Martin Mystère n. 345, "Il Nilo Giallo"
Storia di Sergio Badino
Arte di Giancarlo Alessandrini
Giugno/Luglio 2016
Martin sul Nilo
Nel quarantennale della scomparsa di Agatha Christie, la collana Martin Mystère propone una nuova spiegazione del celebre episodio (vero) della breve sparizione della scrittrice durante la crisi del suo primo matrimonio, ufficialmente causata da un'amnesia, costruendo una trama che si intreccia con un'altra tematica ricorrente nella vita della scrittrice: l'Egitto.
La narrazione è elegante e sobria, e a tratti piuttosto suggestiva: accade nelle sequenze iniziali, narrate con una scansione quasi cinematografica (e d'altra parte c'è una influenza dichiarata de "Il paziente inglese"), ma anche nell'ampio spazio dedicato all'illustrazione di moderne realtà archeologico-geografico-geologiche, narrate con il piglio e l'attenzione dell'Alfredo Castelli dei vecchi tempi (la Caverna dei Nuotatori del Gilf Kebir e relativo sfacelo causato dai turisti; il lago sotterraneo del Sudan, individuato da Eman Ghoneim; la scomparsa del Nilo Giallo).
Anche la sceneggiatura si rifà al miglior Martin Mystère di Alfredo Castelli, alternando flashback della vita "segreta" di Agatha Christie alle sequenze portanti del presente.
Se la trama principale è articolata secondo il classico canovaccio della ricerca di un luogo perduto (la leggendaria città di Zerzura) abitato da un popolo "segreto", i citati flashback dedicati ad Agatha Christie prendono invece la piega del melodramma dedicato a un amore impossibile tra una ricca donna britannica e un Egiziano spiantato. Basandoci su copertina e titolo, e conoscendo l'opera di Agatha Christie che più le ha dato fama, ci saremmo invece aspettati una vicenda più gialla, ma bisogna dire che la scrittrice si è dedicata anche ad altri generi di letteratura, nella sua carriera, tra cui il sentimentale (con lo pseudonimo di Mary Westmacott). Sembra quindi che questa vicenda voglia rendere omaggio alla produzione minore di Agatha Christie, e c'è la possibilità che l'impianto narrativo sia influenzato anche dal quasi coevo Passaggio in India di E.M. Foster, dato il tema della barriera sociale tra le diverse etnie (ovviamente, essendo questo fumetto nato in un'epoca dominato dalla social justice, Agatha viene ritratta come una donna moderna, illuminata, democratica, egualitaria, di completa apertura mentale, libera da qualunque pregiudizio caratteristico delle persone benestanti inglesi della sua epoca; una specie di super-suffragetta antesignana delle social justice warriors di tumblr). Molto ben gestita, la componente sentimentale dei flashback ci regala una caratterizzazione tanto inedita quanto intensa e credibile di questa donna, sorprendendoci con un'interessante invenzione "rosa" che si innesta molto bene nella sua tormentata relazione col primo marito.
Da notare come il titolo, pur scelto in maniera incredibilmente felice, per via dell'abile coniugazione tra un "mistero" delle Egitto e il lavoro di Agatha Christie, è abbastanza fuorviante: del Nilo Giallo, nel fumetto, si vede ben poco (anche se chiamarlo "lago nascosto sotto il deserto del Sahara" non avrebbe avuto lo stesso impatto).
Nella trama principale, pur non essendoci un vero filone "giallo" (che secondo noi sarebbe stato d'obbligo con un argomento del genere), c'è comunque una discreta costruzione narrativa "con mistero" di tipo convenzionale, con il curatore della Greenway House (Alastair Maugham) che si rivela un poco di buono per questioni finanziare, il fratello Mitchell succube che all'ultimo si ribella (ma NON si redime), e soprattutto l'abilità e intelligenza con cui Martin si inserisce in questo meccanismo, smascherando il fratello maggiore e mettendogli contro quello minore: una deduzione degna forse dei detective di Agatha Christie (non solo Poirot, ma anche Miss Marple, Tommy e Tuppence, il signor Quinn).
Chi
ha ucciso il mystero?
Nonostante
i già citati bei momenti da "esplorazione etnografica" del Martin Mystère che fu (anche se a dire il
vero, più che i popoli, qui vediamo i luoghi e l'effetto dei popoli sugli
stessi), risalta come un "elefante della stanza" l'omissione
dell'attuale situazione politica dell'Egitto, qui presentato come un posto
tranquillissimo. Ai vecchi tempi, Castelli avrebbe invece fornito riflessioni
più o meno dettagliate sull'attualità, anche a costo di inserire didascalie a
posteriori (vien da dire: "sopire, troncare, padre molto reverendo,
troncare, sopire").
Nelle omissioni veniali, visto che in questo albo
si parla degli inediti di Agatha Christie, rientra anche la mancata menzione
del suo racconto "Il segreto di Greenshore", pubblicato solo
nel 2014 (nel Regno Unito) e parzialmente ambientato nella stessa GreenWay
House vista nel fumetto.
Molto
più grave è invece l'omissione dell'interesse di Agatha Christie per
l'occultismo, la reincarnazione e lo spiritismo.
Dell'argomento parla Giuseppe Lippi (non proprio
l'ultimo arrivato) nell'introduzione all'antologico "Il segugio della
morte" di questa stessa scrittrice, riportando brani di un'intervista
in cui la Dama del Giallo racconta di certe proprie esperienze col paranormale.
Per
chi si senta scettico riguardo alle fonti di queste dichiarazioni, c'è la testimonianza
oggettiva dei racconti ospitati ne "Il segugio della morte",
il primo dei quali (omonimo dell'antologia) tratta nientemeno che della
reincarnazione di una sacerdotessa di Atlantide ai tempi nostri, perseguitata
da un invisibile segugio e tormentata
dagli incubi relativi alla Città dei Cinque Anelli.
A prescindere dal fatto che le esperienze della
Dama in Giallo col paranormale sono abbastanza risibili, il suo interesse e la
sua competenza in merito, nettamente mysteriosi, sono innegabili.
Ce
n'è quindi più che in abbondanza per bocciare senza esitare le dichiarazioni di
assenza di "mystero" nella vita della signora Christie, dichiarazioni
che purtroppo si susseguono ne Il Nilo giallo. Non sappiamo se
faccia più specie che
sia il (cialtronesco) curatore della GreenWay House a ignorare questo aspetto,
o che sia il tuttologo Martin Mystère a prendere una tale cantonata.
La
creatività (e la logica) latita anche nella componente
avventuroso-fantarcheologica dell'albo.
Si comincia
con l'indecifrabilità delle intenzioni del "cetaceuomo" Samir: prima
cerca di spaventare i nostri eroi, per ostacolarli, poi li conduce fino a
Zerzura guidandoli oltre ostacoli altrimenti insormontabili, poi li vuole
uccidere perché hanno visto troppo, poi li salva, poi forse no. Insomma,
quali erano le motivazioni delle sue azioni?
Intendo
a parte tirare in lungo per riempire le tavole, perché l'idea di base, così
poco approfondita, non poteva reggere 160 pagine.
E
perchè Samir era così ferrato su Agatha Christie da conoscere il
contenuto del suo inedito Snow Upon The Desert meglio dei protagonisti?
Si continua con la città perdura di Zerzura, sprofondata e ricostruita
nel sottosuolo: tutto qui? Una città deserta e inerte, un'architettura banale,
nessun segreto, nessuna storia. A che scopo Martin accetta di tenerla nascosta?
Per evitare che la famiglia di Samir venga scoperta, pur vivendo altrove da
secoli e non avendo più alcun legame con quel luogo morto e disabitato? C'è
davvero un segreto che vale la pena di tenere nascosto?
La
fiacchezza con cui Martin decide di non raccontare nulla sembra dettata dalla
rassegnazione e dalla stanchezza: "vabbè, tientela per te. Tanto ormai mi
basta anche la minima scusa per lasciar perdere". (Considerando anche la compiacenza con cui Howie Zakass assiste Martin nell'uscire senza fatica da un incidente internazionale con due cittadini britannici morti in Egitto, ci viene anche il sospetto che ormai Martin sia entrato negli Uomini in Nero).
E dire che il retroterra per render la città pericolosa o proibita c'era, dato
che l'opera di entrambi gli autori (Agatha Christie e Alfredo Castelli)
conteneva i semi necessari per un simile sviluppo, oltre che punti di contatto
singolarmente precisi. E, infatti, durante la lettura, le idee e ipotesi mysteriane
si sprecano, ma inutilmente: c'è forse un legame tra questa città, annientata
seimila anni fa da un terremoto, e le civiltà antecedenti di Mu o Atlantide o
Lemuria? La città si sviluppò prima o dopo l'Armageddon? Il suo popolo
cetaceo-umanoide era frutto dell'evoluzione o di esperimenti? Che legame ha con
gli ibridi uomo-pesce delle mitologie africano-asiatiche, con gli abitanti di
Sirio, con gli Oannes, con gli esperimenti degli Elohim? Non esiste un
"nucleo di magia" della
città, magari lo stesso che Agatha ha portato con sé, infondendolo in Snow
Upon the Desert,
e che le
conferì bizzarre doti paranormali durante le sue visite in Egitto? Un
"nucleo di magia" che lo stesso Martin ha involontariamente ritrovato
nelle GreenWay House (nelle pagine del libro) e che ha innescato gli
eventi successivi, per poter ritornare a Zerzura, determinando quindi il
comportamento apparentemente contraddittorio di Samir?
Ma
è come in Lost: inutile porre domande e usare la fantasia.
A indebolire
ulteriormente la storia, ci chiediamo come fece Agatha Christie a nuotare
sott'acqua fino a Zerzura, visto che nel presente servono muta da sub e bombole
a Martin e soci. Forse Agatha prese una strada diversa? E allora perché nel
presente non accade lo stesso?
Neve sul deserto
Tornando sul dettaglio dell'inedito Snow Upon
the Desert: che
delusione! Il modo in cui viene scoperto è la negazione dell'esperienza
del bibliofilo, del cacciatore di tesori, dello studioso, dell'esploratore.
Insomma, di Martin Mystère. Tutto avviene fuori scena, il motivo per cui quello
scritto risalti tra altri mille non viene fornito, il momento emozionante della
scoperta dei contenuti narrativi "impossibili" è tralasciato. Si
poteva riuscire ad annacquare ulteriormente ciò che invece sarebbe stato un
elemento cruciale per rendere emozionante la narrazione e regalarci un genuino
momento di sense of wonder?
Altra
occasione particolarmente stimolante e affascinante che è andata persa:
rivelare il contenuto di questo romanzo inedito, ricostruendo o
inventando, e deliziando i lettori con un apocrifo nello stile di Agatha
Christie, magari cogliendo l'occasione per rendere omaggio ai romanzi nel
romanzo di Umberto Eco, oppure a Misery non deve morire di Stephen King.
Come i fan di Martin
Mystère ricordano, Alfredo Castelli ci ha regalato simili
chicche almeno due volte sulle pagine della serie, prima con Charles Dickens e
poi con Emilio Salgari.
In conclusione
Nonostante la gradevole arte di Alessandrini, che qui sembra poco
"corretta" in redazione (a parte alcuni primi piani di Diana, e il
corpetto tutto nero che lei indossa a letto sotto la seducente vestaglia
aperta, ma poi nel deserto dorme nuda), la debolezza di gran parte della trama
portante e l'omissione della componente atlantideo-mysteriosa (ben nota ad
Agatha Christie!) fanno di questo albo un'occasione tristemente mancata.