mercoledì 1 settembre 2021

[Recensione] Martin Mystère: "Gli eroi di Troia" (ANAFI)

Martin Mystère: "Gli eroi di Troia"
Storia di Sauro Pennacchioli
Matite di Roberto Revello
Chine di autori vari
Pubblicato da ANAFI nel novembre 2015

Come spiega abbondamente Alfredo Castelli nella dettagliata prefazione a questo volume (prefazione da cui giungono quasi tutte le notizie presenti in questa recensione), Gli eroi di Troia è un episodio della serie di Martin Mystère che fu realizzato nel 1987, ma la cui pubblicazione fu rinviata per vari motivi editoriali fino al punto in cui il fumetto divenne incongruente con le evoluzioni della serie regolare e fu quindi messo definitivamente nel cassetto.
Ma con Alfredo Castelli, l'avverbio mai fatica a imporsi, ed ecco quindi che (dopo il progetto abortito Dagli Archivi Bonelli), Gli eroi di Troia vede la luce grazie ai tipi dell'ANAFI.
Per l'appassionato mysteriano, la vicenda è degna di nota per numerosi aspetti, che descriveremo di seguito senza un ordine particolare (se non quello della comparsa degli stessi nella storia).

Il 1987 è un anno in cui Martin Mystère porta in edicola i temi e gli stili più disparati: si va dall'umoristica vicenda dei Fantasmi a Manhattan, disegnata da un Alessandrini molto "vecchio stile" alla titanica operazione di fanta-storia del Capitano Nemo con le sue rivelazioni sulla Guerra Senza Tempo dell'epoca Atlantideo-Muviana, passando per la colossale comparsa di Agarthi e l'importantissima svolta psicologico-caratteriale dell'Operazione Dorian Gray (che pur non rinnegando alcunchè delle vicende pregresse, aggiunge una nuova e fondamentale dimensione umana al protagonista).
Analogamente a quest'ultima storia (ma non si sa se in accordo con la redazione, perchè la prefazione bis di Pennacchioli non ne fa menzione), la scrittura coeva de Gli eroi di Troia contiene due rilevanti tentativi di approfondimento per Java e Diana Lombard, come Castelli sottolinea nella propria prefazione: Java dimostra per la prima volta che anche lui sa amare profondamente (senza per questo rinunciare a essere un donnaiolo), e si ritrova infine a vivere un tragico dolore quando la sua donna viene uccisa davanti a lui; Diana, invece, evolve il suo rapporto con Martin, sia perchè impara a liquidare con ironia e sicurezza le potenziali minacce delle sue belle clienti, sia perchè si ritrova a considerare le profferte amorose del comprensivo Jerry, un suo collega assistente sociale  (anticipando quindi di anni l'evento de La vita segreta di Diana Lombard).
Gli eroi di Troia è ambientato nel 1989 (anno della sua progettata pubblicazione), durante il quale la serie di Martin Mystère fu dominata dal grandioso segreto dei Templari, ma anche caratterizzata da contrasti tra le vette grafiche raggiunte da Corrado Roi e da Pino Rinaldi e, all'opposto, le prove poco felici di Cimpellin e Cassaro: chissà se le deboli matite di Revello, realizzate imitando malamente lo stile prima maniera di Alessandrini e inchiostrate da almeno due mani (di cui una "tirata via" come le matite, e l'altra che invece compì uno sforzo assai maggiore per dare consistenza alle scarse matite in questione) avrebbero stonato o meno.
Forse, però, a stridere maggiormente sarebbero stati i modismi un po' datati della storia, come quelli sottolineati dalla prefazione di Castelli (Martin Mystère in questo albo fuma da mattina a sera; durante le zuffe non si fa scrupoli a tentare di infilzare la testa di un avversario con un machete; tutte le donne cercano di saltargli addosso; i colpi di fortuna dei protagonisti sono giganteschi), ma anche i modi piuttosto goffi con cui l'autore introduce tematiche progressiste (la sequenza della donna pilota di elicottero, condita da dialoghi didascalici che mettono un po' in imbarazzo il lettore smaliziato).
Anche la costruzione e la risoluzione del mystero fanta-storico in salsa atlantidea sarebbero probabilmente risultate antiquati già allora, o almeno in ritardo sulle evoluzioni di altre storie coeve: in contrasto, per esempio, con vicende come l'incombente storia di Orlando il paladino del 1990, o gli uomini delle nevi marziano-atlantidei del 1989, ma anche la già citata vicenda Muviana del 1987, Gli eroi di Troia evita infatti di scendere troppo nei dettagli della componente storica "impossibile", e lascia quini perplessi e insoddisfatti, per via dei molti interrogativi senza risposta e dei passaggi privi di logica apparente.
Il fulcro del mystero sta nel fatto che questo fumetto sposta l'intera vicenda della Guerra di Troia in un'altra zona della Turchia, e in un'epoca molto più remota (diecimila anni fa), trasformandola molto sbrigativamente in un conflitto risalente agli anni sucessivi alla catastrofe atlantideo-muviana. Usando veicoli a metà strada tra vascelli e velivoli, un gruppo d'elite di superstiti atlantidei fondò una cittadella fortificata (viene detto che si trattava di scienziati, ma chiaramente erano ingegneri) e per anni resistette agli assalti di altri gruppi di superstiti, ormai imbarbaritisi (sulla falsariga di quanto visto nella vera storia degli Uomini in Nero), finchè questi ultimi non catturarono uno dei vascelli/velivoli pre-catastrofe e lo usarono per mettere in atto il celebre inganno del "cavallo" di Troia. Distrutta la cittadella, i pochi abitanti sopravvissuti fuggirono altrove nel mondo, dando vita al mito di Enea (con ottomila anni di anticipo) e persino a quello del mesoamericano Kukulkan.
Martin Mystère apprende questa vicenda, per sommi capi, prima da una vecchia amerinda che gli ha salvato la vita nel 1974 in Belize (allora Honduras Britannico), poi da una versione inedita dell'Iliade recuperata in un monastero greco, e infine dalle registrazioni dei macchinari di un laboratorio sotterraneo della vera Troia, sopravvissuto alla distruzione di millenni fa e ancora funzionante. L'intenzione della sceneggiatura è quella di svelare progressivamente il mistero, attraversando le nebbie del fiabesco mito orale e della letteratura antica, con le sue rielaborazioni contraddittorie, per giungere alla luce della verità scientifica che era stata offuscata da dette nebbie. Il risultato, però, non è all'altezza delle aspettative, in quanto produce un resoconto della vera storia che suona più implausibile del mito stesso. Martin scopre il suddetto laboratorio per puro caso, cadendo in mare dopo essere stato ferito mortalmente da un mitragliatore; il laboratorio "sotterraneo", sprofondato nel Mediterraneo (con tutti i resti della città, che però sono scomparsi) in seguito a un fenomeno di bradisismo, sopravvisse all'immersione e si adattò spontaneamente, a tal punto da avere i mezzi e la volontà per rilevare e recuperare il corpo di Martin e guarirne le ferite. Se già questo smisurato colpo di fortuna lascia il lettore scettico, non va meglio quando ci si rende conto che il laboratorio fu abbandonato con la distruzione di Troia (a cui scampò comunque illeso, non si sa come), ma nonostante ciò nelle sue banche dati sono presenti informazioni dettagliate sul destino dei suoi proprietari (chi le ha registrate?), i quali fuggirono in fretta e furia (con che mezzi? E a che scopo, se tanto c'erano solo gruppi di barbari ovunque nel mondo?), pur sapendo di lasciarsi alle spalle un laboratorio che sarebbe sopravvissuto per millenni, senza che alcun invasore riuscisse a espugnarlo. Autosufficiente com'è (grazie al fatto di non aver mai concesso l'accesso a nessuno, ferito o meno), questo laboratorio raccoglie Martin e lo risana, per motivi inspiegabili, e così facendo causa la propria distruzione, perchè nonostante la sua sbalorditiva efficienza (era un laboratorio "sotterraneo", costruito per fare non si sa bene cosa, ma si è autonomamente trasformato in una base sottomarina, capace di fare qualunque cosa, e si tratta per di più di un prodotto post-catastrofe), a Martin basta strappare due fragilissimi cavi a caso per causare un cortocircuito generale. Oltre al mistero irrisolto degi scopi e della natura di questo laboratorio così versatile e resistente, eppure così vulnerabile, nulla si apprende sui dettagli dell'inganno del "cavallo". Sarebbe stato interessante capire da dove potesse provenire tale vascello (esistevano altre istallazioni analoghe di sopravvissuti? C'era un traffico aereo tale da giustificare il pilota in stato confusionale e la credulità dei Troiani?); in che modo i barbari lo sequestrarono; perchè avrebbe potuto trasportare un carico di valore (da dove sarebbe venuto? Da qualche magazzino fortificato?); e perchè i Troiani non verificarono subito il contenuto delle casse, dopo il suo atterraggio. Nonostante la farraginosità di questa non-ricostruzione, vale comunque la pena di notare che, nel 2017, un archeologo ha sostenuto che il "cavallo" (Hippos) di Troia era in realtà una nave fenicia che portava lo stesso nome.
La prefazione di Alfredo Castelli ha quindi la scusa per soffermarsi (di nuovo) su quella che era una caratteristica del Martin Mystère dei primissimi anni: ricostruzioni ingenue e sommarie della storia perduta di Atlantide e Mu, con trovate piene di entusiasmo, ma che "facevano acqua da tutte le parti", e soluzioni sbrigative e a effetto. Non che, per esempio, il recente Martin Mystère n. 350 sia stato tanto diverso, ma di certo è ciò che accade proprio col mistero archeologico de Gli eroi di Troia, che si dimostra potenzialmente accattivante, ma lascia anche abbastanza insoddisfatti in termini di consistenza della risoluzione e quantità di domande senza risposta. Dispiace quindi che questa storia non sia stata pubblicata, perchè la volontà di Castelli di porre rimedio a questo genere di falle narrative (almeno in quell'epoca) ha partorito nel corso degli anni alcuni capolavori mysteriani: le idee infatti, per quanto poco originali (si tratta del solito mito che viene sommariamente ricondotto a un'origine razionale), ci sono, e molti elementi atlantideo-muviani meriterebbero un approfondimento, soprattutto alla luce degli sviluppi narrativi intervenuti in seguito; lo stesso vale per tutta l'epopea omerica (è un po' difficile accettare che si liquidi così sbrigativamente la narrazione che ruota intorno alla guerra di Troia, soprattutto dopo aver appurato che gli dei Greci esistono, e sapendo che anche qui è presente almeno una Lancia leggendaria; a rincarare la dose, c'è il fatto che, nonostante la letteratura omerica contempli una pletora di "eroi di Troia", nel fumetto a loro intitolato si vede a malapena l'ombra di un paio di essi). Di certo, nella serie regolare di Martin Mystère sono state pubblicate senza problemi anche storie molto più squinternate (dalla vicenda di Jonathan Swift a quella della Piramide Nera).
La volontà di ricatturare lo stile delle prime storie è palese sin dal lungo e avventurosissimo flashback di apertura, ambientato nel 1974 e ricco di riferimenti di continuità: Martin cita le proprie esperienze di giramondo del 1973 (vedi biografia); torna in scena l'archeologo Juan Carrillo (ucciso da Orloff in Martin Mystère n.2); l'azione si svolge nello stato che diverrà il Belize; (anche il successivo ritrovamento di una versione dell'Iliade in un monastero greco sembra alludere agli inizi della serie); purtroppo nessuno si ricorda che nel 1974 Martin dovrebbe essere in una certa lamasseria in Tibet, per cui fingiamo che l'azione si svolga nel 1975 o nell'ultima settimana del 1974. Nonostante questo ritorno alle origini (che non erano certo lontane, all'epoca), la narrazione si distingue da quella di Alfredo Castelli per via del linguaggio meno elaborato e del taglio televisivo, evidenziato soprattutto dalle transizioni di scena e dall'assenza di didascalie. Anche la volontà di rendere Diana protagonista, dando un'ampio spazio alle sue avventure di assistente sociale tra i diseredati di New York, riporta alla memoria la struttura di certi telefilm dell'epoca (il paragone immediato è col telefilm Beauty And the Beast del 1987): paradossalmente, questa sequenza sociale, con una lunga digressione sulla nascita e la diffusione dell'eroina, è molto più dettagliata e articolata del versante fanta-storico di questo fumetto. Per una curiosa simmetria, questa sottotrama si risolve con uno dei personaggi che va vicinissimo alla morte (imbottito dagli spacciatori di eroina non tagliata), ma si salva in modo quasi prodigioso, del tutto simile all'intervento da deus ex machina del laboratorio atlantideo che raccatta il morente Mystère e lo rattoppa senza motivo. In questa sequenza sociale trova spazio anche un altro momento difficile da digerire (ma non sappiamo se definirlo anche implausibile) e cioè Diana Lombard che, fuori scena, malmena una giovane nera per farle confessare il nome dello spacciatore che ha fornito l'eroina letale al fidanzato della sua coinquilina: sebbene la violenza non si veda, il livido sull'occhio della donna, divenuta totalmente remissiva e obbediente, dopo che Diana si è chiusa in una stanza con lei, parla da sè: non possiamo fare a meno di chiederci se la Diana Lombard che conosciamo sia la stessa "Punitrice" che vediamo in questo fumetto. Nell'intreccio complessivo che, alla fine, fa collimare le due vicende, c'è spazio anche per un gruppetto di finti Uomini In Nero, usati per ingannare Martin e per innescare la drammatica sottotrama di Java.
La prefazione di Alfredo Castelli spiega che alla storia sono state apportate modifiche, sia per gli effetti sonori (quelli originali di Penacchioli sono stati definiti "lovecraftiani"), sia per la narrazione stessa: Castelli riferisce di aver dato più "circolarità" alla vicenda e invita a non incolpare quindi Pennacchioli per le cose "brutte" della storia, ma non fornisce dettagli sui cambiamenti apportati. Dal canto suo, la prefazione bis di Pennacchioli non ci è di aiuto, poichè l'autore dichiara di non ricordarsi di aver mai scritto questa storia, e quindi parla d'altro, rievocando i propri lavori da edicola (tra cui Cucador e Masters of the Universe, sebbene in realtà Pennacchioli abbia sceneggiato la serie Bravestarr per la rivista Mondatori Masters e il Team dell'Avventura), le esperienze in Bonelli e i suoi ricordi delle famigerate alterazioni subite da alcune sue storie per Martin Mystère (quella dell'Olandese Volante e la seconda di quelle basate sull'universo mutante Marvel).
In chiusura dell'albo, due articoli della redazione di ANAFI ripercorrono la carriera di Alfredo Castelli e di Roberto Revello, mescolando informazioni interessanti a momenti che suonano piuttosto autoreferenziali, con nomi e allusioni che probabilmente risulteranno comprensibili ai soli soci fodatori di ANAFI.

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