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Maledetti Testimoni del Mystero, non ti danno tregua ovunque tu vada! |
Aprile
2017
Storia
di Alfredo Castelli ed Enrico Lotti
Arte
di Fabio Grimaldi
A
cosa serve
Il
numero 350 della serie regolare di Martin Mystère arriva
proprio in tempo per festeggiare i 35 anni editoriali del
personaggio, spiegando così la grafica del numero in copertina, con
uno zero ridimensionato perché la cifra possa invece essere letta
come 35°.
Esaurite
le idee tipo “universi alternativi di epoche passate”, la
redazione torna a proporre un albo celebrativo di tipo tradizionale,
in quanto incentrato su una tematica tra le più importanti del cosmo
narrativo di Martin Mystère (e vorrei anche definirla “tra
le più amate dai lettori”, ma alla fine io ho un riscontro
parziale dato solo dal responso della esile fetta dei fan di MM che
frequenta il forum di Agarthi, o in precedenza la mailing
list; magari la redazione di MM riceve invece tonnellate di posta
cartacea in cui gli “altri” lettori protestano per la noia di
questo filone narrativo).
La
tematica in questione è quella dei tesori divini che il popolo dei
Tùatha De’ Dànaan portò in Irlanda dalle quattro città boreali
dove era stato iniziato alla conoscenza druidica: nell’universo di
Martin Mystère, i Tùatha sono invece un’avanzata specie
aliena che visitò la Terra 180 milioni di anni fa, distribuendo
questi tesori per studiare l’evoluzione della vita sul nostro
mondo; in seguito a un incidente, questa strabiliante tecnologia
sfuggì al loro controllo, interagendo attivamente con l’umanità e
dando origine a dinastie di oggetti mistici e leggendari, legati agli
archetipi di Lancia, Pietra, Spada e Coppa. Spesso e volentieri,
Martin Mystère si è trovato a indagare sull’influenza di questi
oggetti nelle mitologie e religioni di tutto il mondo, scoprendo il
fitto intreccio di connessioni che si cela dietro la storia ufficiale
(o meno): dalla Lancia di Longino al Graal di Gisors, passando per la
Pietra di Abramo e arrivando all’Excalibur, il tutto sempre con
l’accortezza di non “chiudere la porta” a ulteriori sviluppi,
per cui, per esempio, anche l’Arca dell’Alleanza conteneva uno
dei Graal derivati dai Tesori dei Tùatha, e una Pietra Filosofale è
custodita nella Sagrada Familia di Antoni Gaudì.
Come
si legge
L’importante
è non ricordarsi quasi nulla delle storie vecchie
di Martin Mystère, altrimenti non si cade nella trappola
dell’operazione “finto recupero nostalgico”. Le prime 10 tavole
sono deliziose, nella loro ricostruzione di un momento cruciale della
storia di Gerusalemme nel 700 a.C, tanto che sembra di leggere
davvero un vecchio fumetto di Martin Mystère;
da lì in poi, la vicenda deraglia e colleziona una cantonata dopo
l’altra, tra dimenticanze, omissioni e contraddizioni relative non
solo alla storia nota dei Tesori dei Tùatha de Dànaan, ma anche
alla carriera investigativa dello stesso Martin, tanto da avere il
dubbio che la sceneggiatura sia stata messa insieme limitandosi a
osservare le copertine della serie regolare, le tavole finali di
qualche Gigante, e qualche voce dell’Indice Analitico
semi-aggiornato.
Non
va meglio nell’ambito della costruzione narrativa del singolo albo.
Se è vero che i fumetti di questo Martin Mystère moderno
vengono scritti contando sul fatto che la maggioranza dei lettori
attuali non ha letto o non ricorda gli albi classici, e comunque non
ha interesse a seguire un intreccio complesso e impegnativo, è anche
vero che la “durata di attenzione” del lettore ideale di questo
albo deve essere inferiore alla durata di vita di un moscerino della
frutta, date le inspiegabili ripetizioni che lo costellano, dalla
reiterazione della storia dell’internamento dei giapponesi negli
USA durante la Seconda Guerra Mondiale (raccontato con gli stessi
dettagli dal “robivecchi” a John Asaki prima, e a Martin Mystère
dopo) fino alla doppia scena di Diana perennemente in cucina a
spadellare e unica abitante del n.3 di Washington Mews che si accorge
dello strano bagliore che viene dallo studio di MM (e, poveretta
anche lei, non capisce che la causa è sempre la stessa). Il lettore
avveduto finge anche di non ricordarsi che Martin nasconde il Prisma
dietro lo schermo del computer, su richiesta di Diana, dato che nella
scena successiva il Prisma è di nuovo davanti allo schermo (e la
stessa Diana non lo nota, invece di fare una scenata a quell’ostinato
di Martin che tiene in bella mostra sulla scrivania le cose che deve
far vedere nel fumetto). Da ignorare con cura anche la rivelazione
anticlimatica della migrazione che condusse le tribù perdute fino in
Giappone: l’anziano giapponese racconta questa leggenda nel
dettaglio, e poco dopo Martin scopre che la traduzione delle
genealogie del diario gli conferma la stessa storia, che però gli
autori, contando sulla smemoratezza del lettore odierno, ritengono di
dover spiegare nuovamente, riproponendo il sentore della ridondanza
inutile.
Il
lettore modello si premura di farsi distrarre tramite le
interessantissime 19 tavole dedicate al solo John Kasaki, in cui
questo sinistro criminale si dedica a emozionanti attività che
eclissano tutto il resto. Infatti, Kasaki rimugina sui movimenti
delle sue vittime, e ricostruisce pazientemente ogni loro azione,
dagli acquisti di alimentari alle telefonate, passando per
prenotazioni di biglietti o viaggi in taxi. Ma non è tutto: Kasaki è
un pubblicitario, ed ecco quindi numerose vignette dedicate alla
riunione dei dirigenti che parlano della merendina “mister
squeesh”, della sua confezione provvisoria, del parere dei
“creativi”, del “target”, del “focus group”,
e via discorrendo di elementi che si amalgamano molto bene con la
trama dell’indagine sul mystero della Decima Tribù, trama in cui
svolgono un ruolo fondamentale (nessuno).
Sempre
sul personaggio di Kasaki, il lettore prudente evita di considerare
come questo genio dell’informatica, capace di accedere illegalmente
a caselle postali, conti correnti, carte di credito, e persino reti
satellitari, sia condannato a un lavoro che detesta (e che destiamo
anche noi) e senza sbocchi, mentre il suo piano geniale consiste nel
diventare potentissimo mettendo le mani su una scatola che un tempo
dava notizie epocali (vedi Pearl Harbor), ma al giorno d’oggi si
limita a scodellare fattacci di cronaca nera in anteprima.
E’
auspicabile che la dimenticanza del lettore coinvolga anche il titolo
dell’albo, dato che Martin Mystère spiega molto in fretta che
“dieci” significa anche “molti” in aramaico (?), e che le
tribù effettivamente note sono nove, per cui non esiste una decima
tribù. Così facendo, si evita di osservare che la storia non scende
mai nel dettaglio delle tribù effettivamente oggetto della diaspora
del 700 a.C., dando l’impressione che tutte insieme viaggino fino
al Giappone, senza alcuna distinzione significativa tra l’una e
l’altra, fatto che rende del tutto irrilevante la presenza o meno
di una decima tribù.
In
certi passaggi narrativi, è opportuno che la “durata
dell’attenzione” ceda il passo alla “morte della logica”, per
poter avanzare oltre momenti come quello in cui il Prisma mostra un
articolo di giornale sulla morte del robivecchi, privo di data (a
voler dar credito al robivecchi), ma corredato della frase sulla
morte dell’assistente dello stesso, avvenuta “una settimana fa”.
Solo con la morte della logica, un lettore rispettoso della volontà
degli autori evita di concludere che questo dettaglio permetterebbe
al robivecchi di calcolare facilmente la data del giorno in cui
morirà. Il lettore-tipo eviterà comunque di notare che, nella
pagina successiva, il robivecchi dichiara testualmente che su
quell’oggetto c’è la data della sua morte.
Sembra
opportuno citare lo stesso John Kasaki, che durante questa vicenda
ordina: “Ditemi qualcosa che
non so.”
Curiosamente,
Martin Mystère non fa una piega quando apprende da Travis Travis che
l’FBI si è accorto che qualcuno sta spiando i suoi account
digitali. A Martin non sembra importare molto che l’FBI lo sorvegli
così da vicino. Non è turbato neppure quando sente che alcuni
funzionari dell’FBI amici di Travis gli raccontano queste cose,
sapendo chi è lui.
Nonostante
la faccenda dell’assassino ignoto sia enormemente preoccupante, e
nonostante la vita di Diana sia in serio pericolo, con tanto di
profezia che incombe su di lei, Martin rifiuta l’aiuto dell’FBI,
perché vorrebbe “fare da solo”: la sospensione dell’incredulità
qui è messa a durissima prova, viste le sue scenate isteriche di
poche pagine prima.
E,
subito dopo aver rifiutato questo aiuto, Martin accetta invece quello
di Travis, che gli offre di nascondersi in un appartamento di Hoboken
usato dalla Polizia per la protezione dei testimoni: perché la
Polizia sì e l’FBI no?
In
questa sequenza, Martin si meriterebbe un certo epiteto che mette in
dubbio le sue facoltà mentali, ma quello lo riserviamo per il finale
della storia.
La
cosa importante di questa vicenda (almeno così sembra a giudicare
dalla fretta degli autori) è arrivare al melodramma finale, senza
notare la sinistra somiglianza con almeno due storie classiche della
serie. La cortina di fumo di reazioni isteriche, urla, baci e
abbracci, pianti e piagnistei vari (o “le emozioni”, come si dice
oggi, per giustificare le storie che non stanno in piedi) è l’ideale
per far passare sotto silenzio le inconsistenze narrative di tutto
l’albo, e ovviamente è utile anche per non notare la brillante
logica del finale, in cui Martin si ripromette di scoprire un giorno
come potesse John Kasaki sapere tutte queste cose sul Prisma.
Parentesi:
ma è davvero questa la cosa importante? Un attimo prima, Martin
dichiara che del misterioso manufatto “impossibile” è meglio non
sapere nulla di nulla, però della storia privata dell’ennesimo
criminale psicopatico da operetta gli importa tanto da fare una
simile promessa? Ma forse si tratta di un intento tipo quello di
correre a salvare Sergej Orloff, il quale giace nel limbo ormai da
parecchio tempo.
Tornando
a Kasaki: a parte che stiamo parlando di un giapponese statunitense
di quarta generazione, e quindi probabilmente discendente dai
giapponesi internati durante gli anni 1940 che sapevano del Prisma
stesso, a parte che sarebbe bastata una pagina di flashback da
piazzare al posto delle elucubrazioni pubblicitarie dello stesso
Kasaki per sciogliere questo mysterone in un istante, la spudoratezza
di Martin non ha limiti: dopo aver quasi ammazzato Diana indagando
sul Prisma e su Kasaki, Martin promette allegramente di tornare a
rifarlo. E Diana è lì di fianco a lui che annuisce, beatamente
dimentica dello sfracello causato proprio da quelle indagini e del
rischio che ha corso. Per rubare una frase tipica di un altro fan storico che è altrettanto straniato da questo tradimento fumettistico,
non possiamo che chiederci “Ma sono dementi?”. Salvo poi aver
cura di rimuovere, da bravi lettori moderni.
Cosa
vi sfugge
Il
segreto di San Nicola (Martin Mystère Gigante n. 1) rivela che
la missione dei Tùatha de’ Dànaan ebbe luogo 180 milioni di anni
fa, e i Tùatha distribuirono sulla Terra sei dei sette Tesori, prima
che il loro vascello spaziale si schiantasse nella regione destinata
a divenire il Deserto del Gobi.
I
Tùatha superstiti si ripromisero di restare a bordo del relitto, per
sorvegliare l’evoluzione dei Tesori, servendosi proprio del settimo
di essi per fare ciò. In “Le dieci tribù”, però,
risulta che questo settimo Tesoro (o Prisma, o Analizzatore
Stocastico) è nelle mani del “popolo d’Israele”: quando ci è
finito, e in che modo ciò si concilia con le scene finali del citato
MM Gigante n.1?
Il
MM Gigante n.1 mostra chiaramente che la base dei Tùatha si
trova ancora sulla Terra, nel 1995, da qualche parte del deserto del
Gobi. Com’è possibile che in MM 350 invece i Tùatha si
trovino in un altro sistema solare, o comunque su un pianeta assai
distante dalla Terra? Anche a volerli collocare su una luna di
Saturno (pianeta gigante gassoso che ospita la famosa perturbazione
atmosferica a forma di esagono), i TdD affermano di non avere
contatti con la Terra sin dal tempo del fallimento della loro
missione, 180 milioni di anni fa. Come si concilia ciò con la scena
del MM Gigante n. 1 ambientata nel 1995?
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E non abbiamo detto "Esagoni" nemmeno una volta |
In
MM 350, i Tùatha affermano di non avere contatti con i Tesori
e il nostro pianeta da 180 milioni di anni, ma sono informati della
presenza degli esseri umani sulla Terra: eppure, questi ultimi hanno
cominciato a differenziarsi dalle scimmie solo 6 milioni di anni fa.
Come possono i TdD essere così informati sull’evoluzione della
vita sulla Terra, dopo ciò che hanno affermato?
MM
350 attribuisce a una tribù
di Israele il possesso del Prisma, ma non spiega come è stato
utilizzato fino al 700 a.C., o perché nessuno si sia mai accorto
delle sue capacità precognitive.
Il
Prisma è in grado di mostrare il probabile futuro su una sola delle
proprie facce: perché le altre invece sono iscrizioni immutabili? E
che informazioni riportano esattamente: annali in aramaico o cosa?
Perché le altre facce sono state incise, e sono immutabili?
Sicuramente l’albo ne avrebbe beneficiato, se gli autori avessero dedicato
spazio alle risposte a queste domande, magari sacrificando le già
citate spiegazioni duplicate, o le imbarazzantemente dettagliate
avventure della nuova merendina e delle relative strategie di mercato
dell’agenzia pubblicitaria.
Si
deve presumere che una delle tribù perdute di Israele (e non tutte e
dieci) abbia raggiunto Agarthi dopo la diaspora raccontata in MM
350,
e lì sia entrata in possesso di un altro dei Tesori (la Pietra di
Abramo), portandolo poi nei futuri Stati Uniti. Nella vaghezza della
ricostruzione di MM
350,
ciò viene solo sommariamente lasciato intendere, ma è
approssimativamente congruente con New
York Stories (Martin Mystère nn. 182-184). Purtroppo il
riferimento a quell’albo nella nota di MM
350
porta a voler rileggere la storia del “Tesoro
della Grande Mela”
(o “Segreto
di Peter Stuyvesant”),
e il confronto tra quella stupenda avventura e l’albo qui in esame
è a dir poco impietoso.
Martin
Mystère “deve” dire di non aver mai avuto a che fare con un
mystero come quello delle notizie dal futuro, nonostante l’invenzione
di Gerard Henry vista in Cassandra
(Martin Mystère nn.113-114) (tristemente, ci si preoccupa invece
di citare il film Avvenne
domani).
Come
visto nel già citato “New
York Stories”,
ma ancor prima in Il
presagio (Martin Mystère nn. 66-67), Kut Humi e gli altri monaci
di Agarthi svolgono nella nostra epoca la funzione di guardiani dei
Tesori dei TdD, e hanno cura di riportarli ad Agarthi alla fine di
ogni ciclo. Questo accade perché, come implicato in MM
Gigante n.1,
Agarthi nasce dalle rovine dell’astronave dei TdD (schiantatasi
appunto nel deserto del Gobi), ed eredita la missione di questi
ultimi. O, almeno, questa sembra essere stata l’intenzione della
sceneggiatura e del disegno che Alfredo Castelli stava creando ai
tempi: ora la cosa non sembra più tanto chiara, soprattutto se si
considera la più totale assenza (e indifferenza?) di Agarthi in
questa faccenda (certo, il Prisma ormai serve solo per la cronaca
nera, quindi forse è uno strumento di potere irrecuperabilmente
ammalorato, per cui a che serve impegnarsi per recuperarlo?).
Da
pagina 136, la trama di MM
350
è una copia del finale de L’uomo
programmato (Martin Mystère nn. 123-124): come mai? Se
accettiamo l’ipotesi del disegno unificatore di MM
Gigante n.1,
allora la risposta è molto semplice: i Tesori dei TdD hanno lo scopo
di raccogliere informazioni, e il Prisma riceve e analizza le
informazioni degli altri Tesori; in quanto summa della conoscenza
universale terrestre, il Prisma è anche l’elemento fondante del
Databank Universale, che corrisponde alla stessa definizione. Il
Databank Universale contempla anche i possibili futuri, proprio come
fa il Prisma. Questa definizione è la stessa che si può dare
dell’Akaschi, il libro dell’onniscienza la cui consultazione è
una prerogativa dei monaci di Agarthi. Costoro sarebbero proprio gli
eredi morali dei TdD, cioè di coloro che portarono sulla Terra i
Tesori, tra i quali il Prisma. Come ne L’uomo
programmato,
in MM
350
si vede in azione il destino, dato che la morte di Kasaki, pur con
alcune varianti rispetto alla profezia iniziale, deve accadere
comunque (e, tristemente, il destino si ripete per giungere al
risultato desiderato). Per completare l’equivalenza tra Destino,
Akaschi e Databank Universale, tutti collegati al Prisma della
conoscenza assoluta, vale la pena di segnalare come ne L’uomo
programmato
compaia Jaspar, il misterioso bambino in possesso a sua volta di una
conoscenza universale.
Segnali
di stile
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E' un'impressione, o qualcuno sta imitando lo stile di Castelli? |
Come
la già citata sequenza nella Gerusalemme del 700 a.C., anche il
flashback Iracheno sembra avere il tocco di Castelli, nelle
didascalie, ma in generale lo stile del creatore di Martin Mystère
sembra essere diluito fino a scomparire, per la maggior parte
dell’albo.
La
scena al Chicago Oriental Institute è, in questo senso,
penosa: dove Castelli l'avrebbe sceneggiata con un adeguato corredo
di didascalie in cui avrebbe infuso la sua innata curiosità,
fornendo intriganti informazioni sul museo con la sua elegante e
sobria prosa, quello che ci ritroviamo invece a leggere in MM 350
è una sequenza di vignette vuote e fredde, corredate da vacue
chiacchiere che banalizzano ogni cosa, compreso il riferimento a
Indiana Jones. Il culmine dell’inconsistenza compare nella
non-gag del curatore del museo, dalla cui insipida
conversazione emerge la differenza di età rispetto a Martin, che
però non viene esplicitata (forse è stata rimossa dalla redazione,
per sorvolare sulla vetustà dell’indagatore dell’impossibile,
ormai sempre meno credibile?): la noia nella lettura è tale che non
si può evitare di chiedersi subito a cosa sia servito questo scambio
di battute: si trattava di un riempitivo per tirare le 160 pagine? O
forse di un omaggio alla saga per bambini de “Una notte al museo”?
La
già citata scoperta anticlimatica della concretezza dell’esodo
delle Tribù verso il Giappone è tutto tranne che
mysteriano-Castelliana: prima ancora di analizzare le genealogie del
Prisma, Martin Mystère si sente raccontare dall’anziano giapponese
proprio la leggenda di cui ora sta per trovare la prova. Invece che
partire da un esame degli indizi e andare poi a ripescare dalla
memoria (o da un libro, o da un testimone) la teoria/mito in
questione, il “detective” si ritrova con la “pappa bell’e
pronta”, azzerando anche l’unico accenno delle indagini
mysteriane di questo albo, che infatti si limita a esporre una
gradevole, ma scarna, raccolta di nozionismo. Sarà per questo che
Martin non mostra la minima emozione, davanti a una prova storica
così concreta che trasforma una leggenda in realtà, e ha quindi un
notevole impatto sulla storia a noi nota?
Deludente
anche la scarsa esplorazione delle effettive culture situate
sull’ipotetica rotta verso il Giappone e caratterizzate da qualche
leggenda e/o affinità che le colleghi alle Dieci Tribù erranti.
La
copertina, per quanto gradevole, è anche un simbolo dell’involuzione
della serie: Martin Mystère è braccato dai mysteri, praticamente lo
inseguono o glieli tirano dietro, ma lui fa di tutto per evitarli; in
questo frangente, stava prendendo una strada opposta al mystero al
centro della tavola, e sarebbe riuscito a scappare, se dalla caverna
non fossero sbucati gli alienini che lo hanno costretto a voltare la
testa per fingere di non vederli.
La
rubrica dei Mysteri di Mystère si intitola “cold case”: è
un titolo generico, che si adatta a qualunque genere di mystero
esistente, o è un riferimento alla saga dei Tesori dei Tùatha De
Dànaan, che è appunto un “caso irrisolto” della serie di Martin
Mystère, in quanto lasciato in sospeso da anni? Considerando che
la rubrica non vi fa cenno, ne concludiamo che si tratta di un titolo
generico.
La
constatazione più amara di tutte è che, su questo canovaccio del
Prisma (scarsamente) profetico in mano a dieci un
certo numero di tribù di Israele, lo sceneggiatore Castelli che
tutti conosciamo avrebbe profuso un considerevole impegno nel “far
quadrare il cerchio”, producendo qualcosa di immenso, spettacolare
e affascinante come accadde per New York Stories (dove
Castelli giunge a dichiarare di non sapere come concludere la storia,
a un certo punto, e poi sfodera una soluzione strabiliante nella sua
completezza). Analogamente, in MM 350, Castelli si sarebbe
sicuramente sentito in dovere di trovare lo spazio per approfondire i
collegamenti dimenticati di cui abbiamo parlato, creando un arazzo
narrativo spettacolare nella sua minuziosità, e altrettanto
sicuramente avrebbe avuto cura di articolare la transizione del
Prisma dai TdD agli Ebrei, il degrado delle notizie prodotte dallo
stesso, e via di incongruenze.
Così
com'è, invece, MM 350 sembra un soggetto scritto in fretta da
Castelli, che poi altri hanno allungato a 160 pagine con l'aggiunta
di scene riempitive, reiterazioni, frivolezze, e banalità da "lista
della spesa" meticolosamente trascritta nello stile di un
compitino di ragioneria, pur essendo inutili alla trama.
A
cosa serve questa recensione?
Già,
a cosa serve? Che senso ha ostinarsi a leggere nuovi albi del Martin
Mystère moderno, pur sapendo quanto esso sia cambiato, insieme
al suo pubblico? Se l’attuale MM si rivolge a una platea diversa da
quella classica, e se ha anche compiuto un consapevole sforzo per
riuscirci, che possibilità di successo ha l’aggrapparsi alla ridicola speranza che
qualcosa della grandezza (e degli argomenti) che fu possa riemergere?
E’
vero, c’è stato l’albo di Vincenzo Beretta a dimostrare che non
tutto è perduto, ma si tratta di una goccia nel mare. E di questo
autore siamo fortunati a poter vedere un secondo albo, prima di
restare a bocca asciutta ancora per chissà quanto tempo.
Ma
MM 350
ha cercato di avere botte piena e moglie ubriaca, riesumando
malamente un argomento storico di cui alla maggioranza dei lettori
attuali poco importa (e infatti questa maggioranza ha accolto bene un
albo che fa scempio dei propri illustri predecessori, senza neppure
accorgersene), ed è difficile non pensare che sia stato fatto per
attirare quell’esile fetta di lettori disaffezionati che ancora
gravitano nell’orbita mysteriana quanto basta per essere informati
delle nuove uscite. Ebbene, io ho abboccato all’amo, pur
sospettando a cosa stavo andando incontro, e magari questa recensione
resterà a memento per non ripetere mai più questo errore (a partire
dallo Speciale Martin Mystère
n. 34 di quest’anno).
In
conclusione
Ci
spiace essere così aspri nel commento di questo albo, che dopotutto
ha riscosso il plauso dell’attuale bacino di lettori.
Da
fan anziani della serie, e quindi ormai ridotti a quattro gatti e
prossimi all’estinzione, questo è il nostro sfogo per la delusione
di un’occasione sprecata per la celebrazione dei trentacinque anni,
un’occasione sprecata per il recupero (agognato?) di uno dei filoni
più belli della serie, e un ulteriore calo della
consistenza/credibilità dell’universo narrativo di MM.
Ma c'è modo di porre rimedio?
Certo che c'è.
Get A Life, la serie NON presentata da Martin Mystère, presenta l'episodio n. 52,
Come Prisma, più di Prisma (altrimenti noto come MM n. 350bis)!
Come recitavano un tempo i corposi albi fuori serie di
Martin Mystère: Bis! Racconto inedito di undici pagine.
Con una copertina che cita deliberatamente
Il ritorno di Jaspar (Martin Mystere n.139bis), questa avventura inedita mette in scena non solo il Prisma, ma i sei Esagoni e i Tuatha De Danaan, ripercorrendone la storia fino a rivelare il vero destino del più enigmatico dei doni alieni!