molto bene sia nelle scene movimentate (dall’azione delle battaglie aeree all’orrore Stephenkinghiano che emerge dalle nebbie) sia in quelle più “documentaristiche” (dove si alternano Martin Mystère seduto a un tavolo e scene “iconiche” del passato).
Il chiaroscuro evocativo e la composizione dinamica e armoniosa di ogni scena (basta osservarne le inquadrature e gli elementi in gioco, per capirlo) concorrono a creare una narrazione immediata, forte e cinematografica, molto lineare ed elegante nel suo sviluppo.
Camagni è anche adeguatamente e abilmente visionario, quando serve: prova ne siano le elaborate forme del “cervello volante”, che a seconda di come le si guarda divengono un ammasso di volti urlanti per poi tornare a essere semplici (?) circonvoluzioni.
La padronanza della narrazione per immagini e di tutti i classici del genere è testimoniata dalla forza di illustrazioni che sono da immaginario collettivo: per la capacità di riprodurre non solo le angoscianti atmosfere nebbiose di The Mist, ma anche le scene fortemente rappresentative come la vignetta che mostra la flotta di dischi volanti in formazione sopra l’oceano. In una sola inquadratura, ci sono narrazione, regia e suggestioni che valgono un’intera storia (una copertina mancata, insomma).
Discepolo” di Carlo Ambrosini, Camagni sembra essere influenzato anche da autori come Caluri, Toffolo e Mattioli: stessa scuola? In ogni caso, è il benvenuto!

E a proposito di storia, la sceneggiatura stessa è un concentrato di idee e di documentazione che la pongono già tra i classici della serie. Come è tipico delle migliori idee di Castelli, la vicenda mescola il classico mystero e gli aspetti della vita di tutti i giorni, che ora però assumono una valenza diversa: ecco quindi che la tendenza a straparlare non è più un sintomo di stress o di disturbo o di senilità, ma piuttosto un effetto quantistico del contatto temporaneo tra due universi paralleli!
A un livello molto più circoscritto (e anche un po’ ironico), la teoria delle stringhe, risucchiata nella faccenda della doppia teoria del tutto, assume consistenza fisica: il Martin alternativo giunge nella “nostra” realtà avvolto da un bozzolo di filamenti simili a elastici, che si dissolvono dopo essere stati spezzati. In altre parole, la transizione è stata compiuta da una tecnomagia a base di “stringhe”.
Molto suggestivo anche il paragone tra il mostro di Frankenstein e il reattore nucleare fuori controllo di Chernobyl: in entrambi i casi, una creatura sfuggita al controllo della scienza umana, non più visibile (scomparsa tra i ghiacci o sepolta nel cemento) ma tutt’altro che neutralizzata o resa innocua.
Ultima annotazione: Ziegler ha imparato fin troppo bene la sua lezione di storia; dopo le vicende dell’operazione Paperclip (riccamente utilizzata anche in X-Files), per lui statunitensi e nazisti non sono poi tanto diversi, quando si tratta di scrupoli e di armi finali.

Nella stratificazione di riferimenti, oltre al già citato film The Mist (che non è oggetto di un plagio come di solito accade altrove, ma di un dichiarato prequel, visto che si fanno nomi e cognomi) segnaliamo anche Sliding Doors, film a cui sembra alludere una vignetta di pagina 40.
Seguono a ruota Dylan Dog (che a differenza di Martin non invecchia) e la continuità interna della serie (la casa di Providence, il Teschio di Cristallo e la Piramide-deposito di scorie radioattive). A proposito di Dylan Dog: proprio di recente i lettori hanno votato a favore di un nuovo team up con Martin Mystère. Coincidenza? “Le idee sono nell’aria”? Di certo una storia simile sarebbe interessante, se si trovasse il modo di spiegare perché Dylan è ancora un trentacinquenne, mentre Martin è parecchio più anziano (non che sia un caso isolato, ma sarebbe una vera sfida dare una motivazione che funga anche da motore dell’incontro e della trama).

La rilettura dell’albo, però, fa emergere anche alcuni punti dolenti: a dire il vero, erano già stati brevemente visibili durante la prima lettura, ma erano stati rapidamente accantonati per seguire lo sviluppo della trama, in un susseguirsi di eventi e un accumularsi di dati… i quali alla fine non tornano del tutto.
Come Castelli ha raccontato più volte, il suo metodo narrativo consiste spesso nell’iniziare una storia senza sapere esattamente dove andrà a parare: o meglio, lo sa il suo inconscio, che lo soccorre quando non gli riesce di elaborare un finale adeguato per l’intreccio costruito.
Questa volta, purtroppo, l’inconscio non ce l’ha fatta per tempo. Restano così domande senza risposta, eventi cruciali mancanti, personaggi che spariscono, tempi che non combaciano, fili che non si riannodano. Si può dire che la storia funziona a livello di primo impatto (anche “emotivo”), ma purtroppo non regge a un’analisi più meditata (a dire il vero, non regge già alla prima lettura, perché come già detto i dubbi erano emersi, ma erano stati trascinati via dalla narrazione fluviale).
La questione irrisolta più evidente è quella di Ziegler e Peck.
Chi sono costoro? Che “peso” hanno veramente nella narrazione?
Ziegler sembra aver attivato un meccanismo di sdoppiamento degli universi. Perché l’ha fatto? Come poteva saper fare una cosa del genere? Quando lo ha fatto? Se aveva una tale capacità, perché poi in entrambe le realtà ha fatto una fine tanto patetica?
La realtà biforcata, in quanto tale, è un universo completo e a sé stante, ma Java lo respinge, ritenendo che si tratti di una deviazione temporanea. Se così è, perché Peck si comporta in modo tanto diverso? E se è una realtà separata, perché il Martin alternativo deve tornare nella nostra? In che senso questa azione chiude il cerchio?
Nella nostra realtà, Peck muore in modo assai banale tra i ghiacci: eppure, nell’altra realtà si rivela essere nientemeno che uno scienziato nazista sopravvissuto fino a oggi e in possesso di ogni genere di segreto. Una contraddizione che sottolinea la separazione dei due universi, e che pone ulteriori domande: come si sono conosciuti lui e Ziegler? E’ stato un caso? Oppure Peck progettava di tradirlo anche nella nostra realtà? E ancora, qual è esattamente lo scopo di Peck, nell’altro universo? Re-impossessarsi della tecnologia del “doppio tutto”? Per farne cosa? Dobbiamo concluderne che “di là” il male ha vinto?
Suggestioni a parte, la doppia teoria del tutto è stata a sua volta dimenticata per strada: non solo non viene minimamente esposta (eccetto l’esca gettata da Ziegler), ma non viene neppure esattamente mostrata in azione. Quando Peck la torna finalmente a nominare, sembra proprio che il nome sia stato introdotto in fretta e furia nei dialoghi per rimediare a una falla della sceneggiatura. E in effetti, sebbene si riveli capace di collegare universi interi, non unifica nulla di quanto il suo stesso nome prevede, disattendendo le promesse fatte.
Di certo, i mostri extradimensionali di The Mist e il disco volante capace di varcare le realtà sono una conseguenza dell’applicazione della doppia teoria, ma anche questo dettaglio rimane fumoso e tutte le sue implicazioni non vengono nemmeno menzionate (soldati nazisti ancora vivi? Come mai? E se i nazisti possedevano una simile conoscenza, perché non l’hanno usata? Oppure l’hanno usata in modi impensabili?).
L’impressione è che la sceneggiatura non sia stata revisionata a sufficienza per far quadrare la logica della trama. Di conseguenza, nel finale, fatti e personaggi sembrano scivolare via come sabbia tra le dita di una mano, lasciandoci con l’impressione di osservare un edificio costruito a metà.
Se a inizio storia Martin cerca di trovare una giornata perduta, perché non gli sovviene di aver straparlato più e più volte riferendosi a sensazioni e concetti e scene che non ricorda di aver vissuto? Decisamente questi misteriosi eventi (che Diana gli ha fatto notare con vigore) erano ciò che stava cercando: una giornata (o settimana) perduta!
Purtroppo, il personaggio di George McCardell non ricompare nel finale (e Martin lo nomina frettolosamente, per rimediare), ma possiamo star certi che la nuova versione della conversazione tra lui e Martin sarebbe stata molto diversa da quella iniziale, dopo aver letto come si è effettivamente svolta la storia.
Nel calderone degli eventi sconnessi rientrano anche il falso ricordo del disco volante tra i ghiacci: a Martin pare di riconoscerlo, a pagina 69, ma non è possibile perché è la prima volta che lo vede. Una simile frase, infatti, dovrebbe riguardare invece le pagine 33-34 (che si svolgono nel futuro, rispetto a pagina 69; Martin dovrebbe quindi vagamente rendersi conto che il suo alter ego ha effettivamente visto quella foto in un’altra realtà).
Continuando con le cose sfuggite alla revisione: la scena di pagina 113 sembra collegarsi a quella di pagina 36, come se Martin e gli altri fossero reduci dalla visione di Relatively Speaking. I tempi dovrebbero essere quelli, ma il collegamento non viene menzionato.

Pur essendo scritta splendidamente, quindi, questa storia si arena nel finale, che non riesce a tirare le fila di tutte le idee, i concetti e le trame di cui è intessuta.
La doppia teoria del tutto e la suggestiva copertina sembravano promettere non solo azione e avventura, ma anche una narrazione unificante come quella de L'ultimo mistero (Martin Mystère n. 127bis) . Invece il risultato è una vicenda disorientante, che sembra quasi sgangherata, a causa delle “porte girevoli” con cui elementi e personaggi sono gestiti.
Servirebbe una “parte 2”, ma questa osservazione comincia a sembrare un po’ troppo abusata, quasi fosse una scusa d’ufficio. A posteriori, emerge che l'effettivo seguito, cioè Ritorno a Longitudine Zero (Martin Mystère n. 331)finisce per ingarbugliare ulteriormente la matassa, introducendo nuovi elementi incoerenti a raffica senza chiarire nulla del pasticcio esistente.

Forse sarebbe servito un supervisore che suggerisse una serie di accorgimenti per far quadrare l’idea di base, che resta comunque intrigante, e gli sviluppi della storia, che è quantomeno affascinante (letteralmente, è una storia che spalanca infiniti universi davanti alla nostra mente).

Per esempio, l’atto finale del piano di Peck avrebbe potuto coinvolgere non solo Martin, ma Peck stesso. Se entrambi fossero saliti a bordo del disco volante e avessero compiuto il balzo da una realtà all’altra, allora sarebbe stato possibile spiegare il piano di Peck e dargli una logica molto semplice ma funzionante: Peck e Ziegler avevano attivato la deviazione quantistica della realtà per creare una derivazione “temporanea” in cui utilizzare Mystère come “chiave” (sia per giungere al laboratorio, sia per attivare il disco volante e tornare quindi indietro). Il tradimento avrebbe tolto di scena Ziegler, come da effettiva sceneggiatura.
Una volta tornati nella nostra realtà, Peck e Martin si sarebbero riuniti ai loro alter ego, fondendosi a livello subatomico e regalando loro sconcertanti ricordi di eventi mai vissuti: Martin avrebbe dovuto tirare le somme a casa propria, mentre Peck avrebbe usato queste conoscenze in Antartide, per procedere da solo fino al laboratorio. E qui avremmo avuto la sorpresa che è anche quella del finale dell’albo: Peck non aveva previsto di poter morire in QUESTA realtà e la sua mente si sarebbe riunita a un cadavere, solo per essere definitivamente sconfitta.

Altra cosa da sistemare: il colloquio con George McCardell, che già ora non funziona e che, con questo nuovo finale, avrebbe costretto Martin a rievocare ricordi non suoi, ma già presenti.
Accorciando questo colloquio, sarebbe stato possibile dare più spazio a Peck, che attualmente stona anche perché è un personaggio che viola una delle regole più importanti del giallo. Infatti, pur comparendo solo a pagina 111, è il colpevole!
Dare un retroterra a questo misterioso scienziato così longevo avrebbe reso più sensata la storia e avrebbe per esempio permesso di coinvolgere Agarthi e Kut Humi: ciò avrebbe dato più sostanza a quel vago accenno di Martin alla propria iniziazione (altro elemento citato in fretta e furia per giustificare i suoi improvvisi “superpoteri”) e, soprattutto, si sarebbe collegato alla familiarità che Kut Humi ha con i suoi ex colleghi nazisti.
Per impedire che Agarthi divenisse la chiave risolutiva della vicenda, si sarebbe potuto aggiungere il classico tema della scelta personale di Martin Mystère o della risoluzione “scritta nel libro del destino”.
Kut Humi avrebbe potuto decidere di non dover agire, perché un suo intervento non avrebbe risolto le cose, ma avrebbe innescato una eco multiversale che avrebbe dato origine a un’infinità di derivazioni, invece che ricondurre la singola deviazione attuale alla nostra.
Per evitare la solita gag di Kut Humi che spiega al discepolo che non bisogna muovere un dito, si sarebbe potuta coinvolgere anche Altrove: Kut Humi avrebbe provveduto a “bloccare” ogni intervento di Altrove, magari entrando in scena per spiegare a Tower ed Aldous quanto ipotizzato sinora (e cioè che per contratto Martin deve essere sempre il fulcro di ogni evento cruciale della realtà).

Agosto 2012

Storia di Carlo Recagno
Arte di Esposito Bros

Nell’ambito delle celebrazioni dei trentennale, la collana regolare di Martin Mystére dedica un albo ai nemici storici per eccellenza (escluso Sergej Orloff) e alla loro evoluzione nel corso degli anni: si tratta degli Uomini In Nero, nella loro versione "moderna" in cui la fazione delle Colombe sembra finalmente aver avuto il sopravvento su quella violenta e spietata dei Falchi. Non che ci sia da farsi illusioni, ovviamente: sebbene si tratti di un’anima più intellettuale degli UiN, la fazione delle Colombe persegue comunque lo scopo di mantenere l’umanità nell’ignoranza della storia, per cui non esita a ingannare, rubare e uccidere, pur di garantire lo status quo del sonno della ragione.
A dire il vero, gli UiN in versione filosofica sono già apparsi durante le celebrazioni dell’anniversario, ne Gli enigmi del giovane Martin (Speciale Martin Mystère n. 29), ma in quel caso si trattava della loro versione antecedente al 1984, e la trama non era focalizzata sulle dinamiche del gruppo.
In questo albo n. 322, invece, la famigerata "organizzazione dei distruttori della conoscenza" gioca un ruolo di primo piano e ciò offre l’occasione di ridefinirne posizione e situazione nella continuità mysteriana contemporanea, facendo il punto del passato e anticipando il futuro.
Per quanto riguarda la storia relativamente recente degli UiN, si parla di come Erickson (un Uomo In Nero "illuminato" creato da Vincenzo Beretta e poi rilanciato da Alessandro Russo) cerchi di riformare l’organizzazione: si vede che l’incontro con Martin, che sembrava aver portato quest’ultimo a condividere una certa parte della mentalità degli UiN, ha invece avuto l’effetto opposto di aprire gli occhi a Erickson. Per la storia più antica, si allude al tentativo di reclutare Martin, visto nel succitato Speciale n. 29.
Non manca un altro riferimento alla continuità che sembrava ormai dimenticato: il misterioso "grande capo massimo" degli UiN, chiunque egli sia (Mark Mystére? Zio Paul?), ha dato ordine di non torcere un capello a Martin, del quale parla sempre di un certo affetto: lo sappiamo sin da La città dei maghi (Martin Mystère Gigante n. 9).
Il nuovo Uomo In Nero qui introdotto, il signor Mallory, specifica che le Colombe non considerano Martin un pericolo: eppure, nello stesso tempo, le sue parole sembrano presagire uno scontro futuro.

Che Martin non sia stato influenzato dai suoi contatti con gli UiN, però, è improbabile: più di una volta, infatti, gli è capitato di distruggere oggetti provenienti da un passato sconosciuto, solitamente dopo che questi ultimi erano stati utilizzati da personaggi senza scrupoli che erano giunti a causare una qualche catastrofe.
In questa nuova storia non ci sono oggetti del genere, ma durante la puntata di “I mysteri di Mystére” compare un aspetto di Martin vista solo di rado, ma non sconosciuto: quella dello scettico implacabile, che smantella con rigore ferreo (e fanatismo quasi crudele) le teorie del povero complottista di turno.
E’ veramente così, quindi? Con l’età, Martin è praticamente diventato un Uomo In Nero, che zittisce chiunque offra “interpretazioni alternative” della realtà? Sembrerebbe di sì, soprattutto alla luce dei discorsi di scherno che, anche in privato, porta avanti riguardo al complotto delle scie chimiche.
Eppure, questa è una lettura superficiale: quelle che Martin sta demolendo, infatti, sono le affermazioni menzognere di un cialtrone che sta deliberatamente e con malizia facendo leva sulle paure della gente comune, per seminare il panico e distrarla dai veri problemi. E Sebastian Holtz non è solo uno sciacallo che specula su teorie assurde a scopo di lucro, è anche e soprattutto un agente (ignaro) degli Uomini In Nero, dedito a propagare una menzogna creata da questi ultimi.
In altre parole, e per usare proprio le sue, Martin ha “annusato” istantaneamente la natura (telefonata dalla sceneggiatura) di imbroglione di Holtz (come già gli è accaduto in passato, e dopotutto ha un’esperienza trentennale con questi personaggi, ormai li saprà distinguere!); contestandone le teoria, ha a tutti gli effetti combattuto contro l’ennesimo inganno degli Uomini In Nero.
Nonostante le apparenze di oscurantista, quindi, Martin ha ancora una volta cercato di opporsi ai suoi eterni nemici (che comunque dicono di non essere tali, ma a parole siamo bravi tutti). La differenza rispetto ai conflitti tradizionali è che qui la battaglia si gioca su un piano più “intellettuale”, in cui la presunta “verità scomoda” è invece uno strumento degli UiN (come nel famoso adagio sul diavolo che cita le sacre scritture a proprio vantaggio).
Purtroppo, anche questa volta gli UiN hanno vinto; come sempre, visto che Atlantide e compagnia sono ancora considerati fole per bambini, dalla società contemporanea dell’universo di MM. A pensarci bene, la sola “sconfitta sul campo” riportata dagli UiN è sempre stata solo quella di non riuscire a uccidere Martin nei vari scontri a fuoco: per il resto, se si eccettuano le schermaglie in chiave supereroistica con Altrove su Zona X, purtroppo è sempre riuscito loro di far sparire in qualche modo le prove scomode di qualunque realtà volessero tenere segreta al pubblico.

Torna quindi anche un elemento degli UiN che è stato evidenziato anche da Alfredo Castelli e da Russo, il primo in occasioni relative soprattutto alla ideazione dell’ideologia del gruppo, il secondo su Zona X.
Si tratta della manipolazione dell’opinione pubblica, ottenuta facendo leva sul paure e pregiudizi: non a caso, si tratta di due elementi che nascono dall’ignoranza, che gli UiN sono maestri nell’alimentare. Nel fumetto, la paura è quella di “un pericolo da complotto”, come appunto le scie chimiche, ma non è difficile cogliere un’affinità, per esempio, con il “pericolo dello straniero che viene qui a stuprare e rubare il lavoro” oppure il “pericolo dei comunisti”.

A proposito della congiura del titolo, per risolvere questa trama è stata scelta una soluzione “al contrario” che è già comparsa almeno una volta nella serie. E non a caso, Cospirazione Luna (Martin Mystére n. 295) è proprio l’unico albo di cui viene fornito il rimando in una nota interna.
Non è solo per quello che la trama ci risulta familiare, però: l’idea di uno sceneggiatore che viene assunto perché usi inconsapevolmente la sua fantasia per gli scopi di una qualche sinistra organizzazione segreta non è esattamente nuova.
Dove l’abbiamo già sentita? Al momento mi sfugge, ma sembrerebbe una trama da Zona X prima maniera, oppure da antologia dei “racconti impossibili” di Martin, o addirittura da Topolino. Presumibilmente, si tratterebbe di una storia scritta da Castelli, spiegando così le numerose somiglianze fisiche e professionali tra lui e il personaggio di Canton Everett Delaware III (che anche il nome nasconda un qualche gioco di parole?).

Congiura nei cieli può essere diviso grossolanamente in tre parti e la terza, che comprende la rivelazione della verità sul non-complotto fornita da Canton Everett e l’incontro di Martin con gli UiN, costituisce la parte più interessante.
La prima parte riguarda in linea di massima la caduta di Fred Morton nella spirale della paranoia e risulta un po’ scontata e ridondante (come è ovvio che sia, visto che sta dipingendo le fantasie ossessive di una persona vittima della paranoia).
La seconda parte, che coinvolge Martin (lo scontro televisivo con Holtz e le “indagini” sulla morte di Morton) è la più verbosa e lenta: sebbene la documentazione sull’argomento (pro e contro) sia estremamente benvenuta, l’impressione è che l’esposizione della stessa sia stata fortemente dilatata per compensare la semplicità della trama e raggiungere così la quota obbligatoria delle 160 pagine.
Questo albo è uno di quelli che avrebbe forse beneficiato di una composizione a doppia storia: una prima storia da un centinaio di pagine per la vicenda delle scie chimiche; un’altra storia di una sessantina (sullo stile di quello che era il formato originale pensato per MM) con un argomento completamente diverso e di soluzione più rapida (magari una storia d’azione, per bilanciare la precedente). Così non è stato e ben vengano quindi le argomentazioni abbondanti, che per fortuna sfuggono al rischio di essere ridondanti (e già questo da solo è un conseguimento assai notevole).
Benvenuto è stato anche l’esito dello scontro verbale tra Martin e Holtz nella diretta tv: in mano a sceneggiatori mediocri, per riuscire a far comprendere al lettore chi è il “cattivo” della situazione, Holtz avrebbe alzato le mani su Martin, scatenando una rissa conclusa da Martin che avrebbe sferrato un indignato pugno finale “da giusto castigatore” all’imbroglione spregevole. Questa soluzione, tanto volgare quanto abusata, ci è stata risparmiata, nonostante l'attuale direzione artistica della serie indulga con persistenza in simili scelte stilistiche dozzinali e tanto simili all'imperante mediocrità della televisione targata Mediaset.

Anche la sequenza con i coniugi Morgan (che non si chiamano più Jones, e se volete sapere perché dovete leggere La vendetta dellampadario) sembra svolgere il ruolo di riempitivo, sebbene sia divertente che almeno in queste pagine il compito di tirarla lunga venga affidato a elementi noti della continuità.
Stesso discorso per il pedinamento degli UiN ai danni di Martin, con relativo pestaggio: ai vecchi tempi sarebbe stata una scena d’azione obbligatoria (quanto inutile e noiosa); al giorno d’oggi, sembra solo improbabile.
Altre sequenze che sanno di riempitivo sono quelle relative alle conversazioni del pilota  aereo Hal.
La stessa caratterizzazione piuttosto manichea dei due “cattivi” (cioè il fanatico della cospirazione Morton e il populista Holtz), reiterata da diverse angolazioni, stanca in fretta per la sua ovvietà grossolana. Forse sarebbe stata meno noiosa (e meno riempitiva) se i due personaggi non avessero ricevuto connotazioni da “malvagio” così grezzamente esplicite, sia nei dialoghi che nei disegni: coi loro vaneggiamenti, dozzinali e palesemente infondati, porgono entrambi i fianchi a Martin per essere sbugiardati e derisi all'istante; e non parliamo delle smorfie da “vero cattivo” di Morton, veramente fuori luogo per un personaggio che a rigor di logica dovrebbe vedere se stesso come l’eroe della situazione. Al lettore viene il sospetto di stare perdendo tempo, nel seguire le vicende private di due simili poveracci tanto impegnati a darsi la zappa sui piedi a ogni passo. Certo, non siamo ancora al livello del poliziotto razzista cattivissimo che si esibisce in deliri auto-accusatori nel bel mezzo di un processo (neanche soffrisse della sindrome di Tourette), ma l'andazzo è desolantemente lo stesso.

La presenza di Travis e Diana, la coppia di autori e il periodo estivo della pubblicazione di questo albo sono elementi che lo accomunano (per caso) a Con la coda dell'occhio (Martin Mystére n. 315), uscito nel 2011. E anche là c’era un famoso fanatico dell’ipotesi ufologia, cioè il povero Eriksen. Diventerà mica un’altra tradizione della collana?

Il pilota di aerei si chiama Hal: sarà un riferimento ad Hal Jordan, cioè la “Lanterna Verde” per eccellenza del fumetto DC Comics di Green Lantern?
Da notare l’ennesima ragazza che fa la svenevole con Martin: un altro esempio della formula di elementi ricorrenti per sradicare il personaggio dalla sua costruzione narrativa unica e incastrarlo in un eterno presente alla Dylan Dog.

L’intreccio di Cospirazione nei cieli è particolarmente lineare, così banale nella sua semplicità da sfiorare spesso la noia durante la lettura, nonostante i contenuti validi. Il cambiamento di stile di Recagno è particolarmente netto, se lo si confronta con certe sue opere precedenti che dimostrano la capacità di gestire narrazioni molto più complesse (le famose “sfide” al lettore, che ripagano effettivamente dell’acquisto dell’albo). Non è chiaro se si tratti di una fase di stanca, di una storia poco ispirata, di una nuova linea per la serie o di un tentativo di omaggio: la struttura con scene che fanno pensare continuamente a situazioni da cospirazione, ma si risolvono in cose più “ordinarie”, richiama con forza Affari di famiglia (Martin Mystère nn. 174-175), nel quale sembrava che ogni angolo della storia della famiglia Mystére nascondesse chissà quali misteri, mentre in realtà si trattava sempre di equivoci ed esagerazioni.

Le fondamenta di una leggenda metropolitana: “ci credo perché è già successo”

Gli articoli finali di approfondimento dell'albo non possono approfondire più di tanto, visto che la storia ha avuto modo di sviscerare l’argomento assai più dettagliatamente di quanto possano fare tre semplici pagine, ma c’è una osservazione di Alfredo Castelli che vale l’intero albo: nella nostra realtà, numerosi analisti sapevano della crisi finanziaria che stava per abbattersi sull’USA e l’Europa, ma hanno taciuto, per vari motivi; non è quindi impossibile che alcune leggende metropolitane sulle congiure siano vere, perché il ragionamento del “coinvolge troppe persone, e qualcuno parlerebbe” non ha funzionato nella realtà dei fatti. Esiste un precedente, insomma, ed è abbastanza triste notare come il curatore della serie sia costretto a smentire le prese di posizione ingenuamente assolutistiche dello stesso fumetto che sta documentando a favore dei lettori.

Da qui, ci si sposta a un altro ragionamento che non regge: “se le scie fossero dannose, come farebbero i cospiratori a proteggersi?”. La risposta potrebbe essere la stessa di poco fa: la crisi finanziaria, nata dalla bolla speculativa che scommetteva sull’insolvenza di sempre più gente che si indebita per vivere al di sopra dei propri mezzi (come accade anche da noi), non ha colpito che i “poveracci”; i principali attori di questo disastro sono spesso e volentieri diventati più ricchi, e anche se qualcuno (pochissimi) ha pagato (relativamente), molti altri ne sono usciti indenni perché i governi stessi sono intervenuti per salvarli. E gli “aiuti” sono stati trasformati in premi personali.
Insomma, chi causa scientemente un disastro per trarne vantaggio, probabilmente è così astuto da procurarsi i mezzi per proteggersi dallo stesso.

Se vogliamo un altro, esempio, consideriamo come i grandi industriali dell’auto e del petrolio non siano esattamente esposti alla stessa atmosfera inquinata che respiriamo noi: usano elicotteri mentre noi soffochiamo nel traffico, fanno costruire eliporti ovunque in barba alla devastazione ambientale, dispongono di uffici in cima a grattacieli sempre più nuovi, hanno la climatizzazione artificiale dell'ambiente ovunque si spostino, vivono in ville circondate dal verde in bellissime zone scarsamente popolate, passano tutti i periodi che vogliono in paradisi turistici elitari e incontaminati…

Oppure, possiamo parlare di Quirra, in Sardegna, o delle discariche di materiali radioattivi che infettano sia quell’isola che il resto del nostro territorio. Che si tratti “dell’esercito” che compie esercitazioni/sperimentazioni con armi “sporche” o “del governo” che deve compiacere i privati che vogliono arricchirsi subito con la produzione energia, poco importa (e visto com’è facile trasformare una denuncia in uno scherno di delirio paranoico, virgolettando le parole chiave che screditano automaticamente il testo?).

Il risultato è sempre lo stesso: non sarà un complotto per ottenere qualche risultato da film di fantascienza (o da fumetto del mystero), ma comunque siamo davanti al frutto dell’irresponsabilità, dell’avidità e della dissennatezza inconfessabile di rappresentati di interessi privati che non si sono fatti scrupoli a perseguire i propri scopi con qualunque mezzo, incuranti delle conseguenze che ricadono su altri.

In conclusione, dopo questa edificante carrellata di esempi “paranoici”: la credibilità di cui godono certe “teorie paranoiche del complotto” non sta nella forza oggettiva delle prove addotte, ma nel fatto che ogni giorno, intorno a noi, vediamo i risultati dell’incoscienza di amministratori delegati e compagnia che avvelenano irresponsabilmente ogni angolo del mondo al solo scopo di pompare le loro stock options e simili, solitamente dopo che il politico di turno si è riempito le tasche di tangenti concedendo non solo favolosi appalti, ma anche permessi per svolgere attività illegali con un effetto devastante sulla salute dei comuni cittadini (come lo sversamento di materiali tossici nelle fondamenta di una nuova linea ferroviaria dedicata a un trasporto merci inesistente; o la costruzione di centri commerciali sopra terreni non bonificati che avevano ospitato per decenni industrie chimiche che producevano scarti letali; casi concreti che hanno visto interventi dei Carabinieri, della Magistratura e dell’Unione Europea, purtroppo a disastro fatto).
A fronte di ciò che esperiamo personalmente, sentirci raccontare che “il governo” (o le aziende private che controllano gli enti statali tramite persone chiave che intrecciano gli interessi più disparati, sedendo in n-mila consigli di amministrazione) sta favorendo attività a noi dannose nei cieli per motivi che ci vengono tenuti nascosti, ci sembra non solo credibile, ma estremamente probabile. Perché è un comportamento che viviamo sulla nostra pelle ogni giorno, solo in altri ambiti.

Lungi da noi sostenere che questa particolare teoria del complotto abbia qualcosa di credibile, sia chiaro. Quello che manca nella teoria della cospirazione delle scie chimiche, ovviamente, sono le prove concrete: analisi dei gas, campioni di questi “veleni”, letteratura medica sugli effetti che avrebbero (ma come si fa a pretendere di correlare ciò che accade al suolo con quello che viene disperso in cielo e ad alta quota? Con tutte le più disparate forme di inquinamento che già ci stanno avvelenando e che provengono da luoghi molto più a portata di mano, ma che nessuno si preoccupa di controllare?).

E’ un peccato però che Martin Mystère, fautore del pensiero laterale (come ci ricorda bene Cristian Di Biase nell’articolo che segue), si sia fatto sfuggire l’occasione per riflettere su questa componente psicologica/sociologica di una certa attualità (però c’è una vignetta in cui usa la parola “inquinamento”): da come persegue con ostinazione maniacale solamente lo smantellamento di questa teoria del complotto, sembra quasi che abbia un accanimento personale verso l’argomento (di cui però non c’è traccia nel fumetto o nella sua storia persona). Forse sarebbe stato più efficace mostrare un Martin Mystère vagamente possibilista all’inizio, ma che è costretto a divenire uno scettico implacabile davanti ai ragionamenti insensati e all’arroganza infantile manifestati da Holtz e Morton nell’esporre/imporre le loro Verità: per come è presentata la storia, invece, sembra che Martin li abbia giudicati a priori. Non è nella psicologia del personaggio, ma la storia non si degna minimamente di dare spazio a questa fase, nonostante l'ampia quantità di pagine a disposizione.

In conclusione: una definitiva pietra tombale su qualunque remota possibilità di parvenza di credibilità di questa congiura è stata comunque posta dalla nota relativa all’interrogazione parlamentare sul tema presentata dall’onorevole “Responsabile” Scilipoti.

Il punto della situazione: Martin Mystére ieri e oggi. E domani?
di Cristian Di Biase

Martin Mystére n.322 è l'esemplificazione delle profonde contraddizioni che regolano il mondo, anzi, i mondi: quello reale e quello "mysteriano".
Abbiamo già spiegato abbondantemente la prima contraddizione: le menzogne quotidianamente perpetrate ad ogni livello sociale e mediatico, illusoria speranza e spesso unico rifugio esistenziale di molte (troppe) persone, sono l'unica via per tirare avanti quella complessa carretta che è la nostra società.
La seconda contraddizione non è del tutto slegata dalla prima, ma, meno pretenziosamente, si limita ad influenzare il percorso narrativo ed editoriale del nostro personaggio preferito. Detto in parole semplici: Martin Mystére, oggi, è un fumetto pieno di contraddizioni.
Il detective dell'impossibile, che sempre si è (giustamente) vantato, e nell'albo in edicola di nuovo se ne vanta, di possedere una mente aperta e scevra di pregiudizi, ma mai freddamente cinica, spesso e volentieri ha dimostrato il contrario. Il celebre Xanadu (Martin Mystère Gigante n. 2), il primo team-up con il quasi intollerato Dylan Dog o la gran parte delle storie scritte da Morales sono alcuni esempi di queste cadute di stile dell'uomo Martin. Una lista, questa, a cui va ora aggiunto il nuovo Congiura nei cieli, sul quale, però, grava un ulteriore fardello. Chi scrive ha iniziato a leggere Martin Mystére esattamente dieci anni fa, nell'Agosto del 2002: l'albo era il n. 245, seconda parte di una trilogia a sua volta tassello di una saga dai toni fantastici, avventurosi e soap. Fosse in edicola oggi, probabilmente strali d'ogni forma e tipologia colpirebbero quella storia marvelliana e fantasiosa, per di più monca e completamente immersa nella continuità. Orrore!
Ci si domanderebbe, credo, come un albo del genere possa interessare un quattordicenne ed invogliarlo a recuperare in fretta e furia gli arretrati. Dieci anni più tardi, lo stesso trio d'autori responsabile di quell'eresia (ma allora era più o meno la norma) imbastisce una storia in cui Martin pare aver completamente dimenticato che alla mente aperta e ai pensieri laterali ha sempre affiancato una buona dose di fantasia (infantile fantasia, perchè no?).
Nella sequenza - destinata a divenire celebre al pari di altri storici momenti mysteriani - di Congiura nei cieli in cui Martin sbugiarda in diretta tv Sebastian Holtz è ravvisabile la contraddizione umana del nostro eroe (o antieroe? Né l'uno né l'altro, in realtà). Martin fa cosa buona e giusta nello screditare bufale e menzogne e fa cosa ancora più giusta nel ridimensionare il populismo mediatico di cui si fa forza Holtz (ma va detto che molto lo aiuta la configurazione stereotipata e isterica dello stesso Holtz). A mio avviso, però, sbaglia nel non lasciare assolutamente e inequivocabilmente aperto alcuno spiraglio di possibilità a favore della tesi, per quanto assurda possa essere. La questione non riguarda nello specifico le scie chimiche, che fungono da casus belli: è l'atteggiamento di Martin nei confronti del mystero di turno che qui si vuole analizzare.
Nel 1982 Martin era assolutamente convinto dell'esistenza di Atlantide e Mu, pur essendo totalmente sprovvisto di prove concrete (com'è noto, le troverà solo nel n. 1). Non godeva nemmeno di molto credito, e "Mystère's Mysteries of the past" e "Mystère's mysteries" (il suo libro e la sua trasmissione televisiva) avevano la stessa valenza che hanno oggi i libri e i programmi tv di Roberto Giacobbo (con l'ovvio distinguo: Martin è arrivato prima). Si dava, però, da fare, si poneva domande anche razionalmente "assurde" ed otteneva, così, qualche risultato. Trent'anni dopo, Martin scredita il complottista, ma non contribuisce attivamente al discorso. Si potrebbe obiettare, e non a torto, che sia il complottista a dover dimostrare la propria tesi, e/o che la tesi sia, in ogni caso, abbastanza assurda da poter essere ridimensionata senza troppi patemi. Eppure chi scrive è convinto che un tempo Martin i patemi li avrebbe avuti.
Nell'intervista del 15 Agosto pubblicata su l'Unità, Castelli ripropone un suo cavallo di battaglia: il mistero non sta sepolto in qualche isola sommersa ma lo si trova anche dietro l’angolo di casa. Martin resta sempre un incurabile curioso, in grado di trovare qualcosa di affascinante in ogni posto, in ogni oggetto. Mi piace ripetere spesso una frase di Maupassant: “La cosa più insignificante nasconde un po’ di mistero: troviamolo”. Evidentemente in Congiura nei cieli Martin si dimentica dell'insegnamento di Maupassant ed eccede in scetticismo nei confronti dell’inspiegabile come Piero Angela e il Cipac (il Comitato per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) (ovvero il Cicap, a proposito di informazione corretta...) cui Castelli si "sente più vicino" rispetto al Giacobbo emulo del suo personaggio. Nulla di male, i tempi cambiano, e l'evoluzione di personaggio e autore è uno dei punti di forza e di vanto della serie. Tuttavia, è una serie che non ha ancora ritrovato quell'equilibrio ben sintetizzato da Castelli nella succitata intervista: Penso che uccidere la fantasia sia una grave colpa, anche se è molto peggio trattare le persone come boccaloni... forse c’è una via di mezzo. Eppure, la serie di Martin Mystère ha festeggiato trent'anni di onorata carriera con una storia di pura fantasia che ha dovuto giustificare l'essere di fantasia, ed ora con una storia ultrarazionale che cerca di giustificare l'essere ultrarazionale. Nel mezzo, due storie paradossalmente troppo equilibrate, prive di particolari guizzi.
Come mai una serie così contraddittoria, quasi che fosse intimorita da se stessa e dalle proprie potenzialità? Viene da pensare che anche la bimestralità - al pari di altre formule editoriali sperimentate in passato - abbia imbrigliato autori e personaggi in una gabbia che, terminato l'entusiasmo "caciarone" iniziale, si sta rivelando meno dorata di quel che poteva apparire qualche anno fa. Eppure è questa la via che da tempo Castelli pare aver scelto: non è sconosciuta ai più la voglia del creatore di Martin di trasformare il suo fumetto "italiano", dal paratesto economico e dalle uscite ravvicinate, in un fumetto "francese", dal paratesto particolarmente curato e dalle uscite sporadiche, o comunque molto diluite nel tempo. Il personaggio Martin, essendo di carta, sopravvivrebbe benissimo alla transizione, anzi, azzardo una previsione: sopravvivrà senza dubbio. Morirebbe, invece, la serie, nel senso più stretto del termine, ovvero nell'accezione di opera seriale o serializzata, costituita da storie concatenate, dalla doppia valenza di singole avventure e tasselli di un mosaico più grande (la chiameremmo continuità, se non fosse che quella parola pare essere divenuta una parolaccia); morirebbe il Martin Mystère fumetto seriale, per capirci.
Sono due strade, quella tradizionale bonellide e quella più ingenua ed autoconclusiva, entrambe legittime e fruttuose, se ogni potenzialità ne viene sfruttata appieno. Per ora Martin Mystére è ancora in Bonelli ed è, formalmente, ancora un'opera seriale, ma si presenta come una Ferrari utilizzata a mo' di utilitaria. Per sfruttare appieno le potenzialità del fumetto, occorrerebbe, a mio avviso, renderlo per l'appunto più "seriale" e fare in modo che finito un albo si abbia già voglia di leggere il successivo. Per fare questo occorre che Martin "ritrovi uno scopo", come già lo stesso Castelli si riprometteva più di dieci anni fa sulla mailing list BVZM. Occorrerebbe, credo, un leitmotiv che ad ogni storia dia l'impressione di aver letto, oltre alla storia, una parte di una Storia più grande. Di nuovo, per fare questo occorrerebbe che Martin per primo recuperi la voglia di trovare il mystero anche nella cosa più assurda ed insignificante. Anche in una scia chimica, perchè no?
E se Castelli non ha voglia di impelagarsi in un'iniziativa simile, beh, lui stesso fornisce una soluzione: Nel 2015 saranno cinquant'anni che faccio questo lavoro e un po' mi sono rotto. Le singole storie mi annoiano e m'interessa di più la progettualità, le sfide divertenti, mescolare le cose. Ecco, rilanciare Martin sarebbe una sfida degna di questo nome. Antonio Serra, su Nathan Never, sta provando a farlo con il proprio personaggio. Sarebbe interessante vedere una cosa simile su Martin Mystère: Castelli progetti un rilancio, tessendo e architettando dietro le quinte, ed affidi alla squadra di sceneggiatori il compito più gramo, quello di scrivere materialmente le storie. Ne risulterebbe, credo, un lavoro di squadra che potrebbe portare a buoni frutti.

Martin ne ha bisogno, se vuole sopravvivere nella veste che si è cucito addosso. D'altro canto, è vero che a settant'anni non si può essere come a trenta. Ma, applicando il pensiero laterale, è altrettanto vero che a trent'anni appena compiuti non si può essere come a settanta.

p.s.: Ultimamente su Martin Mystère si commettono errori grossolani (vedere il pur brillante L'ombra di Fantômas, Almanacco del Mistero 2012). A pag.57 di Congiura nei cieli Martin, in tv!, dice: Da qui l'appellativo di "scie chimiche", in inglese "chemtrails"... in quale lingua parla, di solito, il Nostro americano preferito?

Un altro esempio di contraddizione: errori banali nel fumetto più colto e curato di Casa Bonelli.

Storia di Alfredo Castelli
Arte di Giulio Camagni 

La trasformazione a cui viene sottoposto Martin Mystère da qualche tempo (ai fini di garantire la sua sopravvivenza in edicola) comporta una standardizzazione della struttura delle storie, riconoscibile in certi elementi obbligatoriamente ricorrenti che risultano essere abbastanza noiosi per il Mysteriano medio, specialmente in un albo di 160 pagine, perché si distaccano dalle caratteristiche culturali di Martin Mystère e riconducono la serie al livello di un qualunque altro prodotto da edicola. Chiaramente ciò garantisce l’aspetto economico e la continuità della pubblicazione, ma così si perde anche quell’unicità che rendeva interessante Martin Mystère.
Preso atto di ciò, senza che sia da intendersi come critica, ma come banale constatazione di un dato di fatto, non resta che sperare che lo sceneggiatore di turno sia abbastanza abile da riuscire a infilare i propri stilemi in questa gabbia commerciale: dopotutto, 160 pagine sono tante e le occasioni ci sono.

Con Alfredo Castelli ai testi, è inevitabile che ciò accada, forse anche perché è il creatore della serie e quindi può concedersi una deroga alle sue stesse regole. Ecco quindi che Voci dal passato si rivela essere un albo squisitamente mysteriano, capace di proporre i letimotiv più affascinanti e stimolanti della serie: la ricostruzione (in una sequenza non lineare) di eventi di diverse epoche storiche in una chiave “impossibile”, l’indagine nel presente che connette e spiega il quadro d’insieme di questi eventi, il manufatto “impossibile” intorno a cui ruota ogni cosa, la mytologia della serie (in chiave minimalista) e le raffinate strutture narrative del “racconto nel racconto” (come sempre, ricordiamo che è una tecnica assai utilizzata dai romanzieri, che spesso e volentieri presentano la loro storia come raccontata da altri; si veda lo stra-citato Il nome della rosadi Umberto Eco, ma anche I promessi sposi).

Ma soprattutto, questo albo si caratterizza per un viaggio nel viale dei ricordi che trasmette una struggente sensazione di nostalgia, pur raccontandoci un aspetto intimo della giovinezza di Martin Mystère che è del tutto inedito: solo Castelli poteva darci l’impressione di “ripensare” con piacere a eventi passati che in realtà non conoscevamo.

L’emozione generazionale davvero intensa che accompagna l’intera storia (ben sintetizzata dalle parole di Diana e Java: Martin sta letteralmente conducendo un’indagine mysteriosa insieme al padre) è gestita con classe, sobrietà e intelligenza, nello stile tipico di Castelli, fortunatamente lontano dalle esposizioni isteriche, sguaiate e urlate a cui ci hanno purtroppo abituato certi pessimi esempi televisivi (che purtroppo il mondo del fumetto si sente spesso obbligato a inseguire per compiacere la “pancia” dei lettori).

Il viaggio nel passato di questo albo ha una forza narrativa notevole anche grazie a un altro aspetto di cui Castelli è maestro incontrastato. Si tratta dell’efficacia della ricostruzione di un’epoca (in questo caso, gli anni 1950), che si impone con naturalezza in ogni minimo dettaglio: le riviste dell’epoca, l’apparecchio (simil?) “Geloso”, le traversie della realizzazione e proiezione dei film a 8 mm eccetera. Sono apparenti minuzie come queste che distinguono il vero Martin Mystère (quello accuratamente documentato, in cui le scene storiche trasmettono una sensazione di vita vissuta, invece che di imitazione superficiale dei telefilm alla moda del momento).

Lo stile della narrazione si adegua al tono della storia, e procede in modo accorto e meditato, quasi come se stesse camminando in punta di piedi per non disturbare qualcuno: la sensazione, assai felice, è quella di muoversi in un solenne museo della memoria dove il nostro silenzio ammirato è la migliore manifestazione di rispetto per ciò che stiamo osservando. Nello stesso tempo, però, la progressione narrativa è anche incessante: ogni sequenza espande il quadro generale della trama, sviluppando le vicende dei numerosi personaggi (oppure oggetti) coinvolti in questa storia a incastro (Ipazia, Kircher, Mark, Robert, Martin, gli Uomini in Nero, i macchinari e i rotoli); ogni sequenza contiene inoltre rimandi e collegamenti alle altre, in modo che ogni personaggio abbia il piacere e il dovere di completare le vicende altrui, creando così le appaganti connessioni narrative che il mysteriano ama ricostruire (lo ribadiamo ancora: leggere un albo di Martin Mystère deve essere una sfida intellettiva, altrimenti non serve a nulla scegliere proprio questo fumetto invece che altri). E' un viaggio nella storia, da intendersi in senso letterale e letterario, una scoperta del passato sia nel senso ampio del termine (Ipazia, Kircher) che in quello "stretto" (Mark e Martin), dove ogni pagina rivela nuovi dettagli sempre capaci di comunicare una malinconica sensazione di perdita che diventa tragica in certi casi (come per la fine di Ipazia) o struggentemente bella in altri.

Un altro paragone letterario che sembra molto pertinente è quello dei “romanzi fiume” generazionali, che appunto si comportano come quegli immensi fiumi che in apparenza scorrono lenti, ma intanto attraversano la storia: la vastità della saga dei Mystère, sebbene circoscritta per ora al solo ambito padre-figlio, è anche questo. Da qui l’approccio di Castelli, decisamente impegnativo e poco commerciale, specie per le generazioni abituate alla narrazione “a videoclip”: una benedizione per noi esigenti lettori della vecchia guardia.

(Nota a margine: l’idea Generazionale sembra richiamare l’albo Generazioni di Carlo Recagno che uscì per il ventennale: sarà un caso che il trentennale si chiuda proprio con questa storia?)

Il versante storico dell’albo mescola eventi documentati, come il naufragio di Athanasius Kircher o la tragica storia di Ipazia, a elementi di fantasia che, almeno a parole, richiedono una certa “sospensione dell’incredulità”. A rifletterci un attimo, non è per nulla vero: la richiederebbero se si trattasse di un film o di un romanzo a se stanti, ma fino a prova contraria e nonostante il maquillage in atto, Martin Mystère ha ancora una continuità, che permette in maniera elementare di spiegare come possa Ipazia aver costruito un congegno così elaborato, oppure da dove sia giunta l’idea originale al saggio greco senza nome vissuto nel 1000 a.C.
Veramente, noi lettori ci ricordiamo o no delle altre storie della serie? Specialmente di quelle belle, significative, creative e degne di essere ricordate?

Come da motto “una apparente contraddizione di MM è in realtà una storia che aspetta di essere raccontata”, ed ecco le storie in questione, che rispondono alle domande dehli ingenuotti che pensano di vanificare tutto il lavoro di Castelli per simili quisquilie.
Ipazia è davvero stata ispirata da qualcuno il cui lavoro è dare grandi idee ai grandi pensatori, in Nascita di una nozione.
E Mark Mystère è stato irretito dagli Uomini in Nero più di una volta, grazie all'intervento di una creatura artificiale vecchia di diecimila anni, e molto legata a suo figlio Martin, in La prima volta di Martin.
Nient'altro?



Sul versante artistico, non possiamo che elogiare un’altra eccellente prova di Giulio Camagni, illustratore impareggiabile nel creare un’atmosfera intensa e avvolgente, oltre che mantenere uno stile personale e unico nel caratterizzare i personaggi storici della serie. In altre parole: la redazione di MM, dopo il massacro dell’albo precedente, questa volta sembra essersi astenuta dalla malsana tentazione di “correggere” le facce dei protagonisti. Ed è un bene, perché a nostro avviso mescolare più stili su una tavola non funziona per nulla.


Martin Mystère n.328, “Protocollo Leviathan”

Agosto 2012

Storia di Sergio Badino 
Arte di Giancarlo Alessandrini


Proprio pochi giorni fa, recensendo il classico Speciale Martin Mystére n. 21, "Complotto a Wimbledon", e albetto allegato "I mysteri dello sport" (2004), ci stavamo augurando che sulla serie di Martin Mystère giungesse finalmente qualche nuova leva appassionata del personaggio e cresciuta con le storie dei tempi d'oro.
Qualcuno che amasse Martin Mystère così come Alfredo Castelli l'ha creato, e che volesse condurlo nell'epoca moderna non distruggendolo, ma valorizzandone tutte le caratteristiche che lo rendono unico. Lo ricordiamo per l'ennesima volta: non ce ne facciamo nulla di un Martin Mystère che copia film d'azione o fumetti di scazzottate e inseguimenti e pruriginosi fanservice: per questo, esistono i prodotti originali, che sicuramente funzionano meglio di un tentativo di imitazione. Da Martin Mystère noi ci aspettiamo quello che negli altri fumetti non c'è.
Ed ecco che, pochi giorni dopo, nelle edicole compare Protocollo Leviathan, che sembra rispondere a questi requisiti.


Lo sceneggiatore Sergio Badino esordisce sulla serie con un'avventura riemptiva che è un discreto biglietto di presentazione, in quanto non dice nulla di importante ma lo fa con ricchezza di Castellismi e Mysterismi di ogni genere: con una sola svista (relativa a Java), Badino dimostra di avere analizzato l'universo Mysteriano e le caratteristiche stilistiche di Castelli, che amalgama con altri stili narrativi più moderni.
E anche qui c'è una lieta sorpresa: come Castelli ha sempre amato esplorare le novità e integrarle armoniosamente in Martin Mystère, così fa Badino con le tecniche narrative. Questo sceneggiatore dimostra di conoscere i "trucchi del mestiere" impiegati nei telefilm e fumetti più alla moda, ma non permette che essi abbiano la meglio sul fumetto: il Martin Mystère di Badino non è una grossolana imitazione di un film d'azione maleodorante di cargo cult, ma un fumetto che sa di esserlo e soprattutto vuole essere tale, pur inseguendo anche gli approcci di altre produzioni.
Ecco quindi che l'amatissima tecnica Castelliana dei flashback, che spazia da quelli storici autonomi a quelli relativamente recenti delineati da una voce narrante (solitamente una lettera o i ricordi di un pensionato scorbutico), si fonde con tecniche di narrazione da telefilm "moderno" come può essere Lost. La narrazione balza improvvisamente in avanti, con stacchi da regia cinematografica, ma poi recupera i pezzi mancanti tramite flashback alla Castelli. Da notare anche come Martin non se ne stia mai seduto ad attendere, in queste situazioni: mentre la narrazione si dedica al contenuto di una lettera o a speculazioni su certe fotografie, le immagini mostrano un qualche tipo d'azione (Martin che guida attraverso territori sconosciuti): può sembrare una sciocchezza, ma qualunque sceneggiatore competente ci può spiegare come questo sia un trucco abituale per tenere avvinto lo spettatore. Che Badino riesca a farlo utilizzando gli stilemi di Castelli dimostra solo quanto siano attuali e validi questi ultimi, alla faccia di chi li vorrebbe seppellire.
Lo stile narrativo di Badino è genre savvy, cioè consapevole della elefantiaca produzione di fumetti mondiali: ecco quindi che, pur rispettando la classica gabbia bonelliana, Badino finisce con l'infrangerla silenziosamente, prendendo in prestito l'approccio dei comics USA per le scene più spettacolari. Splash pages, oppure vignette di due terzi della pagina, vengono dedicate ai momenti visivi più importanti della vicenda, e soprattutto compaiono sempre nel punto giusto della pagina (o della sequenza): la prima nave da crociera distrutta, Pueblo Escondido, la comparsa del Leviatano, la piattaforma... Badino sa quanto sia importante l'impatto visivo sul lettore, e lo serve in un formato fumettistico. Come dicevamo prima, non imita i film, ma ne prende in prestito solo ciò che serve; in caso di suggestioni "paesaggistiche", Badino torna a ricordarci che questo è un fumetto e deve essere narrato come tale, perchè mantenga un'identità. Non abbiamo usato il termine "paesaggistico" a caso: Badino riserva al mostro di turno la stessa attenzione che va riservata a luoghi storico-archeologici come Pueblo Escondido, e in questo modo recupera (su due versanti) un altro Castellismo, cioè quello dell'amore e della curiosità per i luoghi, le architetture, le geografie e la storia, amore che era uno degli aspetti più efficaci del Martin Mystère dei tempi d'oro.
Questa operazione, unita alla scansione narrativa di cui abbiamo appena parlato, ci porta a notare un altro aspetto: la sceneggiatura è stata costruita dalla prima all'ultima pagina, e solo dopo consegnata al disegnatore. Niente improvvisazioni, niente scene inutili, niente divagazioni incerte che poi vengono abbandonate: sa da dove parte, sa dove vuole arrivare e ci giunge a passo di marcia, in modo quasi implacabile. Già questo sarebbe bello per un fumetto qualsiasi, ma per essere Martin Mystère, non basta: bisogna sfidare il lettore. E infatti non si arriva alla meta in modo lineare, ma tramite i già citati flashback (di ogni genere), che compaiono nella storia sempre al momento giusto per chiarire le premesse di un evento cruciale (e questa è una tecnica tanto Mysteriana quanto da telefilm alla moda, come dicevamo).

Questa chiarezza di idee si traduce in una organizzazione della sceneggiatura che è preziosa per l'artista di turno: da quanto tempo non vedevamo un Alessandrini così partecipe della storia, e con un supporto alle matite/chine così contenuto? Il suo stile si riconosce nelle scene apocalittiche e in quelle paesaggistiche: la portaerei che affonda per opera dei tentacoli del Leviatano, il Pueblo Escondido, la mostruosità negli abissi... o anche solo nella apparente banalità dei tentacoli che delineano archi geometrici nei loro movimenti. Dietro queste vignette si riconosce l'occhio unico di Alessandrini, che i suoi imitatori possono ricalcare, ma non ricreare. E ancora, sono sicuramente sue le chine, quando spesso e volentieri il tratto diventa pulitissimo, ma ricco di particolari nitidi e limpidi, tanto numerosi quanto armoniosi. Che differenza tra queste vignette e quelle in cui le chine sono un ghirigori continuo, oppure tutto annega in improbabili ombre che sembrano nascondere invece che illustrare. Altro esempio di stile riconoscibile: i capelli di Karen, quando si sollevano e si separano in curve eleganti e regolari che danno la sensazione del vento che vi passa attraverso.

Il grande fascino visivo e mysteriano delle immagini e degli elementi di questa storia non si limita a dare di nuovo un senso alle 160 pagine dell'albo, colmandole come non succedeva da tempo con fatti interessanti (invece che lunghe e inutili sequenze riempitive clonate di scazzottamenti e sparatorie e urla e scene isteriche), ma fa di più: mysteriosamente, sembra contagiare lo stesso Martin Mystère.
Sebbene nelle prime scene Martin sembri essere quello strano personaggio acido e spocchioso degli ultimi tempi, improvvisamente si ritrasforma nel vecchio se stesso: curioso, impaziente, attivo e scattante. Di nuovo un indagatore dell'impossibile, programmaticamente identificato anche dal recupero del relativo abbigliamento. E così, per la nostra gioia, basta un nonnulla perchè Martin creda ai vaneggiamenti di un pensionato burbero che gli ha scritto un'educata lettera (Castellismo), come niente si precipita in New Mexico (Castellismo: geografia; il mistero degli Anasazi; la faccenda dei Code-Talker; The X-Files), da lì parte per il Giappone insieme a uno sciamano decrepito, finisce nella fossa delle Marianne con un'oceanografa non-arrapata, incontra il Leviatano, sfida una setta giapponese, vede andare a pezzi una piattaforma marina come se niente fosse e ne esce vivo. Dove abbiamo già visto una simile frenesia lucida e ragionata, in cui ogni passaggio è accuratamente calcolato e giustificato? Ah, certo. A parte Topolino, era Martin Mystère n. 279, "Il destino di Atlantide", il primo albo bimestrale: col declino degli ultimi tempi, è già equiparabile a un classico da tempi d'oro.

Abbiamo continuato a parlare di Castellismi, per cui cerchiamo di citarli (oppure aiutateci voi).
Il primo è anche il più vistoso, perchè con esso si apre l'albo: la riflessione sullo Yin e sullo Yang, che usa Martin/Diana e Martin/Sergej come archetipi del dualismo del mondo. Non c'è solo l'elemento Yin/Yang, ricorrente nel Castelli classico, non c'è solo Diana in un ruolo non-fanservice, non c'è solo il Sergej Orlof tamarro degli anni 1980. C'è proprio una dichiarazione programmatica di una concezione narrativa che ambisce a cercare costantemente di definire una struttura, un ordine e un senso al mondo e all'universo.
C'è l'ironia, con personaggi grottescamente comici come il cialtronesco capitano-guida turistica.
C'è l'omaggio a Star Trek. Ah, no, scusate: questo è un Recagnismo.
C'è il riferimento all'attualità, non relegato alle note della rubrica finale.
C'è l'eterno "conflitto" Aaron/Martin su come impostare Mystere's Mysteries.
C'è la Ferrari di Martin: non ama usarla, ma ogni tanto deve. E intimamente si vergogna di possederla. Se non è signorile il modo in cui Bardino propone questo tema!
C'è la variegata documentazione che corrobora tutto l'albo: Badino non è Castelli e non ama approfondire troppo le singole citazioni, che infatti sono molto stringate... ma sono anche tante. La mitologia e la storia dei mostri di mare, in occidente come in oriente. La ricostruzione storica "finta" del preludio alla battaglia delle Marianne, con accorto uso di personaggi storici e delle loro caratteristiche. La mitologia nordica. La storia degli Anasazi.
C'è il fascino della scoperta e ricostruzione di un evento storico impossibile, ma narrato in modo quasi plausibile.
Ci sono le sottili annotazioni en passant su guerra e nazionalismo.
C'è la pietà di Martin per il mostro, quasi un riferimento al suo "parente" de La tredicesima fatica.
E ovviamente tutto quanto già citato prima: la curiosità di Castelli per altre culture, geografie, eccetera; l'effervescente spirito giovane di Martin (senza bisogno della sventola di turno che gli fa gli occhi dolci, o di Martin che fa il galletto stagionato); il gusto per il racconto dentro il racconto, con i vegliardi che narrano a Martin lunghe storie "impossibili" che nessuno conosce; la struttura narrante su diversi piani temporali.

C'è tutto? Quasi.

A Badino sfugge una caratteristica di Java, cui il supervisore pone rimedio nei dialoghi finali. Però la correzione risulta mal fatta, visto che Java manco partecipa a quel dialogo per confermarla. Oppure stiamo travisando tutto e la scena è venuta così male sin dall'inizio, senza che nessuno lo notasse.
E come se non bastasse, davvero Java ha un potere "attivo" così forte? L'abbiamo sempre visto servirsi di piccoli animali per esplorare luoghi irraggiungibili, ma non ha mai usato i suoi talenti per frenare le innumerevoli e colossali bestie che hanno spesso minacciato lui e Martin, dai dinosauri in giù (o in su).

Il batiscafo supertecnologico capace di scendere a profondità che non esistono sembra un po' una forzatura alla Topolino. Anche perchè poi si parla del Challenger Deep, massima profondità mai raggiunta.
La riemersione accelerata dello stesso batiscafo sembra altrettanto improbabile, con una decompressione che si limita a danneggiare il batiscafo (per finta? Sappiamo che Karen vuole consegnare Martin e Onda a Nomura...).

Martin ha smascherato Karen perchè questa non aveva mostrato interesse a riprendere il Leviatano. Ma essendoci una telecamera attiva su batiscafo (come abbiamo visto), Karen stava riprendendo eccome.

Come mai la Marina USA aveva spedito a Guam un uomo del Protocollo Leviathan? Cosa sapeva dei mostri giapponesi ante-atomica? Davvero era completamente impreparata all'attacco del Ryu-Kaijin?

Cosa succede quando Martin parla del Ragnarok e della battaglia tra bene e male? Perchè una vignetta mostra Hitler e i soldati nazisti, sebbene il dialogo non li menzioni?

C'è infine una cosa che manca: le origini del Leviatano. Sebbene tutto in questa storia lasci presagire un gustoso seguito, in cui esplorare il mistero degli Anasazi, connettendolo alla stirpe sciamanica mondiale (e che, ci sono solo indiani d'America e giapponesi? No, ovviamente), non possiamo non chiederci che origine abbia il Leviatano.
Non è un semplice essere primitivo di un'epoca di mostri dimenticata, nonostante le parole di Martin: tramite Nomura, Badino lo connota come essere archetipo (sarà un Grande Antico?), capace di mostrarsi in diversi modi (viene dal mondo delle Idee? da quello del Sogno?) ma controllabile da semplici esseri umani "dotati" (potrebbe essere un'arma biologica dei tempi di Atlantide?).
E ancora: chi sono questi guardiani che gestiscono l'equilibrio di un'altra forza globale, quella della Terra? Hanno un legame diretto con gli uomini dell'Età dell'Oro, i quali erano in comunione con la natura?
C'è da notare che, per l'ennesima volta, Zagor ha battuto Martin sul tempo, visto che in Zagor Zenith nn. 405-407 e nn. 600-601 ha già scoperto parecchie cose sugli Anasazi: la connessione con Atlantide e Mu potrebbe corroborare la nostra ipotesi su un legame tra il Leviatano e le civiltà perdute. Oppure Badino potrebbe prendere una via del tutto diversa ma parallela, e quindi compatibile, rivendicando così un certo primato di Martin Mystère. (Nota di continuità di Cristian Di Biase)

Speriamo in una risposta, altrimenti l'enigma resta risolto a metà.

Abbiamo anche parlato di citazioni consapevoli di altri prodotti narrativi.
Per esempio, la sequenza dell'attacco alla nave da crociera ci ricorda molto The Mist, che lo stesso Castelli aveva citato in Martin Mystére n. 317, "Longitudine zero" (2011).
Gli Anasazi e i Navajo code-talker furono un argomento di gran moda ai tempi di The X-Files, e ci sono anche due o tre film che trattano questo episodio apparentemente oscuro della Seconda Guerra mondiale.
I Leviatani sono anche i villain della Stagione 7 del telefilm Supernatural, attualmente in onda sulla Rai. (Va bene, questo è un caso).
La tattica giapponese di usare mostri "kaju" per difendersi non solo è un'allusione all'abbondante produzione nipponica di film di mostri (da Godjira in poi), ma coincide anche con l'arrivo di Pacific Rim sul grande schermo.

Parliamo di noi

Nella pagina della posta, Alfredo Castelli parla dell'edizione cartacea di Get a Life! numero zero, da lui voluta per raccogliere i materiali dedicati al trentennale di Martin: modestamente, Castelli omette di averne scritto l'introduzione a pagina 2.
L'albetto offre anche: una memorabile copertina di Pino Rinaldi; un frontespizio inedito con Martin, Java e il cast di Get a Life!; otto pagine di fumetto con le pinup di sei personaggi portanti della serie; rubriche e pagina della posta in stile mysteriano.
Come sanno i fedeli lettori della serie a fumetti online (gratuita), il fumetto Affari di famiglia (ora disponibile in formato PDF scaricabile gratuitamente) è quello che svela come mai Martin e comprimari non invecchiano. Gli stessi lettori fedeli sanno anche che Get a Life! non si ferma mai e sta attualmente celebrando il quarantennale del Mystero del 2013, con una vicenda ambientata a Mohenjo Daro, dove tutto ebbe inizio.
Al link è visibile una foto degli albi e sono presenti le istruzioni per ottenerne uno o più (sempre che ne siano rimasti ancora!).



Martin Mystère n.330, “Il matrimonio di Sergej Orloff”


Dicembre 2013
Storia di Carlo Recagno
Arte di Esposito Bros

Un racconto travolgente, un vortice di rivelazioni inattese, una sequela di eventi e colpi di scena, un ribaltamento di prospettiva dopo l’altro, un’epopea di portata storica che si sviluppa a colpi di sequenze introspettive e intimiste, uno scontro tra due figure titaniche, un confluire di trame che si dispiegano da anni. Stiamo parlando del leggendario Xanadu (Martin Mystère Gigante n. 2)? 
No. Stiamo parlando del suo degno erede, Il matrimonio di Sergej Orloff, albo che rilancia il suo illustre predecessore e, pur concedendo meno spazio al racconto di formazione, gode di una compattezza narrativa e progettuale anche superiore (perché quel Gigante, alla fine, nasceva dall’esigenza di rimediare a dimenticanze ed “errori” accumulatisi col tempo, e si disperdeva in sequenze abbastanza fini a se stesse, quasi indulgenze compiaciute non necessarie alla storia).

Nell’intervista "I segreti di Sergej Orloff!", Carlo Recagno colloca Il matrimonio di Sergej Orloff nella tradizione dei matrimoni tra personaggi di fumetti, tipicamente rovinati dai supercriminali (uno su tutti, quello di Mister Fantastic e della Ragazza Invisibile), ma non dice deliberatamente che il suo contributo a questa tradizione non si limita a una scazzottata dopo la quale tutto torna come prima e la lieta fine è assicurato. Tra un rapimento, una tragedia, una scoperta e altri sviluppi degni del miglior Dallas, ce ne vorrà di tempo prima che anche solo un barlume di speranza ci venga offerto, in questa storia così unica e importante della saga di Martin Mystère.
Nonostante il prologo ci preannunci già il disastro incombente, la narrazione procede in modo apparentemente rassicurante e consolatorio: i preparativi del giorno del matrimonio, le chiacchiere degli invitati, il riassunto della vita di Orloff con la ben nota “caduta in disgrazia” seguita dalla (opaca) redenzione, i rapporti di amicizia recuperati o costruiti da zero (Java e Diana) e così via.
Ma una prima crepa si insinua in questa atmosfera idilliaca, quando un flashback rivela che dietro la vicenda originale de La città delle Ombre Diafane (Martin Mystère nn. 17-19) si celava molta più mytologia di quanta potessimo sospettare, e da lì in poi si scatena una valanga inarrestabile dei già citati rivelazioni, colpi di scena, capovolgimenti. A differenza del Gigante quasi omonimo Il segreto delle Ombre Diafane, che si perdeva in speculazioni su oggetti e creature del tutto “alieni” (letteralmente) allo spirito dell’avventura originale, questo Martin Mystère 330 illustra invece retroscena profondamente radicati nelle origini avventurose ed eroiche del primo Martin Mystère, quello più accattivante e dinamico dei “primi cento numeri”. Ecco quindi che l’enigmatico Centro nipponico dell’avventura originale svela motivazioni e moventi del tutto assenti nella vicenda del suo esordio, rispondendo così a vecchissime domande finora mai affrontate: come mai quegli affaristi sapevano così tanto? Perché in seguito rinunciarono e non si fecero mai più sentire? La risposta giace nella loro anima nera, cioè quel sinistro (e illuminato!) Kenzo, un uomo che pur portando il Terzo Occhio si comporta in maniera assai discutibile (un apparente paradosso, smentito non solo dall’esistenza dello stesso Orloff, ma anche dalle implicazioni un recente albo dello stesso Recagno).
Dal Terzo Occhio e dal mistero (ora risolto) di come Orloff sia sopravvissuto allo scontro nella Città di Java, si passa a un altro elemento imprescindibilmente legato all’Occhio, che è a sua volta diventato un’icona della saga di Martin Mystère, ma che nello stesso tempo non è mai stato trattato e approfondito come la curiosità dei lettori avrebbe richiesto. Si tratta ovviamente del Murchadna, di cui vengono stabilite “nuove” verità che, come ogni altra novità di questo albo, si armonizzano spontaneamente con trenta anni fatti già noti: solo Martin e Sergej in tutto il mondo li possono usare (lo dice Kenzo ed è il tipico “assoluto” da personaggio di Martin Mystère); esistono diversi modelli di Murchadna; il loro effetto spazia su una gamma molto più vasta.
Subito dopo, dall’oggetto, che per Recagno è sempre una scusa per parlare invece dei personaggi, si passa quindi di nuovo all’argomento principe di Martin e Sergej.
Il Murchadna non è più solo una scatola vuota che serve a far evaporare i buchi neri, né un “semplice” manipolatore di tendenze morali: nuovi dettagli emergono sulla relazione tra Martin e il suo Murchadna; si insiste in maniera esplicita sulla dipendenza che Orloff sviluppò portandosi il Murchadna innestato nel braccio (l’effetto “stupefacente”); ci si sposta sull’inedito dolore che il nuovo Murchadna causa. Esso è avido di stabilire un rapporto simbiotico! E’ forse vivo? Senziente? Cos’è mai la misteriosa fonte di energia che li alimenta, e su cui Recagno ha detto di avere un’idea per una storia? Speriamo la concretizzi presto, ma nel frattempo questi accenni fanno spaziare l’immaginazione su orizzonti finora mai ipotizzati.
Dal rapporto uomo/oggetto, si passa all’altrettanto misterioso legame tra Martin e Sergej: più che fratelli; invincibili; capaci di fare qualunque cosa quando lottano insieme. In Xanadu, quest’ultima frase aveva un significato tutto sommato prosaico: in Martin Mystère 330, invece, essa viene portata a sorprendenti estremi di interpretazione letterale, con Martin e Sergej uniti come non mai contro il loro nemico.
Questa novità nell’interpretazione del loro binomio/dualità non è solo una rivelazione tanto inattesa quanto logica, nella sua coerenza formale con quanto delineato dal lavoro di Alfredo Castelli, ma è anche il motore di alcuni dei gustosissimi tranelli narrativi in cui il lettore viene trascinato: la presunta catatonia di Martin per aver ucciso Sergej, la sua fuga, il suo comportamento inspiegabile verso gli amici (il pugno a Travis A. Travis) e persino il sottile ma costante mutamento nel suo lessico (notate la freddezza con cui Martin definisce Java “il neandertaliano”, oppure la precisione chirurgica con cui descrive il funzionamento del Murchadna a Kenzo). Tutto quanto contribuisce alla rivelazione che capovolge la prospettiva del racconto, e che spinge a rileggere la storia per essere doppiamente soddisfatti da come è stata orchestrata.

Per inciso, in questi sviluppi del tutto nuovi non mancano le citazioni di elemento storici o più recenti, come il Murchadna di Orloff regolato su stordire, che se non andiamo errati esordì ne Il tesoro di Loch Ness (Speciale Martin Mystère n. 2), la presunta parentela ancestrale di Martin e Sergej trapelata nel romanzetto L’occhio sinistro di Rama, o la possibile sorellastra di Sergej, vista per esempio di sfuggita in Grendel! (Martin Mystère n. 288). Felice risulta inoltre la scelta di agganciare questa mytologia immaginaria a un mistero reale, cioè quello della piramide di Yonaguni (che promette di tornare in futuro ed essere ulteriormente approfondita e collegata all’epopea Muviano-Atlantidea): si tratta di una caratteristica fondamentale di Martin Mystère, assente dalle sue pagine ormai da troppo tempo.

Una breve parentesi va dedicata ai comprimari, che vengono finalmente usati con accortezza e intelligenza.
Diana è raffigurata nella versione elegante e signorile delineata da Castelli dopo la breve parentesi della strega gelosa (possiamo dire che è quella resa definitiva in Il fuoco che uccide, Martin Mystère nn. 46-58), e dimostra una curiosa e ironica sintonia con Sergej Orloff.
Java non brilla per la caratterizzazione, ma il suo ruolo di forzuto che viene massacrato conferisce una statura inquietante alla minaccia di Morgana e dei suoi alleati magici: quante altre volte avevamo visto una disfatta così radicale e violenta dei nostri eroi?
L’ispettore Travis compare in un ruolo da apparizione, molto limitato, ma insolitamente attivo e dinamico: atipico, ma ancora una volta coerente.
Logica e doverosa la citazione del personale della base di Altrove, oltre che di Travis: in un universo come quello di Martin Mystère, gli eventi importanti devono avere una qualche reazione da parte dei personaggi dell’impianto narrativo esistente, altrimenti la storia si scollega insensatamente da quelle precedenti, finendo per rinnegarne il valore e riconducendo tutto allo stile dei fumetti di Topolino, dove Paperino un giorno è il vendicatore Paperinik e l'altro non riesce ad acchiappare il teppista che gli ruba la spesa. Se si tratta di leggere l’albo e buttarlo via, è un conto, ma se lo si vuole rileggere e calare nel contesto globale che è stato pazientemente costruito in trent’anni, allora è necessario porre certe domande e dare risposte sensate (o, in alternativa, era il caso di non inventare troppi dei ex machina semi-onnipotenti, per poi doverli ignorare).
Angie Dark non parla mai, ma risulta semplicemente meravigliosa del suo affetto per Martin!

E per finire, è impossibile trascurare Morgana, nonostante l’abbiamo ampiamente commentata per Il segreto di Giovanna d'Arco (Martin Mystère n. 229). Sarà il fascino del personaggio, che va oltre il fatto che è una sventola nuda e bionda che resta sempre giovane e indifferente alla gravità. Sarà la sua caratura iconica in termini di Materia Arturiana e mytologia. Sta di fatto che, anche quando gioca un ruolo minore, Morgana attira sempre l’interesse. Questa volta ci soffermiamo su come essa venga gestita diversamente dagli altri personaggi, ma sempre in modo logico: sin dai tempi della discussa scena nella “stanza di hotel cadente”, Recagno ha dipinto Morgana come una persona che si integra solo parzialmente nella società odierna. Pur assimilando in modo rapace tutto ciò che le fa comodo o le dà piacere, Morgana resta sempre e comunque una’aliena (non nel senso degli omini verdi) che proviene da un contesto sociale radicalmente diverso e che dispone di un potere per noi inconcepibile: per questo motivo, può tranquillamente replicare certi nostri costumi e ignorarne bellamente altri, in modo del tutto istintivo e capriccioso. Un giorno è nel motel pidocchioso, un altro è nella suite super-lussuosa. Alla villa dove si svolge il matrimonio di Orloff giunge a piedi (non in auto) e indossa un cappello che sfiorerebbe il ridicolo su ogni altro personaggio. Con lei, però, non c’è da ridere: la sua ostentata indifferenza alla nostra logica, infatti, non è altro che la dichiarazione di libertà assoluta di cui gode a causa del suo potere che le consente di essere e di fare solo ciò che vuole, senza imposizione alcuna dall’esterno.

Ma abbiamo detto che si tratta di una vicenda che mescola senza fatica l’intimismo e l’epopea, per cui è il momento di parlare anche di quest’ultima. Chi ama Martin Mystère dagli inizi, lo ama anche per la grandiosità dei temi e degli scenari che questa serie ha saputo offrire. La storia occulta del mondo, gli imperi di Atlantide e Mu, la loro titanica storia con relativa fine che ne ha spazzato via tutti i segreti. Dopo anni di assenza di questi argomenti, finalmente Recagno (l’unico che di recente osava citarli) li riporta in auge, riepilogandoli per i nuovi lettori e nello stesso tempo rilanciandoli, dimostrando che non erano per nulla divenuti sterili o stantii: bastava lasciare mano libera a un autore con qualche idea (come d’altra parte è stato il caso di Zagor, tanto per fare un nome).
E finalmente, finalmente, anche questo caposaldo della mytologia Castelliana si sposa in modo chiaro e logico con un altro degli elementi più epici e cosmici della saga: stiamo ovviamente parlando della famosa “Cerca”, uno dei tanti elementi che rende l’universo di Martin Mystère così unico e degno di interesse da parte di chi si annoia nel leggere trasposizioni a fumetti di film hollywoodiani d’azione, infarciti di scazzottate e sparatorie e dialoghi “fichi” di personaggi egocentricamente ottusi nella loro caratterizzazione esasperata e scopiazzata, senza futuro né passato.
Questa coniugazione tra il mistero dei Murchadna di Mu e la ricerca delle Sette Spade di Morgana non serve solo per rinfrescare anche il fortissimo legame con una Materia Arturiana liberamente interpretata, ma anche e soprattutto per regalarci un ultimo, graditissimo cambiamento che noi lettori auspichiamo ormai da anni, e che giunge praticamente come un fulmine a ciel sereno.
Come se non bastasse la fiumana in piena di novità e colpi di scena che l’intero albo ci regala, come se non bastassero tutti i ribaltamenti di prospettiva relativi a questa singola storia, ecco che anche il modo di intendere Martin Mystère finalmente si ribalta! Dopo anni di dimenticabili storie autoconclusive (riempitive?) realizzate con schemi precotti ed elementi ricorrenti in modo ossessivo, si torna finalmente a un Martin che vive con uno scopo, che guarda al futuro con un obiettivo, che ha una missione da compiere e che deve usare le sue capacità per alimentare una speranza (vera? Illusoria?) necessaria per intraprendere un cammino di scoperta, ritrovamento e salvezza. Cosa ne sarà di Orloff, quando verrà ritrovato? E verrà davvero ritrovato? Come si evolverà il personaggio, dopo le manipolazioni subìte in questa vicenda? Quale delle due strade sceglierà questa volta? O ne imboccherà una terza? Queste ed altre domande, amplificate dal numero di giocatori che potranno entrare in scena (Agarthi, Morgana, Loki e altri ancora) da sole valgono un anno di produzione, perché ci restituiscono la possibilità di fantasticare su un personaggio che fino a ieri sembrava condannato all’eterna prigionia in un immutabile stasus quo, stile Dylan Dog, e che invece rivela di avere ancora parecchie frecce nel suo arco.

Il versante artistico degli Esposito Bros non manca di innalzare di parecchio la media della serie, con tavole della abituale qualità evocativa che mescola suggestioni nostalgiche Kirbyane a visioni futuribili, giocando abilmente con le ombre e i neri (che diventano immagini a loro volta) e caratterizzando in maniera unica ogni singolo contesto (per esempio, l’atmosfera architettonica “metropolitana” di Atlantide è diversa da quella “organica” di Mu/Lemuria).

In sintonia col titolo, anche la copertina offre un’impostazione volutamente retrò e melodrammatica, che richiama molto i già citati classici dei supereroi Marvel, da Fantastic Four ad Avengers. Nell’insieme di mostri rossi, fiori bianchi e abiti da sposa, stona forse solo la scelta di calcare la mano sui raggi li luce che penetrano dalle vetrate e che “rompono” il dinamismo della scena.

Se proprio vogliamo trovare una pecca a questa storia così felice, allora dobbiamo chiederci perché Kenzo (o Genzo?) agisca come agisce: il suo suicidio finale, dopo aver finalmente riportato Orloff ai livelli di malvagità originali, sembra una soluzione affrettata per togliere di mezzo il personaggio (il quale infatti non sembra guadagnare nulla dalle sue azioni). Certo, si può vedere Kenzo come un personaggio ossessionato e malato, ma sembra una via d’uscita un po’ troppo comoda per lo sceneggiatore (per quanto non nuova: anche il Kut Humi di Alfredo Castelli agisce spesso così).

Aggiornamento della recensione: per un caso di serendipità (che non è affatto tale), la visione dell’episodio n.83 di una brutta serie animata come Saint Seiya Omega ha svelato le vere intenzioni di Recagno, per altro già anticipate dal nome di Kenzo, ma che non avevamo saputo cogliere completamente.
Kenzo, come Kenzo Kabuto di Great Mazinger, ma che ricorda anche Gendo Ikari di Neon Genesis Evangelion: insomma, una figura paterna che plasma il figlio (anche non in senso biologico) secondo i propri obiettivi.
A costo di dire un’ovvietà, nessuno si è reso conto che un personaggio giapponese deve avere una caratterizzazione impregnata di mentalità nipponica: e cosa poteva caratterizzare meglio le figure paterne citate, che agiscono contro ogni logica (occidentale) allo scopo di trasmettere la propria eredità e sopravvivere così alla morte? Questa filosofia, apparentemente autodistruttiva, è pura letteratura (a fumetti e animata).
Il “nostro” Kenzo non è da meno dei Saints di Athena, che, come le foglie della pianta di Yuzuriha, si fanno da parte (morendo) per lasciare il posto ai loro eredi morali e spirituali, oltre che biologici. Come Shiryu si sacrifica perchè suo figlio Ryuho raggiunga picchi per lui inimmaginabili, come Ikki muore per sconfiggere un avversario e affidare ai giovani Saint il futuro, così fa anche Kenzo, dopo aver (ingannevolmente?) riportato in vita il vecchio Orloff. Può non sembrare logico per un occidentale, ma Recagno non aveva intenzione di ricondurre un’altra cultura ai nostri valori, bensì di usarla con coerenza per definire le azioni di un personaggio cresciuto in essa.

Dulcis in fundo, non può mancare la sezione degli omaggi e delle traduzioni: dalle mysteriose scritte in Kryptoniano (che usano l’alfabeto ufficiale della DC Comics) alle comparsate di Lamù e dei vari Doctor Who, tutto è stato sviscerato qui dagli utenti Dark Star e Miðgarðsorm.
E per non trascurare le citazioni più prettamente mysteriane, per quanto insolite, segnaliamo anche che gli Esposito Bros hanno incluso due copertine storiche nella narrazione: a pagina 16 (disponibile anche online), compaiono un rifacimento della copertina de L’uomo delle nevi (Martin Mystère nn. 87-88) (e questa ci sembra facile da riconoscere) e una libera interpretazione di... di quale copertina storica che ha segnato un traguardo non da poco della serie regolare? Per questo quiz, chiediamo ai nostri lettori di dare una risposta: come indizi, vi diciamo che bisogna fare attenzione alla scultura della testa serpentina e alla posa di Martin.
Nell’attesa, abbiamo un’ultima osservazione: può darsi che un numero così importante e consapevolmente celebrativo fosse stato programmato per il ciclo di festeggiamento del trentennale e sia poi slittato per motivi tecnici? Ce ne dispiacerebbe molto, se così fosse (ma comunque l’albo fa almeno parte del quarantennale del mystero!).