L'ultima Chimera
(Altrimenti noto come: “Una storia imbarazzante”)
Una pacchiana astronave, sensibilmente non aerodinamica, sfreccia verso lo spazio aperto, lasciandosi alle spalle le ultime rarefatte scie di molecole dell'atmosfera terrestre.
“Pacchiana sarà tua madre”, ribatte l'alieno contrabbandiere che si trova a bordo della navetta. E aggiunge con tono di sfida: “Prova tu a immaginarne una che non somigli a uno spremiagrumi volante, se ne sei capace.”
Inspiegabilmente, il contrabbandiere sembra consapevole della voce narrante. Ma Alfredo Castelli non ne aveva fatto parola.
"Certo che non ne ha fatto parola." Commenta l'alieno. "Quello ha fatto 'immaginare' al suo personaggio che una specie di meganave spaziale della polizia intergalattica mi fermasse ed arrestasse per la mia attività di contrabbandiere: come no, mi cercavano ancora dopo secoli e secoli."
Ma, su quelle parole, qualcosa di imprevisto blocca davvero la corsa dello spremiagrumi nello spazio.
L'improbabile navetta si dissolve nel nulla, in quanto è (o era) un costrutto fittizio di psioni, un puro aggregato di pensiero e ipotesi con una parvenza di consistenza che non poteva reggere ancora a lungo. L'alieno contrabbandiere, il cui corpo è costituito da un poliedro con numerose facce triangolari, corredato di sei striminziti arti inferiori a tre snodi disposti lungo il suo perimetro (uno per ogni faccia laterale della sezione inferiore), si ritrova a fluttuare nel vuoto.
“Ma che crisbio?!”
Una voce femminile ordina: “Adesso basta.”
Il contrabbandiere vede, pur non avendo occhi, che un'avvenente donna umana bionda in abito rosso lungo gli sbarra la strada, nel profondo dello spazio, le braccia incrociate e l'espressione severa.
“Mamma!” esclama.
La bionda alza gli occhi al cielo (per così dire). “L'esserti aggregato in forma ebdecadimensionale due miliardi di anni dopo di me non ti autorizza a usare termini che comunque non si applicano alla nostra specie.”
“E ora”, aggiunge spazientita, “levati quegli affari.”
“Ma mamma...”
“Levateli. Ora.”
“Uffa.” La forma ebdecaedrica del contrabbandiere vacilla come un ologramma, e i ridicoli, esili arti che sporgono incongruamente lungo il suo perimetro più ampio si staccano come se fossero stati rozzamente applicati con una colla scadente giunta al termine della sua efficacia. “Però tu te ne stai in quella forma senza che nessuno ti dica niente.”
La donna storce la bocca, rassegnata. “La mia è una figura basata su forme di vita esistenti. La tua è una grottesca parodia che sembra uscita dalla mente di un vignettaro che ricicla arte a caso, priva di qualunque credibilità biologica e progettualità razionale.”
La figura della donna bionda vacilla, si frantuma in segmenti triangolari che collassano verso un unico centro di gravità interno, e si assemblano nella forma di un Ebdecaedro. “Ma non tergiversare. Ti sei di nuovo preso gioco degli abitanti di quel pianeta?”
“Altro che! E dovevi vedere come ci sono cascati: gli ho raccontato di avere un computer da viaggio che bastava metterci i dati, e quello faceva di tutto, persino costruire specie viventi composite. Io, un contrabbandiere, che dispone di un computer spaziale che svolge le funzioni di un superlaboratorio biotecnologico, e nonostante questo, ho bisogno di contrabbandare. AHAHAHAH!”
“Ma figurati se una simile storia avrebbe potuto reggere per esseri senzienti come i terrestri. Che motivo avresti avuto di spostarti sulla loro Terra, se disponevi di simili mezzi?”
“Ma se la sono bevuta, te lo giuro! Gli ho detto che solo sulla Terra potevo trovare gli esemplari di esseri viventi richiesti dai miei clienti, avidi collezionisti dell'assurdo.”
“Oh no. Non dirmelo.” L'Ebdecaedro-bionda non ha più una mano, ma chiaramente sta facendo il gesto di mettersela sul viso. Anche se non ha un viso. “Non dirmi che hai tentato di nuovo lo scherzo dell'unicità del loro DNA.”
“Sì! Gli ho detto che il DNA è un tesoro che hanno solo i terrestri, che è unico in tutto l'universo, che il mio pianeta ha solo ventitrè specie. Ero lì, davanti a quei tre, a dire che appartengo a una civiltà così avanzata da viaggiare tra le stelle, capace di costruire esseri viventi manipolando una struttura molecolare complessa di cui non ho mai saputo niente (perchè esiste solo sulla Terra), e...”
“E davanti a questa contraddizione, i terresti hanno capito che era una burla, e ti hanno mandato a quel paese.”
“NO! Si sono inorgogliti! Credevano davvero di essere i depositari unici e privilegiati di una cosa che non esiste nel resto dell'universo!”
“L'intero universo?”
“Testualmente! Non hanno fatto una piega neppure davanti a questa enormità: come se una specie aliena potesse evolversi tanto da esplorare l'intero universo, e sentisse poi ancora il bisogno di collezionare e contrabbandare mostriciattoli alieni su questo retrogrado pianetino di periferia perchè non ne ha trovati di migliori su decine di miliardi di altri mondi! Avresti dovuto vedere con che compiacenza il mio interlocutore è andato a trascrivere questa nostra conversazione a beneficio di quei creduloni dei suoi lettori! Alla faccia del personaggio razionalista che si batte per la diffusione di una mentalità scientifica, in opposizione agli imbroglioni della parapsicologia e della Terra piatta.”
“Ti stai inventando tutto. Hai fornito una serie di premesse senza senso, che crollano alla prima analisi: come avrebbe poi potuto costui spiegare ai propri lettori il motivo per cui il DNA è così prezioso?”
“E' questo che mi fa spanciare, pur non avendo una pancia: non l'ha spiegata! Quel poveretto non se n'è neppure reso conto: prima ha trascritto senza fare una piega l'implicazione ovvia che la mia specie, senza il DNA e senza la biodiversità, si è comunque evoluta senza fatica fino a raggiungere le stelle, dimostrando che il DNA non serve a niente. E poi ha bellamente ribadito che l'unico valore che ha il DNA, per noi alieni che non lo possediamo, è quello di creare sgorbi ibridati che piacciono a quei malati di mente dei collezionisti di cose inutili.
"Insomma, in conclusione il preziosissiimo e unico DNA terrestre non serve ad altro che a comporre opere astratte, dato che genera una biodiversità così misera che io mi sono dovuto inventare combinazioni nuove per renderla interessante sul mercato degli accumulatori seriali mentecatti (infatti non ho mai menzionato possibili scienziati interessati a studiare un fenomeno che gode addirittura dell'unicità universale, e anche qui nessuno ha obiettato).
"E siccome il tizio non reagiva neanche davanti a questo elenco di assurdità, ho aumentato la provocazione: gli ho parlato con sufficienza delle loro tante varianti di formiche, criticandole perchè alla fine sono tutte uguali, e ho accuratamente evitato di elencare l'incredibile varietà di creature dell'Australia e dell'Oceania, che sfidano ogni categorizzazione del mondo 'classico'. E tanto per cambiare, il terrestre non ha fatto una piega!”
Dal tono della voce, l'Ebdecaedro che era una bionda scuoterebbe la testa con scetticismo, se potesse. “Probabilmente stava fingendo per non contrariarti, temendo che tu fossi pericoloso.”
“Ne dubito: erano privi della fantasia necessaria per avanzare questa ipotesi. Pensa che, quando ho menzionato la varietà di forme di vita basate sul carbonio, quel tizio e i suoi amici si sono immaginati un gatto, un topo, un cane col collare, un cavallo e un arnese pennuto a metà tra il dodo e l'aquila. Nient'altro. Non una mantispidae, non una talpa dal muso stellato, non un gaviale del Gange, non un...”
“Quante volte?”
“Ehm, cosa?”
“Quante volte sei sceso sulla Terra, ti sei finto un alieno, o un gruppo di alieni, o un discendente di alieni, e hai inscenato una farsa simile?”
“Qualcuna.”
“Quante. Volte.”
“Ehm. Trentasette.”
“CHE COSA?”
“Ma non ti preoccupare, quel terrestre era solo un boccalone, e gli altri sono così acritici che neanche si accorgono delle contraddizioni tra ogni mia diversa messinscena! Non sembra vero, ma pensa che c'è stato un plauso per la sua profonda morale sulla preziosità del DNA, così (e cito) simile a una 'parabola'...anche se in realtà il terrestre ha delineato uno scenario conclusivo in cui spiega che del DNA nessuno sa cosa farsene. Non c'è rischio che io abbia causato alcun trauma culturale, perchè manca la base da cui dovrebbe scaturire.”
“E dovrei credere che è sempre lo stesso, il terrestre che hai preso per i fondelli?”
“Ehm, sì: è veramente il bersaglio ideale. Da una volta all'altra non si ricorda le esperienze precedenti, se non in termini vaghi, nebulosi e aggrovigliati. Gli puoi raccontare le storie più contraddittorie, e lui non se ne accorge. Ma non ti preoccupare: ogni volta che gli sono apparso, avevo un aspetto marcatamente differenziato.”
“E come si chiama questo terrestre?”
“Mister qualcosa.”
“Sforzati.”
“Mister Marmytton, mi pare.”
L'Ebdecaedro bionda spalancherebbe gli occhi in una smorfia di grottesca incredulità, se li avesse. “Cosa? Martin Mystère? E non ti ha riconosciuto nemmeno col tuo aspetto di Ebdecaedro con le zampe? Adesso so che stai scherzando.”
“Ma io...”
“Adesso vai nel tuo tesseract e restaci per i prossimi due eoni!”
“Ma, mamma!”
“Niente 'mamma', signorino. E sarà meglio che io non scopra che anche quello scapestrato di tuo fratello maggiore sta giocando tiri del genere ai terrestri!”
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Pianeta Terra.
Londra, Regno Unito.
In una elegante abitazione di un quartiere benestante, un appartamento sfitto si arreda con eleganza.
A mezz'aria, le sfaccettature di un evanescente poliedro balenano fulmineamente, ma solo per un attimo. Nel successivo, un'avvenente donna mora, vestita con gusto, si sta rassettando i capelli davanti a uno specchio materializzatosi dal nulla. Ogni cosa appare così solida, così concreta, così vissuta da sembrare che sia sempre stata lì. E infatti ora lo è.
La donna sorride, e guarda la foto nel piccolo quadro sul mobiletto: raffigura una donna bionda e altrettanto piacente, che le somiglia molto. La foto è accompagnata dalla dedica "A Bree dalla sua cugina preferita. Diana". La parola cugina è stata chiaramente scritta a colpi di pennarello, e in modo sbrigativo, sopra la parola sorella.
Sulla porta della camera è comparso, letteralmente, un uomo.
"Eccoti qui, cognato mio."
"Veramente mi hai creato per interpretare il ruolo di tuo marito."
"E' la stessa cosa. In certe parti del mondo, ci si sposa tra fratelli, e quindi oltre che mariti si può essere cognati, nel senso di nati dallo stesso sangue"
"Quindi anche i cugini li possiamo chiamare cognati."
"Esatto. Non che per loro faccia differenza: Diana e Martin sono stati in visita a Londra non so quante volte, senza mai incontrarci o anche solo nominarci: per loro, dire Londra significa solo dire Dylan Dog. Quindi non faranno tanto caso al grado di parentela che li lega a noi."
La donna schiude la bocca in un ghigno, dove si schiera una chiostra di denti aguzzi, triangoli di sottile cristallo lampeggiante, ma è solo un attimo. Nel successivo, le sue labbra perfette si curvano appena in un'espressione cordiale.