Martin Mystére n. 335
"L’ombra di Za-Te-Nay"
Sergio Bonelli Editore
Ottobre 2014
Storia di Alfredo Castelli e Mirko Perniola. Arte di Franco Devescovi e Giovanni Romanini.
UN ALBO CONTROVERSO
Nella (ristretta) cerchia dei lettori di Martin Mystère che fanno sentire la loro voce in rete, il giudizio per L’ombra di Za-Te-Nay è stato mediamente (molto) negativo. Trattandosi comunque di un lavoro molto elaborato e stratificato, con un numero di autori doppio rispetto allo standard, l’AMys ha raddoppiato gli sforzi dei recensori, per coprire tutti gli aspetti di questo atteso e vituperato seguito delle vicende di Za-Te-Nay.
GLI AVVENTUROSI ENIGMI DI ZAGOR, TRAPPER DELL’IMPOSSIBILE
Di
Alessio Sbarbaro
Sul versante di Zagor, le incursioni nei temi “Mysteriosi” erano già presenti da tempo (almeno dalla saga delle Città di Cibola del 1995), ma non ancora ufficializzate.
La citazione di Martin Mystère a storie e situazioni classiche di Zagor, rivisitate con questa nuova chiave di lettura, poteva quindi essere intesa come una strizzata d’occhi ai lettori zagoriani che avessero comprato quegli albi. Il fatto che Zagor e Za-Te-Nay potessero essere due personaggi diversi (vista la distanza di 20/30 anni tra le avventure di uno e l'altro, confermata anche in questo albo) poteva poi salvare "capra e cavoli" per i patiti della continuità.
Oggi però, ben 12 anni dopo, ci troviamo con elementi mysteriani che sono da anni punti fissi nell’universo narrativo di Zagor (Altrove), e addirittura con una saga ad ampio respiro, durata più di due anni, che ha visto lo Spirito con la Scure girare le Americhe proprio sulla base di elementi presi da Martin Mystère (caccia ad un collaboratore di Altrove che cerca una base atlantidea al polo Sud, probabilmente quella citata nel Martin Mystère gigante n.3, anche se non è esplicitato); questo senza contare le citazioni di Zagor nelle Storie di Altrove.
Ma mentre Zagor può permettersi di combattere con orrori Lovecraftiano/Atlantidei al Polo Sud (e ricordiamolo, vendendo con queste tematiche, stando ai dati usciti qualche mese fa, più di una volta e mezza le copie di Martin Mystère), il Detective dell’impossibile riesuma fuori tempo massimo un seguito di una storia ormai superata, per presentarci l’ennesima rivisitazione di un classico zagoriano (che avrebbe anche potuto starci, se fosse una storia uscita a poca distanza dalla vecchia e sulla scia di questa) ed un cavatappi sorridente. Da una parte, abbiamo i cugini degli Shoggoth delle Montagne della Follia messi in un avanzatissimo avamposto di Atlantide, con tanto di archeologi posseduti, agenti di Altrove doppiogiochisti assetati di potere e la lotta contro il gelo antartico; e dall'altra abbiamo un cavatappi alieno. Che ci fa pure il sorrisino finale nell’ultima vignetta.
E a poco servono la prosa brillante, le strizzate d’occhio ai lettori (come l'excursus sulle tigri di Martini usate come tigri di Martini per allungare la storia), il fatto che anche nella serie regolare ogni tanto si ricordino di Altrove (salvo poi di fatto non usarla se non per il solito teatrino Tower-Brody-ehm): la storia comunque non si salva…. Magari riesce a non arrivare proprio allo zero, ma siamo ben lontani anche da una parvenza di sufficienza. Il colpo di grazia, ad un albo già mortalmente ferito da un cavatappi, lo danno le diverse tavole interamente copia&incollate dalla vecchia storia.
Forse è ora di abbandonare MM e seguire regolarmente Zagor: almeno lì l’azione e i temi che mi avevano fatto appezzare Martin Mystère ogni tanto li ritrovo. Ed il costo a pagina è pure inferiore.
LE STORIE NELLA STORIA
di Franco Villa
Con crescente frequenza, Alfredo Castelli propone storie di Martin Mystère scritte nello stile sopra le righe che lo caratterizza e che lo diverte, integrando le sue propensioni in un unicum da cui è difficile districarsi, visti i continui rimandi auto-citazionisti che vi si stratificano: la sua predilezione per il cazzeggio, l’amore per la storia del fumetto e dei suoi predecessori (le pulp novel), la rilettura dissacrantemente e spietatamente ironica dei suoi stessi lavoro di gioventù, la passione per l’Avventura come era intesa negli anni d’oro, la divagazione travestita da narrazione (ma subito sbugiardata), le elucubrazioni apparentemente innocue che poi costruiscono edifici dell’immaginario.
Questa volta il soggetto della storia è però di Mirko Perniola, che avrebbe voluto sviluppare ed esplorare alcuni dei punti lasciati in sospeso da
La scure incantata (Martin Mystère nn. 242-243), riportando in scena il trapper Za-Te-Nay, alias la versione mysterianamente storica di Zagor, la quale implica che (quasi) tutta la produzione Bonelli dedicata a Zagor sia una libera rilettura di eventi storici relativi a un personaggio “storico” idealizzato e trasformato in un supereroe ottocentesco [nel 2018 Bonelli annuncia una serie di
crossover con la
DC Comics, iniziando con
Zagor & Flash, a conferma di come gli autori percepiscano e gestiscano il personaggio].
Sia Castelli che Perniola hanno sceneggiato storie per Zagor, e sembra quindi giusto che i due autori si cimentino insieme con la versione storico-mysteriana del personaggio.
Purtroppo, però, Castelli questa volta decide di esagerare e, siccome non gli riesce più di improvvisare e di tenere comunque sotto controllo una narrazione di 160 pagine, ecco che la storia deraglia in un’infinità di divagazioni sconnesse, debordanti e inconcludenti, dalle quali neppure lui riesce più a tirare le fila. Per districarsi dal groviglio creato, non gli resta che abbandonarle all’oblio e infine
farsi aiutare da Mirko Perniola per imbastire un finale che faccia quadrare qualcosa.
Non che la cosa in sé sia un male, nel senso che Castelli può fare ciò che vuole con la sua creatura narrativa, ma l’impressione è che un simile
divertissement possa piacere ai fan storici di Castelli rimastigli fedeli sino ad oggi, ma sia letale per il lettore medio che si aspetta un altro genere di narrazione avventurosa.
Castelli trasforma l’albo in un fumetto dentro il fumetto (con il solito richiamo ai libri dentro i libri di Umberto Eco), decidendo di rileggere il suo stesso racconto
La minaccia verde (Zagor n. 147 del 1977), cambiandone certi dettagli (gli umani infettati diventano zombi) ma soprattutto dissezionando spietatamente le tecniche narrative “furbastre” dell’epoca ("la tigre di Martini"). Come è tipico di Castelli, le cose si intrecciano, e la dissezione del passato diventa disamina del presente, mentre contribuisce a sviluppare la trama fantastica dell’albo.
E’ un peccato che, però, l’occasione vada sprecata: la vicenda rielaborata del
La minaccia verde non confluisce direttamente nella trama portante, in quanto si omette di collegare il virus direttamente ai profughi Marziani che “dormono” a Yellow Peaks, e la sottotrama si perde quindi per strada, diventando a tutti gli effetti un riempitivo (o “tigre di Martini”). E’ una dimenticanza dovuta alla fretta con cui la vicenda è stata conclusa, nonché la prova della crescente difficoltà di Castelli di tenere insieme una trama non progettata nei minimi dettagli sin dall’inizio? La scelta geografica che unifica le due minacce fa propendere per questa ipotesi.
Come è inevitabile, i tormentoni di Castelli si mescolano a quelli di Martin Mystère, che qui si ritrova a deridere un maniaco del complotto per poi indagare proprio sulle fantasie di quest’ultimo, non senza aver citato i suoi assillanti problemi di ritardi con le consegne ed esigenze di Diana (problemi ironicamente assenti, per una volta).
Tipica e impagabile cifra di Castelli è anche il suo inimitabile metodo del racconto nel racconto, che a pochi scrittori riesce di gestire senza annoiare: puro Castelli mysterioso è infatti il resoconto che la signora McQuiver fa al telefono delle stranezze del marito, in un crescendo di impossibile che si insinua subdolamente nella realtà quotidiana di una coppia qualsiasi, richiamando le atmosfere di Ai confini della realtà e delle esperienze editoriali horror del giovane Castelli stesso. Non a caso, nella rubrica finale, emergono proprio i racconti di Ambrose Bierce ed H.P. Lovecraft, in riferimento alle suggestioni dietro La minaccia verde. A questa caratteristica Castelliana si unisce, necessariamente, l’amore di questo autore per i dialoghi elaborati, dal lessico curato e puntiglioso, esaustivi nel narrare una articolata vicenda seguendone e chiudendone tutte le diramazioni logiche, con la pacatezza e sobria signorilità che Castelli sceglie di conferire ai suoi personaggi.
Sembra invece farina del sacco di Perniola il coinvolgimento della organizzazione governativa segreta di Altrove, che è molto marginale nella sezione del presente, ma offre parecchi intriganti agganci con la continuità ottocentesca definita dalla collana Storie di Altrove: a sorpresa, Martinez (Cico) si rivela essere un agente di Altrove, alle dipendenze dell’energica direttrice “Papà”, suggerendo ancora una volta che l’Altrove delle pagine di Zagor sia una versione romanzata della vera Altrove.
A questo punto, diventa impossibile non chiedersi come Perniola avesse concepito il soggetto originale, dato che l’autore ha dichiarato
sul suo blog di aver voluto tirare le fila di tutti gli elementi inspiegati della finta
dime novel che era
L’ascia incantata: non ci resta che augurarci che Perniola legga questo appello e renda pubblico detto soggetto (oppure lo riutilizzi per una terza parte della saga, da realizzare in tempi ragionevoli).
Nella vicenda, Za-Te-Nay finisce col collaborare a sua volta con Altrove, ma solo come manovale, nel recuperare il relitto di un’astronave aliena: Castelli si auto-cita ancora una volta, avendo infatti già affrontato il tema della misteriosa
airship del 1896 (e del suo recupero) in
La città dei cinque anelli (Martin Mystère nn. 196-197).
Sorprendente, nel suo oscillare fra scienza e magia, è il metodo con cui Altrove ha ricostruito la configurazione della suddetta astronave: tale metodo è addirittura in grado di ipotizzare l’aspetto del l'agghiacciante Pilota-Cavatappi, pur non disponendo di alcun elemento per farlo!
Castelli cita anche
l’interocitore, già menzionato
en passant nella vicenda di Ettore Majorana, sebbene lo scopo di ciò ci sfugga (allude ad altro?).
Il finale della vicenda, oltre a cambiare drammaticamente sul versante artistico (a Devescovi subentra il paleozoico Romanini), subisce anche un mutamento di stile narrativo, confermando la nostra ormai già ribadita impressione che Castelli non riesca più a improvvisare con l’efficacia di un tempo: come già detto, Perniola gli deve infatti subentrare per creare un finale accettabile a una vicenda che ha fatto piazza pulita (o quasi) del suo soggetto originale.
Le due narrazioni di presente e passato vengono fatte riconfluire in modo precipitoso, che lo stesso Martin definisce “un contentino”, ma hanno l’accortezza di riflettere, senza dichiararlo, sulle implicazioni delle rivelazioni che questa nuova vicenda comporta. Alludiamo al fatto che Za-Te-Nay, contrastando Virus nel controllo della Scure, ha di fatto lavorato a favore degli invasori alieni, potenzialmente molto pericolosi per la nostra civiltà.
Il folle Virus, invece, nonostante i suoi modi di fare spietati, risulta aver sempre svolto il ruolo di difensore del nostro pianeta, cosa coerente con la sua natura di Genius Loci: Castelli e Perniola, pur avendo tolto a Za-Te-Nay la patina di eroe assoluto, gestiscono bene la sua contrapposizione all’ambiguità del Genius Loci, entità elementale dedita a ogni costo alla difesa del nostro mondo, qualunque sia il prezzo da pagare per difenderne le forme di vita nella loro interezza.
Controverso
Deus ex machina della vicenda è il folle alieno cibernetico “Cavatappi”, il cui aspetto surreale e deliberatamente comico permette a Perniola di paragonarlo al Disneyano Edi, mentre Castelli inscena spassosi duetti con Java e si diverte a spiazzare tanto Martin Mystère quanto i lettori, facendo comparire il “Cavatappi” dal nulla quando più è necessario. Insieme al
Genius Loci/Warden/Virus, Edi è ciò che tiene insieme la vicenda, almeno per ciò che conta nella sua unità narrativa: le domande che ci poniamo nella sezione dedicata agli errori potrebbero infatti essere semplicemente il materiale per un possibile seguito. [E' anche vero che, anni dopo, in
Chimere, Castelli sfodera nuovamente un piccolo alieno dall'aspetto completamente demenziale, per i disegni del solo
riciclatore di arte altrui, suggerendo una agghiacciante tendenza che non ha più nulla a che fare con l'ironia].
Non a caso, l’albo si chiude con la possibilità che Za-Te-Nay possa ricomparire in futuro: come già detto, ce lo auguriamo, fosse solo per affrontare davvero gli altri enigmi di Bird Center rimasti irrisolti (quelli elencati alla fine dell’avventura precedente). E ci auguriamo anche che questa volta Castelli lasci fare tutto il lavoro a Perniola.
L’ARTE
L’arte di Franco Devescovi, adeguata allo stile ufficiale della serie, rielabora come sempre la ligne claire di Alessandrini a modo suo, insistendo sul versante realistico della raffigurazione di personaggi, spazi, volumi e architetture (dove invece Alessandrini spinge per una maggiore astrazione, almeno nelle sempre più rare tavole della sua produzione in cui è solo la sua mano a intervenire dall’inizio alla fine). Deliberatamente retrò, come nella vicenda originale, sono le architetture e le tecnologie marziane, mentre la “buffoneria” della sceneggiatura di Castelli si traduce nella raffigurazione disneyana dell’Esploratore Alieno (detto infatti “Cavatappi”) e nelle impagabili espressioni facciali dei personaggi. Da segnalare la possibile citazione grafica di un elemento molto caratteristico dell’opera di Enrico Bagnoli (quando Warden protende le mani verso la signora McQuiver).
Un declino netto si manifesta purtroppo quando Romanini subentra a Devescovi, con un eccesso di linee molto più marcate e di ombreggiature abbastanza incoerenti, che contrastano nettamente con le forme Alessandriniane dei personaggi (completamente diverso è infatti l’uso che Alessandrini e Devescovi fanno delle ombre). Poco convincenti risultano anche le tecnologie marziane e le fisionomie dei Satiri in stasi, confermando la difficoltà di Romanini a gestire qualunque elemento visivo che vada fuori da quelli quotidiani della realtà, siano essi i Satiri o gli Ja-Gen-Oh (il che non è l’ideale per una serie come Martin Mystère).
GLI ERRORI
La compresenza di due sceneggiatori e gli interventi affrettati per rispettare le date di consegna (testimoniate anche dall’intervento di un secondo artista) hanno confuso le idee al supervisore, o almeno così sembra. Sorvolando sulla famigerata vignetta della telefonata in cui si vede un personaggio sebbene sia un altro a parlare, ecco un elenco di altre sviste di vario tipo.
Alle pagine 11-12, l’astronave che precipita ha l’aspetto di quelle della flotta dell’antico esodo Marziano, ma dovrebbe invece essere quella più piccola dell’Esploratore.
Alle pagine 25-28, invece, si rimedia (!) a un errore relativo alla vicenda originale di Za-Te-Nay: i flashback marziani “ristampati”, infatti, offrono didascalie che risultano più coerenti con la narrazione visiva, includendo i passaggi che nell’albo originale mancavano (probabilmente per via di tagli di pagine malaccorti mirati a chiudere la vicenda proprio nell’ultima pagina del secondo albo su cui fu pubblicata).
Martin deride ancora una volta lo squilibrato paranoico che si presenta a descrivergli l’ennesimo complotto “governativo”. E’ vero che questa volta Martin lo fa in modo signorile e distaccato, ma è anche vero che nelle sue trecento e passa avventure si è trovato spesso e volentieri in pericolo di vita, proprio per essersi impegolato in indagini relative a veri complotti gestiti da criminali legalizzati, con gli stessi metodi descritti dal suo visitatore Abrahmson. Se n’è dimenticato?
Castelli rimedia comunque a questa contraddizione obbligatoria (Martin DEVE essere scettico e posato) confermando la veridicità dei fatti ricostruiti da Abrahmson.
Sia Castelli che Perniola dimenticano che alcuni dei Satiri Marziani hanno vissuto alla corte di Atlantide, e uno di loro è giunto fino ai tempi nostri (
Il sabba delle streghe, Martin Mystère nn. 38-39-40). Come mai nessuno di loro (i Satiri, non gli autori) si è dimostrato ostile né ha tentato di liberare gli esuli di Yellow Peaks? Peccato che nessuno dei due sceneggiatori legga
Get a Life!, dato che
La musica delle sfere (ripresentato in PDF) ripropone proprio l'argomento delle civiltà marziane, riconnettendole agli "yeti" che vennero da Atlantide e ampliando il discorso alle specie marziane viste in
Nathan Never.
Va notato comunque che i poteri di condizionamento mentale dei Satiri sono equiparabili a quelli del loro simile visto nella vicenda de Il sabba delle streghe.
Warden, appena rinato dopo l’esperienza Virus, contatta Za-Te-Nay per fargli cercare una certa arma: nessuno dei due ricorda che la Scure era il loro oggetto del contendere, e Virus crede addirittura che essa sia a Yellow Peaks. E’ vero che la scure si auto-occulta, ma è vero che Virus sapeva dove essa fosse.
Come noi ben sappiamo, la scure passa di mano in mano sino a Ron McQuiver: è curioso che “Cico” Martinez, agente di Altrove, non l’abbia consegnata alla base segreta. Forse l’ha considerata innocua, dopo la sua disattivazione.
I Satiri Marziani si erano già risvegliati a Yellow Peaks ai tempi di Za-Te-Nay, come lo stesso Warden afferma. Ma poi? Forse si sono poi nuovamente assopiti perché la Scure si è disattivata.
I tempi della sequenza finale non quadrano, perché l’auto di McQuiver appare parcheggiata (da tempo) in una zona vicinissima alla caverna che ospita il modulo alieno dei Satiri, ma nelle pagine precedenti abbiamo visto lo stesso McQuiver compiere un percorso a piedi di almeno due giorni per giungere alla meta, dopo aver abbandonato il veicolo.
A pagina 152, Martin si chiede chi avesse interesse a non risvegliare gli alieni. Dovrebbe invece chiedersi il contrario.