lunedì 30 maggio 2022

[Recensione] Martin Mystère n. 387 - "Lorem ipsum"

Martin Mystère n. 387 (mensile)
"Lorem ipsum"

Testi: Luca Barbieri
Arte: Walter Venturi
Maggio 2022
 
 La somiglianza strutturale di questo albo con L'ombra di Michelangelo (Martin Mystère n. 385) conferma che la redazione ha fornito agli autori del "nuovo corso mensile" una serie di linee guida che stabilisce una direzione artistica unica per le storie da 78 pagine.
 Tra gli elementi ricorrenti negli ultimi mesi, osserviamo: una narrazione brillante (che qualcuno ha interpretato come grossolanamente comica), una dose di azione zeppa di pistole e scazzottate senza scopo, un manufatto atlantideo (mai una volta che sia muviano) che è all'origine di un qualche elemento culturale della nostra società, potere alle quote rosa, il passato medievale degli Uomini In Nero, un approfondimento storico non troppo impegnativo, Martin Mystère che non vede l'ora di sopprimere il detto manufatto invece che usarlo come prova delle proprie teorie, un'alleanza con gli Uomini In Nero per ottenere tale scopo, riflessioni più o meno inedite su certe idiosincrasie mysteriane e, infine, anche un aggancio alla continuità non troppo eclatante nè approfondito. L'umorismo insistente e sguaiato di Lorem ipsum, insieme a una trama esile e sempre più forzata, che degenera in farsa sgangherata, richiama anche l'impostazione de Il vampiro di Vienna (Martin Mystère n. 377), confermando l'impressione delle indicazioni redazionali su come confezionare queste nuove storie.
 
 Il risultato di queste indicazioni, nel caso di Lorem Ipsum, mette a disagio. Il tono costantemente pagliaccesco sarebbe più adatto a uno Speciale, se non fosse così esplicito, sbracato e privo della sottigliezza di Alfredo Castelli e Carlo Recagno, ed è rapidamente destinato a perdere efficacia, se diventa invece un elemento ricorrente nella serie regolare (non si può sperare di riuscire a far ridere a tutti i costi ogni mese, senza degenerare nello stile dei film natalizi italiani chiamati cinepanettoni). Le numerose forzature narrative, di cui parliamo in seguito, costringono a una sospensione dell'incredulità eccessiva, che rovina il piacere della lettura. L'esecuzione generale, banale e meccanica, lascia l'impressione di un prodotto formulaico, quasi un'imitazione grottescamente degradata di Martin Mystère. E' vero, gli elementi d'obbligo ci sono, ma sono assemblati in un modo superficiale e artificioso, che perde credibilità col procedere degli sviluppi, soprattutto quando si tenta di sopperire alla mancanza di logica buttando tutto sul ridere: l'impressione è che lo sceneggiatore stia lavorando controvoglia, e si sfoghi incrementando per ripicca il livello di demenzialità di personaggi e sviluppi. Di conseguenza, i numerosi difetti dell'impianto narrativo balzano all'occhio già alla prima lettura, condannando l'opera a fallire nel compito di catturare l'attenzione del lettore e distrarla dai detti difetti.
 
 Il fumetto si apre in modo ingannevolmente promettente, dato che parte con una carrellata newyorkese (che fa ripensare al "primo" Martin Mystère) e tocca una storica tematica che è mysteriana, ma non mysteriosa: si tratta della bibliofilia di Martin, che non solo è scrittore, ma anche avido lettore, costretto a fare i conti (per la prima volta?) con una letteratura popolare consumistica senza alcun valore. Si scorge il potenziale di un'analisi di come Martin si pone nei confronti di queste produzioni completamente commerciali (realizzate, avrebbe detto il critico cinematografico Morando Morandini, da qualcuno che conosce i gusti del pubblico più ignorante), che però vendono molto più delle sue pubblicazioni colte. Invece, detto potenziale viene accantonato, preferendo liquidare il fenomeno artificiale di massa con poche scene esemplificative di scarso spessore (tra le quali anche la tavola finale del fumetto, che tutti quanti abbiamo sentito arrivare da dieci chilometri con le sirene spiegate; sta a vedere che anche a noi si è aperto il Terzo Occhio?), alternate a brevi trovate parodistiche di grana assai grossa. Questa premessa, che mostra una certa buona volontà nell'imitare lo stile storico di Martin Mystère, ma si perde continuamente in pacchiane derive umoristiche di bassa lega, si rivela essere purtroppo la matrice su cui è strutturato l'intero fumetto. 
 
 Come si apprende in seguito, la tecnica di condizionamento mentale del Lorem ipsum è qui è impiegata come finto testo di un romanzo che convince il lettore di essere davanti al migliore racconto mai letto, pur non contenendo altro che il riassunto di una soap opera. La sequenza in cui Martin scopre questo inganno, ma non viene creduto da nessuno, genera una gradevole atmosfera da Zona X (o da Ai confini della realtà), ma la totale assenza di analisi delle implicazioni è una doccia fredda per il tiepido entusiasmo che si era generato nel lettore.
 Davvero nel mondo di Martin Mystère non esistono recensioni, riassunti, gruppi di discussione, non solo cartacei/televisivi, ma soprattutto digitali? Possibile che, anche in questi ultimi, tutto si riduca a gente che ripete a pappagallo quanto è bello il romanzo, senza che nessun osservatore esterno si renda conto di questa anomalia? Non è che proprio tutti leggono romanzetti rosa, non importa quanto spopolino.
 Vista la brevità del fumetto, si può sorvolare per carità di patria, ipotizzando che le autorità debbano ancora rendersi conto della gravità ed estensione dell'anomalia, mentre chiaramente gli Uomini In Nero e Martin li battono sul tempo per via della loro esperienza, risolvendo tutto prima che il problema si palesi ai più, ma di certo non si può sorvolare sulla totale incapacità di Martin di cogliere e analizzare queste angolazioni della faccenda (bisogna anche fare i complimenti al cattivo di turno, un genio senza pari che però non si è minimamente soffermato a valutare queste conseguenze, palesemente destinate a causare la sua rovina sulla lunga distanza).

 La china discendente viene definitivamente sancita con l'arrivo degli Uomini In Nero all'acqua di rose: torna infatti in scena uno di loro, il ben noto Philip Erickson, che si era ripromesso di riformare l'intera organizzazione degli UiN quasi un anno fa; l'aspettativa è elevata, ma si sgonfia inesorabilmente quando Erickson qualifica il proprio gruppo come "gli Uomini In Nero buoni", nonostante lui stesso abbia una storia non proprio cristallina. Ma, ovviamente, ognuno di noi è l'eroe della storia, ai propri occhi, e quindi sceglie di raccontarsi come meglio crede.
 Meno giustificabile è la reazione di Martin Mystère alle sue parole, nonché all'esigenza di collaborare con gli UiN: inspiegabilmente, con tutto ciò che gli hanno fatto passare, Martin sta divenendo sempre più conciliante con loro (dalla sua reazione, sembra che siano arrivati i potenti Vendicatori, invece che gli esponenti armati di una capillare organizzazione mondiale occulta, il cui scopo è imporre con qualunque mezzo la stabilità di un rapace modello economico che garantisca il potere e la ricchezza di pochi a prezzo della progressiva distruzione ambientale e dell'omologazione sociale/culturale verso il basso di tutti gli altri).
 Questa volta, Martin si mostra addirittura entusiasta della collaborazione, il che ci lascia perplessi anche quando, in seguito, scopriamo che nutre sospetti sulla donnina asiatica, e che quindi l'entusiasmo era simulato (ma fino a che punto?), il tutto perché ci viene superficialmente spiegato che lui teme qualche tiro mancino dagli UiN (alla faccia dell'eufemismo, con tutti i precedenti di ammazzamenti, attentati, esplosioni e via elencando).
 Nonostante le smentite, quindi, ci resta l'atroce dubbio che lo sceneggiatore abbia ricevuto una documentazione inadeguata riguardo alla spaventosa storia e dottrina dell'organizzazione degli UiN, nonché a ciò che questi rappresentano per la nostra società (vale la pena di ricordare che la loro organizzazione non si limita a intervenire beneficamente quando ricompare qualche pericoloso arnese del passato o di una cultura aliena o magico eccetera eccetera, ma persegue anche interessi ben più materiali, in favore dei suoi ricchi e potenti membri, ricorrendo senza remore a violenza e omicidio).
 Ci pare quindi il caso di riepilogare le letture minime richieste per scrivere gli UiN come si deve:
- serie regolare di Martin Mystère: nn. 1 "Gli Uomini in Nero", 26-27 "I figli del sogno", 27-28 "Il delitto di Martin Mystere", 35-36 "Moha-Moha", 67-68-69 "Caccia all'uomo", 135-136 "Catacombe!", 196-197 "La città dei cinque anelli", 210-211 "Il virus di fine millennio", 212-213 "Countdown: meno uno", 235-236-237 "Minaccia dal passato", 274-275 "Colpevole di omicidio", 322 "Congiura nei cieli", 325 "Voci dal passato", 373 "Incubi", 374 "Il ritorno della dea";
- Gigante n. 3 "Gli uomini in nero";
- Zona X nn. 10 "Dieci secondi per morire", 13 "Il risveglio dei draghi", 44-45 "L'ultimo mistero";
- Maxi n. 3 "Il potere del Vril".
 In parallelo agli UiN edulcorati e compagnoni, esordisce l'altra metà del fumetto che ammazza ogni possibilità di salvare la storia: la parte più goffa e inutile, un riempitivo nel rempitivo. Wendy Wong, la doppia quota obbligatoria spaccatutto e ammazzatutti, salvo che nel finale dove si sgonfia come un palloncino, la donna macho che siede con le gambe divaricate (perché sì, è un fumetto progressista), ma nello stesso tempo ha cura di coprire con braccia e ombre le parti intime (perché no, non è un fumetto sessista).
 Il suo scopo è infatti solo quello di giungere a un tradimento che serve a tirare per le lunghe una trama già stiracchiata (nonostante debba coprire solamente 78 pagine di fumetto), nella quale già da troppo tempo si susseguono soporiferi "colpi di scena" a base di arti marziali, pistole e mitragliatrici, sempre senza che alcuno dei buoni si faccia male.
 Dopo il suo esordio da Mary Sue (è imbattibile, ha il Terzo Occhio, sa tutto di tutto, è bellissima, tutti la venerano), Wong collassa su se stessa come un castello di carte truccate. Prima, la dabbenaggine con cui si tradisce con Martin: imbarazzante, visto che lui ricorre al solito trucchetto di menzionare un certo docente, fingendo di avere con lui un rapporto che non ha, e lei (che pure si è dovuta studiare veramente a fondo la parte, per ingannare gli occhiutissimi Uomini In Nero) ci casca come una pera stracotta, pur essendosi dimostrata finora furbissima eccetera (chiaramente non ha mai letto un fumetto di Topolino, dove questo trucco è all'ordine del giorno). Poi, quando ha "gettato la maschera" e si fa beccare da Erickson come una mocciosa che ruba la marmellata. E, infine, quando spiega di essersi infiltrata negli UiN facendo carte falsissime, e regalando loro un'altra figuraccia da incapaci: ben oltre Mary Sue, questo è un livello Paperino che si mette mascherina e maglione rosso, e i Bassotti lo scambiano per uno di loro.
 A posteriori, si nota subito che sarebbe infinitamente meglio avere una Wong che è veramente una studiosa che tradisce gli UiN per il potere, dato che la faccenda delle false credenziali che fregano gli onniscenti UiN non sta minimamente in piedi, in una storia seria (ma, in effetti, gli UiN di Erickson ci vengono presentati alla stregua di una Armata Brancaleone).
 Il destino di Wong, infine, la equipara fin troppo a quello della signora Dannay del romanzo Il potere del falco appena conclusosi sulla pagine della testata, rendendola un personaggio ancora più stereotipato e ripetitivo: entrambe malvagie, entrambe dotate di talenti mistici rari (ma condivisi con i nostri eroi), entrambe ambiziose e traditrici, entrambe desiderose di mettere le mani su qualche antico potere mistico, entrambe fatte infine prigioniere degli UiN di Erickson per proteggere l'umanità.
 
 Esiste un modo intelligente di avere una quota obbligatoria come Lucy Liu Wendy Wong senza dover infarcire il fumetto di scene artificiose: utilizzarla come personaggio di epoca Atlantideo-Muviana, spostando lì l'azione, accontentando la redazione, creando un retroterra credibile al MacGuffin del Lorem ipsum, collocandolo sensatamente nel contesto della serie e della sua epoca di origine, e dando così risposta almeno a qualcuna delle domande di cui parliamo in seguito.
 
 Invece, se tanto ci dà tanto, la marziale donna dal Terzo Occhio Wendy Wong è destinata a tornare (anche quella di creare nuovi nemici ricorrenti è un'indicazione data dalla redazione). Ma se ci sbagliamo, e questo è un personaggio a perdere, prelevato citazionisticamente da una quota obbligatoria del film Charlie's Angels, allora almeno speriamo di non rivedere nemmeno lo stereotipo della donna del film Kill Bill con la benda sull'occhio che spara in ogni direzione (e in generale, speriamo che autori penosamente a corto di idee la piantino di usare televisione e cinema come serbatoio da cui pescare le facce dei personaggi, nonchè di trascorrere più tempo a calcolare la presenza di quote obbligatorie piuttosto che a costruire trame degne di questo nome). E parlando di elementi narrativi che sembrano buttati lì per caso, l'uccisione dei vari accademici avrà un senso in futuro?
 
 Tutto questo spazio sprecato per le acrobazie e le astuzie di Wong avrebbe potuto essere utilizzato meglio, per rimediare alla citata superficialità dell'impianto narrativo, incentrata sul (pretestuosissimo) MacGuffin di turno, e cioè il terzo punto dolente di questo fumetto.
 Usato in modo banale e improvvisato, la sua scarsa originalità sarebbe tollerabile, se la storia ne affrontasse le numerose implicazioni, invece di ignorarle in favore della deriva farsesca, lasciando una scia di domande che restano senza risposta: questa tecnica di manipolazione era in uso durante l'epoca Atlantideo-Muviana? Quell'epoca era quindi era di fatto una dittatura occulta, di cui non ci è mai stato detto nulla? Oppure questa tecnica era un segreto gelosamente custodito? E questo era il caso, come fu ideata, chi la custodiva e perché non veniva usata? Come e da chi fu scoperta/sviluppata? Che effetto ebbe sulla storia del passato? Perché nelle storie degli ultimi anni ogni manufatto antidiluviano è sempre e solo di origine Atlantidea? Come si concilia con gli altri n-mila metodi di controllo di massa delle menti presenti nella serie?
 Ci sarebbe materiale per esigere una storia in due puntate, a voler prendere sul serio l'idea di base, ma in nome della credibilità ci saremmo accontentati anche solo poche pagine di retrospettiva (persino le due di L'ombra di Michelangelo). Invece, le storie in due puntate vengono sprecate per riempitivi stipati di azione e privi di costrutto.
 
 Se proprio non si voleva rinunciare alle scene d'azione (che sono sempre le stesse da 40 anni, immutabili e noiose e ripetitive fino alla disperazione) per dare spazio all'approfondimento, parte più importante della narrazione mysteriana, si sarebbero potute sacrificare altre cose penosamente imbarazzanti come l'orso con il lecca lecca o il quiz di sostituzione dei simboli planetari, con tutte le goffe e macroscopiche forzature narrative e implicazioni demenziali che si trascina dietro l'intera sequenza. (Livello di difficoltà del codice: storia a quiz di Topolino. Livello di professionalità di Erickson che se lo fa risolvere da Martin invece che dai criptologi della sua vastissima organizzazione: commissario Basettoni che chiede aiuto a Topolino. Livello di plausibilità dell'agente In Nero infiltrato che riesce solo a comunicare quel quiz, invece che le coordinate dell'abitazione del cattivo, e poi non ricompare mai più nella storia, esattamente come questa faccenda delle coordinate, dato che all'abitazione ci si recano tutti, senza bisogno di coordinate in codice, e gli UiN avrebbero semplicemente potuto seguire con un satellite o una microspia la squadra di assassini mandata dal malvagio a casa di Martin: giallo mono-pagina dell'ispettrice Bananas su La Settimana Enigmistica).
 
 Compare, se non altro, un elemento interessante, cioè l'idea che Martin, in questa situazione di collaborazione necessaria con gli UiN ma (non troppo) sgradita, si atteggi a farfallone per dissimulare i suoi veri crucci e non far quindi preoccupare Diana (questi crucci, però, si traducono solo nel sospetto verso la donnina asiatica, perché invece tutto il resto del rapporto con gli UiN è idilliaco). Purtroppo, la resa pratica di questa idea, specialmente nel comportamento e nei dialoghi di Diana, è troppo sopra le righe, lontano dal personaggio maturo e sofisticato che Alfredo Castelli e Carlo Recagno hanno fatto evolvere nel tempo: sembra quasi di assistere a una volenterosa imitazione della Diana gelosa di Martin Mystère nn. 11-12, con il problema che proprio in quella storia Diana abbandonò le sue gelosie da commedia. Ci viene il sospetto che Lorem ipsum tenti di imitare anche il particolare umorismo di quella storia, mancando però il bersaglio.
Anche in questo caso, per gli scrittori che vogliono cimentarsi in una storia "leggera" di Martin Mystère, ma confondono il fracasso caciarone con l'umorismo per adulti, ecco una guida per aiutarli a comprendere la differenza tra le barzellette di Topolino e l'arguta ironia dissacrante mysteriana, che lo stesso Alfredo Castelli ha definito sophisticated comedy e che è da sempre un caposaldo della narrazione consistente e ragionata della serie:
- serie regolare: "Il teschio del destino", 11-12; "Affari di famiglia", 174-175; "New York Stories", 182-184;
- Speciale Martin Mystère: 1-16.

 Abbiamo parlato della scarsa originalità del MacGuffin di turno, capace di far credere qualunque cosa a chi ne viene colpito: approfondiamo l'affermazione. La camera del carisma di Alessandro Magno; la Heilige Lance di Hitler; le Macchie di Rorschach; l'inganno degli Yahi; l'androide Drusilla; il theremin di A.R. Kane; il pifferaio di Hamelin; l'accordo musicale di Mozart; le parole crociate di Mistake; le barzellette di G'norg 1°. Quante volte ci siamo ritrovati con il metodo definitivo di manipolazione della mente umana, che avrebbe potuto annientare la società e che però non è mai stato usato a dovere?
 
 Altro punto dolente, il cattivo di turno: Wilbur Wallace, è talmente scadente che nemmeno nelle operetta se ne trova uno simile. Descritto come un assassino spietato e un genio capace di comprendere le regole del Lorem ipsum per applicarle in un campo estremamente specifico, è a capo di un'organizzazione così vasta che gli UiN vi infiltrano agenti senza scoprire quasi nulla; ha la passione dei codici (ovviamente) e quindi ha codificato le coordinate della sua abitazione, situata in una località segretissima (e che ne è stato di architetto e muratori? E quando è stata costruita?). Ma a cosa e a chi servono, queste coordinate codificate? A chi le fornisce? Come può la sua abitazione essere così ben nascosta che gli UiN non sono in grado di rintracciarla? E quindi come fanno gli scagnozzi di Wallace (semplici assassini mercenari, non esattamente brillanti) a raggiungere la sua abitazione, e per di più senza essere seguiti o pedinati (cosa che gli UiN dichiarano di avere fatto a New York, senza però pensare di farlo per rintracciare l'abitazione)? Per quale motivo Wallace si è circondato di questi mercenari? Perché Wallace è così violento, e che piacere trae dal vivere come vive? Se la sua villa è come una fortezza, dove sono le relative difese, a parte l'orso? Dov'è l'esercito di mercenari al servizio di Wallace quando la villa viene invasa, e perchè costui lo ha allestito, visto che il suo stupore iniziale dimostra che non si aspettava il minimo problema col Lorem ipsum? Purtroppo, la risposta a queste domande è che tale imbarazzante impalcatura narrativa è soltanto una scusa facilona per coinvolgere a martellate Martin Mystère nella vicenda.
  La trama, quindi, affonda irreparabilmente a ogni passo, senza neanche bisogno di una rilettura per notare come non solo Wallace fa di tutto per attirare su di sé i propri nemici, ma è incapace di comprendere di avere tra le mani un'arma assoluta con cui potrebbe sbarazzarsi di loro senza neanche dare inizio alle ostilità, per esempio esponendo intorno all'abitazione cartelli con scritte atte a manipolare nei modi più svariati la mente di qualunque intruso si avvicini, costringendolo ad andarsene, o a commettere suicidio, o a rinunciare a ogni ostilità (ne ha avuto tutto il tempo, visto che quella villa non la possiede certo quando era un umile bibliotecario, e non l'ha costruita nelle settimane in cui il suo libro è stato pubblicato e ha avuto successo).

 Abbiamo sottolineato più volte che ormai la redazione sembra fornire agli sceneggiatori solo un'indicazione come "mettici un oggetto di Atlantide", quando si vuole illudere il lettore che venga ripreso il tema delle civiltà che si sono autodistrutte migliaia di anni fa a causa dei loro errori scellerati (in origine, questa era una metafora della Guerra Fredda e della minaccia nucleare, ma incredibilmente, è valida ancora oggi, perché sebbene si tratti di errori di categorie diverse, il fanatismo della classe dirigente resta invariato). Eppure, Atlantide non era sola: aveva anche un nemico, e cioè l'Impero di Mu, che ha lasciato a sua volta numerose testimonianze, di matrice nettamente differenziata. Evidentemente, agli sceneggiatori non viene fornita la base minima necessaria per comprendere la situazione geopolitica (e tecnologica) della Terra di dodicimila anni fa, per cui forse l'idea di usare Wong come descritto in precedenza diventa pia illusione.

 Un possibile intervento della redazione è il dettaglio (scollegato da questa storia) degli studiosi trovati misteriosamente morti (o assassinati): sembra lo storico modus operandi di una certa nemesi che sta per tornare.
 
 Dalla delusione per le mancate occasioni delle tematiche mysteriane, passiamo ad aspetti più tecnici, come la sceneggiatura e i dialoghi.
 L'esecuzione è piattamente lineare e di facilissima fruizione, quasi fosse rivolta a un pubblico adolescenziale, con brevi ricostruzioni retrospettive eseguite dai personaggi stessi e quindi collocate nel flusso narrativo in modo molto diretto (e peraltro poco significative, persino quando si tratta dell'ennesimo gruppuscolo di Uomini In Nero impegnato in crisi interne). Lo sforzo di riprodurre certi stilemi della narrazione nella narrazione è sicuramente presente, ma manca il gusto per l'intreccio e la complessità che danno a Martin Mystère quella caratteristica unica di sfida alle capacità analitiche e culturali del lettore, come visto anche solo un mese fa, oppure in alternativa di invogliarlo a documentarsi per i fatti propri sull'argomento di turno. Già, perché, come abbiamo notato, anche quest'ultimo suona falso, e tale risulta essere: il testo Lorem ipsum in sé non nasconde alcunché di misterioso, essendo non il contenuto del testo, ma la disposizione delle parole a esercitare certi effetti sulla mente; la sceneggiatura stessa lo sottolinea, come a ribadire la natura di tarocco di questa storia.
 Caratterizzazione e dialoghi sono in sintonia col tono baracconesco della storia e con la pretestuosità del non-mystero di turno: cadendo progressivamente in preda allo sbrago più totale, nessuno dei personaggi riesce a prendersi sul serio, e parla soprattutto per sbeffeggiare sé stesso o gli sviluppi della storia.
 Parlando de L'ombra di Michelangelo, lo avevamo definito migliore di un riempitivo come Obiettivo: Apocalisse. Con Lorem ipsum, invece, sembra di trovarsi nei dintorni di Fantasmi a malta. In compenso, Lorem ipsum è stato accostato a Topolino (ma non stiamo parlando di Gottfredson o Andrea Castellan; ci riferiamo al genere dotato solo del livello di lettura pre-adolescenziale, in cui i personaggi, ormai da anni, giocano a essere costantemente auto-consapevoli e vogliono fare i brillanti al riguardo, con uno stile abusato fino all'usura), ed è stato definito anche come una (brutta) copia di Alan Ford, un paragone decisamente non lusinghiero, visto che si tratta di produzioni il cui stile è distante anni luce da quello del vero Martin Mystère.
 
 Davide Bonelli interviene su tutte le testate di questo mese per parlare della crisi dell'editoria, ma anche di quella economica che ora sta investendo, tra l'altro, il mercato delle materie prime come la carta, e ciò ci porta a una domanda cruciale: davvero la strada per affrontare questa situazione consiste nel mandare in edicola un prodotto così imbarazzante da costringere i lettori a fare una croce su certi sceneggiatori ed escluderli quindi dagli acquisti? Supponendo un inevitabile aumento di prezzo, e un'equiparazione del fumetto a un genere di lusso, per puntare quindi su edizioni pregiate da libreria, c'è davvero uno "zoccolo duro di appassionati" che sosterrebbe comunque una costosa pubblicazione che offre prodotti di questo livello? 

 Torna l'arte di Walter Venturi, che eroga una prestazione nettamente superiore rispetto alla doppia storia de Il vampiro di Vienna, soprattutto in termini di chine: si direbbe che, questa volta, con sole 78 pagine da completare, l'artista abbia potuto dedicare molto più tempo a rifinire e curare ogni singola tavola.
 
 Il risguardo di Claudio Velardi ci mostra un ambiente fognario con tanto di ratto in primo piano: non è una metafora, ma il risguardo del n. 388, anticipato di un mese. Alfredo Castelli ha dato spiegazioni in merito.

 La copertina di Giancarlo Alessandrini, dalla costruzione molto classica, evocativa e inquietante, promette più di quel che l'albo mantenga, in termini di sinistri libri contenenti segreti arcani, controllati dalla solita setta di tenebrosi incappucciati.
 
 La pagina di Zio Boris, che abbandona i temi politici per virare sull'umorismo macabro, sembra proprio prenderci in giro per aver preteso un irrealizzabile ritorno alle tematiche classiche della serie.

 La rubrica Fantasmagoria si diletta con la storia della tipografia, raccontandoci il curioso aneddoto del dreidel e della burla dell'isola di San Seriffe: sono entrambi argomenti con quel caratteristico gusto capace di destare l'interesse e la fantasia di Castelli, e ricchi di potenziale narrativo; sarebbe stato davvero così difficile integrarli nella trama del fumetto (ribadiamolo: accantonando le inutili scene d'azione e i quiz coi simboli da sostituire)?

"Zona Y" (1)

Di Andrea Carlo Cappi
 
 Esordisce il secondo romanzo serializzato di appendice (destinato a concludersi nel n. 400): anche in questa seconda prova, ci ritroviamo davanti a un'opera che recupera e attualizza le tematiche di certi racconti tecno-urbani impossibili di Alfredo Castelli (quelli da cui prese il via l'antologico Zona X, ma anche quelli come Space Invaders, che portano a inediti estremi le nuove frontiere della tecnologia). Oltre alla realtà virtuale, dove la morte comporta (come da manuale) anche la morte del proprio corpo fisico, c'è in circolazione anche un Martin Mystère digitale che non è veramente lui, e infine un terzo elemento molto Castelliano, e cioè la figura del geniale inventore informatico che è diventato ricchissimo e ora persegue un sogno folle di cui abbiamo solo iniziato a scorgere i contorni: è forse una premessa per la ricomparsa di Mister Jinx?

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