lunedì 28 aprile 2014

Get a Life n. 28 - Le diciassette facce dell'oscurità (2)

Get A Life, la serie NON presentata da Martin Mystère, presenta l'episodio n.28 di Aprile 2014, Le diciassette facce dell'oscurità (2).
La catastrofe è ormai alle porte: l'Ebdecaedro Nero ha fatto la sua mossa, mettendo in campo le controparti malvagie di tutto l'universo mysteriano, mentre l'Ebdecaedro Bianco attende ancora che il suo campione lo riconosca... ma attenderà invano, perchè Martin Mystère è stato soggiogato dal disfattismo dell'Ebdecaedro Nero!
Chi mai potrà salvare la situazione, con Diana Lombard, Java, Travis, Sergej Orloff, Angie Dark e Kut Humi messi fuori gioco?



Arte di
Darko Bogdanov.
Storia e lettering di Franco Villa.
Supervisione di Luca Salvadei e Cristian Di Biase.

Bonus veramente speciale: un crossover indiretto col romanzo "L'ultima legione di Atlantide" di Carlo Andrea Cappi!

Indice della serie Get A Life (comprende link alle versioni PDF per il download diretto).

GaL #28 - Seventeen Faces of Darkness (2)

Get A Life (the fancomic miniseries NOT presented by Martin Mystère) presents Seventeen Faces of Darkness (part 2) in English.

Is it the End?
With Martin Mystère enthralled by the Black Ebdecahedron and his friends Diana Lombard, Java, Travis, Sergej Orloff, Angie Dark e Kut Humi threatened by their evil counterparts, there are no pawns on the chessboard of the White Ebdecahedron!
Who will save the day? Could this be a new Beginning?



English edits by Zac DeBoard
Story & lettering by Franco Villa.

giovedì 10 aprile 2014

[Recensione] Martin Mystère n. 331, “Ritorno a Longitudine Zero”


Martin Mystère n. 331, “Ritorno a Longitudine Zero”
Storia di Andrea Cavaletto
Arte di Giulio Camagni

Rarissimo esempio di promessa mantenuta, questa nuova uscita ha l’indiscutibile attrattiva del seguito pubblicato senza attendere decenni. Oltre al merito dei dialoghi brillanti, che propongono una caratterizzazione intelligente e rispettosa dei personaggi della serie, l’albo ha infatti il pregio di contribuire a fare chiarezza su certi elementi poco chiari dell’aggrovigliata vicenda originale di Martin Mystère n. 317, “Longitudine Zero”, proponendo qualche spiegazione più lineare e un seguito delle vicende lasciate in sospese.

Purtroppo, però, gli aspetti positivi finiscono qui, perché la storia si conclude in un nulla di fatto, lasciando ancora più domande senza risposta, quasi si trattasse di uno degli episodi riempitivi di Dylan Dog. O forse perché gli autori si erano messi d’accordo solo in modo approssimativo riguardo agli elementi cruciali della trama. L’argomento principe della saga sembrava infatti essere quello della Doppia Teoria Del Tutto, una Teoria Unificata capace di racchiudere non solo tutti i fenomeni della fisica, ma anche quelli della magia: a conti fatti, però, questi si rivela solo di un pretesto per dare un presupposto pseudo-scientifico al solito argomento degli universi paralleli che entrano in contatto tra di loro a causa di un esperimento umano (che poi va male, come nel film The Mist, con tanto di mostroni extradimensionali molto simili). La promessa della Doppia Teoria Unificata, quindi, finisce col venire completamente sprecata, vanificando le (legittime) aspettative del lettore Mysteriano che si aspettava una vicenda cosmologica consona al tema. Lo squilibrio tra la “premessa” fatta in Martin Mystère n. 317 e l’esiguo utilizzo (in chiave rettificatrice) che se ne fa in questo albo è assai vistoso: la base nazista, di cui era stata tracciata una storia dettagliatissima, viene liquidata in due pagine; il concetto di universi paralleli in collisione si traduce solamente in “c’è un altro Martin Mystère” e l’idea della fusione scientifico-magica si rivela del tutto irrilevante (e resta infatti inapplicata). A voler ben guardare, tutti questi elementi sono equivalenti a “segnaposto” sostituibili a piacere con altri analoghi, senza che la storia ne resti minimamente inficiata: si potrebbe usare un clone di Martin invece della sua versione alternativa; si potrebbe parlare di energia cosmica o di vento solare o di Ley Lines, invece che di energia zero, e così via. Si potrebbe mettere Dylan e una fidanzata al posto di Martin e Diana spogliarellista.
A essere inoltre onesti, la delusione per un epilogo così generico non può lasciare stupiti. E’ da anni che la serie di MM sta attuando un cambiamento di rotta per quanto riguarda i suoi vecchi capisaldi di approfondimento, documentazione, complessità dell’intreccio e dei concetti: siamo solo noi mysteriani della vecchia guardia a incaponirci nel non voler accettare che il vecchiume caratteristico di MM è roba sorpassata, che non vende e che non fa presa sul pubblico occasionale moderno, interessato solo a vicende di facile fruizione.

L’albo ha comunque aspetti positivi, che non possono passare inosservati, come la scelta di usare Diana in modo più attivo, oltre che di toccare argomenti d’attualità sgradevoli ma incombenti (come la privatizzazione del controllo dell’acqua dolce del pianeta). E c’è anche una tensione sottile, ma continua, nel gestire il problema delle allucinazioni di cui soffre Martin Mystère. Purtroppo, però, anche questi elementi collassano in fretta sotto il peso delle esigenze commerciali. Diana passa da essere umano adulto e maturo, a burattino fanservice che si spoglia continuamente per il sollazzo del ventre del lettore, costringendoci a chiederci dove siano finiti i “tanti lettori speciali” di MM, diventati tutti adolescenti in ebollizione ormonale da attirare con scenette allusivamente erotiche, ignari che in edicola esistono pubblicazioni più esplicite e dirette in cui non serve nascondersi dietro 160 pagine di cortina fumogena per vedere donnine ben più nude. Le divagazioni nei dialoghi diventano vaneggiamenti tanto dispersivi quanto inutili, come le conversazioni sulla luce e il buio, oppure l’insistenza su improbabili alieni (che nulla c’azzeccano, ma a onore del vero lo sceneggiatore stesso lo ammette per bocca dei personaggi). Il “dramma delle allucinazioni” di Martin finisce con l’essere liquidato come causato dalla “vicinanza” al suo doppione, che alla fine Martin non incontra mai, lasciandoci con l’insoddisfacente sensazione di una vicenda incompiuta e irrisolta, chiusa in fretta e furia per non far emergere conseguenze narrative logiche impossibili da gestire.
Ma così come non si capisce bene perché Martin abbia allucinazioni che a volte sembrano scene veramente accadute nell’altro universo e altre no, altrettanto irrisolta resta la questione di Java, che non partecipa alla storia perché non appartiene alla biforcazione. Quale biforcazione? E’ l’universo originale, questo, oppure no? Ci stiamo ancora biforcando? E in entrambi i casi, Java non è presente in entrambi gli universi?
Altre domande senza risposta riguardano anche il malvagio di turno, cioè Peck/Lighthammer, della cui natura viene detto poco o nulla. Certo, ci viene promesso un seguito, ma dopo due volumi da 160 pagine che non riescono a dare nessuna sensazione di risultato concreto o direzione logica, la nostra reazione è un po’ scettica. In particolare, lo è perché ancora non s’è capito (né è stato lontanamente tirato in ballo) il motivo che ha spinto il Peck dell’Altro Universo a fare ciò che ha fatto con l’Altro Martin. In che modo credeva di ottenere un qualche risultato a proprio vantaggio, scaraventandolo nella nostra realtà?
L’Altro Martin è a sua volta un personaggio deludente, ingabbiato com’è nella tipica trama Dylandoghiana piuttosto banale, con canovaccio visto in un numero fin troppo elevato di fumetti e/o animazioni: il povero prigioniero senza memoria, sottoposto a orripilanti esperimenti, che finisce col diventare un essere divino dai poteri devastanti e incontrollabili, finché non si ferma a riflettere su ciò che è diventato, fa una strage finale e poi se ne va.
E anche qui, ci si chiede perché solo i santoni e i sacerdoti possano essere utilizzati per stimolare questo poveraccio. Il collegamento, vaghissimo, è quello con la questione mistico-religiosa-cabalistica della Reshimo, ma anche in questo caso ci troviamo davanti a una gestione deludentemente scarna e vaga dell’argomento, molto Dylandoghiana nella sua mancanza di qualunque tentativo di spiegazione: per qualche istante, ci viene fatta balenare la similitudine tra l’energia zero (energia del “vuoto” a livello quantistico) e la reshimo (presenza del divino anche nel vuoto dentro la luce eterna), ma l’intuizione muore esattamente dove inizia, senza che nessuno dei personaggi riesca a trarne conclusioni di alcun genere e ancor meno a costruirci un castello di teorie che svelano la struttura segreta dell’universo o della storia, come era tipico del Martin vecchia maniera. Certo, c’è qualche immagine suggestiva ma è sostanzialmente dimenticabile in termini di significato. Anche questo aspetto della vicenda, che ha un legame davvero esile con l’idea degli universi paralleli (e poteva derivare da qualunque altro concetto di fantascienza), si rivela sin troppo simile a una “scorciatoia narrativa” per far sparire di scena l’Altro Martin, senza lasciare nessun tipo di traccia nella saga (o nelle menti dei lettori).
Deludente è anche che il “vero” Martin Mystère non contribuisca quasi per nulla ad affrontare questo mistero, dato che si limita a riassumere le risposte fornitegli (tutte, anche le più banali) dall’assistente di Lighthammer e dal rabbino Chanan: due personaggi interessanti e con un loro potenziale, ma che in definitiva mettono in ombra il protagonista, dimostrando di sapere e aver capito molto più di lui.
In questo senso, anche le citazioni a casaccio della continuità della serie di MM si dimostrano deleterie. In una vicenda ambientata in Antartide, che senso ha ripescare una storia ambientata nell’Artico (agli antipodi) e un’altra che per puro caso ha avuto un epilogo nello stesso luogo (per modo di dire, geograficamente parlando, e per di più essa riguardava sassi che cadevano dal cielo a comando), quando invece esiste Martin Mystère Special n. 5, “La città sotto i ghiacci”, in cui Martin ha scoperto una verità piuttosto potente e indimenticabile, che fa proprio da premessa logica a tutta la vicenda di Longitudine Zero?
Rincariamo la dose: va bene dire che non c’era più spazio per citarla, avendo dato spazio a rievocazioni di storie irrilevanti, ma c’era proprio l’esigenza di far fare a Martin la figura del fesso spaesato che casca dalle nuvole, quando il signor-nessuno-assistente-di-Lighthammer gli spiega che la base antartidea nazista è in realtà molto più antica e quindi costruita da una civiltà dimenticata? Se si fosse trattato del vero Martin Mystère, quello che seguivamo noi vecchi mysteriani obsoleti, sarebbe stato lui il primo a fornire spiegazioni su Atlantide, surclassando chiunque altro, già a pagina 10. Invece ora casca dal pero come se Atlantide per lui fosse una favoletta che passa per vera solo nelle storie di Topolino di Massimo DeVita.

Nota a margine riguardo alla continuità: a pagina 102, l’Altro Martin percepisce persone del cast regolare della serie, da Travis Travis a Sergej Orloff, ma tra le immagini di queste persone fa capolino un Satiro Marziano, di cui non si sente parlare dai tempi della vicenda di Za-Teh-Nay (se trascuriamo “La musica delle sfere”). Sarà un caso, visto che il seguito di quell’altra vicenda dovrebbe essere in arrivo?

In conclusione, possiamo riassumere questa interminabile tirata affermando che “Ritorno a Longitudine Zero” rappresenta un’occasione mancata e una bella idea sprecata, ma solo per i rari lettori anziani che sono rimasti ancorati al vecchio modo di intendere Martin Mystère, mentre è un albo perfetto per rivolgersi al pubblico cui mirano le strategie commerciali attuali (anche se non capiamo perché quel pubblico non possa preferire i più riusciti Dylan Dog e simili, che nascono già con questa impostazione vincente).

In compenso, i disegni di Giulio Camagni sono eccellenti, con la loro miscela di realismo dettagliato, atmosfera onirica e suggestioni antartidee di ghiaccio e nebbia davvero concrete e convincenti.

martedì 8 aprile 2014

Studi per "Brainstorming"

Get a Life! presenta gli studi per la storia breve in appendice a GaL n.26, "Ciò che non è morto" (2).

In che modo le vite rinascimentali di Leonardo, Lucrezia e il Turco si possono intrecciare con quella contemporanea del postmoderno Martin Mystère?
"Il tempo è un fiume", direbbero i Figli di Mithra, e Martin Mystère lo sa meglio di tutti!


Arte di Mirko Di Noia.