venerdì 2 dicembre 2022

Concorso Un Salto nel Mystero: i vincitori

III Concorso Letterario e Artistico A.Mys.
Un Salto nel Mystero 2022
i vincitori!


 

Anche per il 2022 A.Mys ha deciso di riproporre il concorso letterario e artistico “Un salto nel mystero”, che giunge così alla sua terza edizione, chiedendo l’invio di racconti e disegni inediti dedicati agli argomenti misteriosi tipici della serie dedicata al Detective dell’Impossibile. Il tema delle opere da valutare era sempre il mystero, in tutte le forme tipiche delle storie a fumetti e in prosa di Martin Mystère: realistico e avventuroso, con ambientazioni fantastiche, fantascientifiche, fantasy, horror, soprannaturali, storiche, archeologiche, fanta-archeologiche, misteriose, ufologiche, oniriche, magiche, e chi più ne ha più ne metta!

Veniva altresì richiesto – quale fattore di gradimento ma non preclusivo della valutazione - che le storie e i disegni fossero collocati nell’universo narrativo del BVZM (o in uno dei tanti universi paralleli in cui si muovono le diverse versioni del personaggio) e che vi comparisse almeno uno dei personaggi della serie (principali o comprimari, buoni o cattivi, etc.). Per il resto, rimandiamo al testo del bando pubblicato sul blog e su Facebook.

Per questa nuova edizione, il numero dei partecipanti è cresciuto di molto rispetto agli anni scorsi, anche se in verità, molte sono ancora le opere che risentono di una certa ingenuità dell’impostazione o della resa finale.

Sul quinto Corriere del Mystero, i soci A.Mys troveranno il testo integrale del racconto vincitore e la riproduzione del disegno vincitore con le generalità di tutti i finalisti, ma per soddisfare anche la curiosità degli amici del fandom, riportiamo pure qui l’elenco delle opere selezionate e i nomi dei rispettivi autori.

MIGLIOR DISEGNO

Per i disegni, la giuria finale composta da Luca Salvadei, Paolo Mignone, Daniele Busnelli, Gianluca Mattossovich, Claudio Bovino ed Emanuele Marinello (per A.Mys), da Alfredo Castelli, Giancarlo Alessandrini, Lucio Filippucci e Rodolfo Torti (autori professionisti legati alla serie) nonché Gino Vercelli (docente di illustrazione e fumetto all’Accademia di belle Arti di Cuneo e presso la scuola di fumetto di Asti) e Roberto Lauciello (docente della Genoa Comics Academy), ha decretato quale:


1° classificato, il “Necronomicon” di Massimiliano Paternò;

 

2° classificato, “La verità non è per tutti” di Giulia Votano;

 


 

3° classificato, “Se gli uomini in nero” di Luca Galimberti.

 

Per quanto riguarda i disegni, oltre ai complimenti ai vincitori, dobbiamo osservare che, pur partendo spesso da idee originali e interessanti, il risultato - e questo vale per la grande maggioranza dei disegni pervenuti - si è un po’ smarrito in generale sulla tecnica, oltre che nella rappresentazione grafica di Martin, dimostrando spesso la poca conoscenza del personaggio. Dei disegni vincitori sono state apprezzate soprattutto la tecnica e la fantasia.

 

MIGLIOR RACCONTO

Per i racconti, la giuria finale composta da Luca Salvadei, Paolo Mignone, Daniele Busnelli, Gianluca Mattossovich, Claudio Bovino ed Emanuele Marinello (per A.Mys), Alfredo Castelli, Sergio Badino, Andrea Carlo Cappi ed Enrico Lotti (autori professionisti legati alla serie) nonché Giuseppe Porcelli (docente di giornalismo nel corso di Sceneggiatura della Scuola Internazionale di Comics di Napoli) e Davide Morando (docente della Genoa Comics Academy) ha decretato quale:

1° classificato, “Un neanderthaliano a NY” di Alberto Simionato;

2° classificato, “Reperto HNV-001” di Ivan Salandin;

3° classificato, “Un’inquietante sensazione” di Alfredo Martinelli.

(i tre racconti sono pubblicati in calce a questo post: scorrete e li trovate facilmente)

La classifica finale è il frutto della sommatoria dei voti espressi da ognuno dei giurati, ma un’ottima mediazione tra i giudizi a rappresentanza dei quali abbiamo scelto questi sintetici commenti dati da Andrea Carlo Cappi:

- “Un neanderthaliano a NY”, è “brillante la trovata della soggettiva in stream of consciousness di Java appena giunto a New York, che regge una storia semplice ma coerente in cui quello che conta sono i pensieri del protagonista”;

- “Reperto HNV-001” è un “buon racconto, che potrebbe funzionare anche “fuori” dall’ambientazione nel mondo di Martin Mystère (sostituendo Altrove con Area 51)”;

- “Un’inquietante sensazione” è “buon racconto, unico tra i finalisti a essere fuori dal mondo del BVZM; ottimo incipit, finale “semplice” ma simbolico”.

Purtroppo, come accennato, dobbiamo rilevare che molti dei numerosi racconti inviati quest’anno, pur essendo originali e interessanti, presentano diversi difetti: spesso appaiono scritti di getto, senza una vera revisione finale, con carenze nella sintassi, refusi grossolani e, a volte, persino errori nella “consecutio temporum”. Altri sembrano bozze, soggetti, più che veri e propri racconti. Il suggerimento, dunque, per chi voglia partecipare a un qualunque concorso di scrittura, è di impegnarsi di più sia nella rilettura finale sia nel rispetto di quanto richiesto dal relativo “bando”.

Grazie a tutti i membri della giuria per la disponibilità dimostrata e grazie a tutti i partecipanti! Appuntamento all’edizione 2023 del premio, vi aspettiamo sempre più bravi e numerosi!!!

 

Un neandarthaliano a New York



Buono odore di alberi grandi.
Respiro freddo.
Ricordo di casa lontana.
Sole ancora piccolo.
Giornata inizia bene.
Correre senza inseguire.
Correre senza scappare.
Prima volta senza fratello Martin.
Strana foresta dentro città.
Tranquilla adesso.
Poche persone.
Suoni di animali.
Loro non hanno paura.
Nessun cacciatore.
Questo mondo nuovo anche buono.
Attento ora.
Curva strana vicina.
Sedia lunga dove dorme vecchio.
Strano.
Non sento suo respiro.
Voci e altri respiri.
Rabbia e paura.
Correre più forte.
No!
Stop!
Uomo con simbolo.
Amico di Martin stesso simbolo.
Uomo con simbolo vuole mio nome.
Vecchio non respira dietro di lui.
Uomo con simbolo legge carta avuta da amico con simbolo di Martin.
Cattivo odore.
Uomo vecchio morto.
Odore di paura.
Paura non uccide.
Uomini uccidono.
Uomo con simbolo parla.
Vuole me lontano.
Non voglio.
Lui tocca suo bastone.
Altri uomini con simbolo guardano.
Ora non serve lotta.
Vado indietro.
Ascolto loro parole.
Difficili ancora.
Solo Martin e Diana buoni.
Loro parlare lenti con me.
Vecchio morto anche lui buono con me.
Ieri offerto bottiglia.
Io assetato ma lui solo una bottiglia.
Lui gentile.
Ora riposa.
Ma ucciso da paura di uomini.
Non è giusto.
Tornare a casa.
Tornare con Martin.
Trovare assassino.
Aspetta.
Martin preso uccello di ferro per andare in città lontana.
Diana?
Pericoloso per lei qui.
Pensa.
Mondo nuovo.
Regole nuove.
Devo imparare.
Ascolta uomini con simbolo.
Parole difficili ma movimenti facili.
Uomo vecchio ucciso.
Loro sicuri.
Pensano assassino sia giovane.
Con odori strani?
Ascolta vento.
Ascolta animali.
No.
Mondo nuovo.
Regole nuove.
Devo cambiare qualcosa.
In fretta.
Arriveranno ancora persone.
Piante cosa dicono.
Chiederglielo da vicino.
Ma non vicino uomini con simbolo.
Loro diffidenti.
Ultimo sguardo a vecchio.
Mano cade da sacco dove riposa.
Senza ferro sul dito.
Ricordo lui toccava sempre.
Uomo con simbolo rimette dentro sacco il braccio vecchio.
Guarda mano ma non parla.
Non vede?
Non importa?
Strani questi uomini del mondo di Martin.
Ma devo impararli.
Per trovare mostro che ha ucciso a casa mia.
Trovare prima assassino del vecchio.
Comincia da lui.
Trova ferro vecchio su suo dito.
Trova assassino giovane.
Odore ferro molto strano.
Bottiglia rotta.
Arma.
Ecco come ucciso vecchio.
Cerca anche odore bottiglia.
Siedi calmo.
Lontano da troppe voci.
Lontano da troppi odori.
Pensa solo a ferro e bottiglia.
Togli tutto il resto.
Come se fosse ancora ieri.
Come se oggi non fosse arrivato.
Guarda solo con occhi di ricordi.
Ecco piccolo odore.
Cerca direzione.
Vento dice indietro su sentiero prima di curva.
Dove persone ora ferme guardano.
Guardale.
Ascolta loro odore.
Cerca paura.
Paura che uccide.
Paura che ha ucciso.
Eccolo!
Assassino giovane.
Perché ancora qui?
Assassino stupido?
Mondo nuovo.
Regole nuove?
Regole stupide?
Assassino giovane trema.
Anche lui vestito come me.
Anche lui venuto per correre.
Ora vediamo se per fuggire.
Primi passi lenti.
Poi più in fretta.
Assassino giovane mi vede.
Paura nei suoi occhi.
Paura di me.
Inutile scappare.
Io molto arrabbiato!
Corro per inseguire.
Uomini con simboli dietro di me.
Loro non bravi a correre.
Ma corsa breve.
Vorrei uccidere giovane assassino.
Ma uomini con simbolo tutti contro di me.
Tanti.
Non lottare con loro.
Mondo nuovo.
Regole nuove.
Martin spiegato simbolo.
Solo un movimento veloce.
Strappo vestito di assassino giovane.
Ferro del dito del vecchio cade.
Tutti lo vedono.
Voce amica urla.
Amico di Martin!
Uomo con simbolo potente.
Lasciato stare.
Uomini con simbolo bloccano assassino giovane.
Amico di Martin usa gesti.
Forse detto calma.
Forse detto grazie.
Mostra denti.
Martin insegnato sorriso.
Sorriso nel mondo di Martin usato per grazie.
Anche io sorrido ad amico Martin.
Uomini con simbolo ora mi sorridono.
Il loro grazie.
Guardo vecchio morto lontano.
Triste.
Amico Martin guarda anche lui.
Anche lui triste.
Ma vecchio ora riposa meglio.

Buono odore di alberi grandi torna ancora.
Respiro meno freddo.
Sole sempre meno piccolo.
Giornata iniziata male.
Ma speranza sole grande.
Giornata sarà migliore.

 

 

Reperto HVN-001

 

“Buongiorno Mr. H, le ho portato l'elenco per oggi”.

La segretaria è una giovane donna sulla quarantina, vestita in maniera elegante e asciutta: tailleur nero, camicetta bianca, scarpe nere con tacco basso, un filo di trucco, giusto più per abitudine che per vanità, e lunghi capelli legati così stretti in uno chignon alto che sembrano la calotta di un pupazzetto di plastica. Il tono della voce, distaccato e senza il minimo segno di emozione, è impregnato dalla ripetitività del suo lavoro.

“Uh?” risponde distratto l'uomo seduto dietro la scrivania intento ad osservare le pagine di un grande quaderno “Ah, sì sì, grazie mille”.

Per un attimo lo sguardo di lei si riempie di disgustosa e istintiva compassione, ma dura giusto il tempo di un battito di ciglia.

“Si ricordi poi di consegnare la relazione entro le ore 21” e senza aspettare una qualsiasi risposta poggia la cartelletta davanti a lui ed esce dal piccolo ufficio ingombro di schedari.

L'uomo la osserva andare via con occhi stanchi rimanendo zitto.

Torna a guardare le pagine del registro davanti a lui, piene della sua calligrafia minuta e precisa, e lo chiude con meticolosa precisione in modo che i bordi siano perfettamente paralleli ai confini della scrivania. Prende poi la cartelletta con un sommesso sospiro.

La apre con estrema delicatezza, come se stesse maneggiando un'antica pergamena, ed inizia a svogliarne le pagine.

“Ancora un'altra giornata fra gli scaffali” sussurra con voce fine “Questa volta tocca al settore 22”.

Si alza dalla vecchia poltrona quasi senza fare rumore, prende con la punta delle dita l'affidabile penna stilografica e con passi da fantasma esce dall'ufficio, situato dentro l'enorme magazzino.

Mr. H è il magazziniere di Altrove, un base governativa segreta americana che ha lo scopo di studiare tutti quei fenomeni, oggetti e avvenimenti inspiegabili per la scienza ufficiale.

É un uomo sulla sessantina che sembra perennemente perso nei suoi pensieri come un palloncino scappato dalle mani distratte di un bambino e che galleggia nel cielo lasciandosi trasportare dal destino. Il suo aspetto è del tutto normale: una persona qualunque con un lavoro monotono e solitario. Mr. H non è il suo vero nome: è un soprannome che gli hanno incollato addosso per la sua parlata perennemente sospirata. Non lo ha mai trovato fastidioso e ha silenziosamente lasciato che tutti lo chiamassero così.

Nonostante Altrove disponga di una tecnologia molto avanzata, Mr. H è l'unico che continua ad usare carta e penna senza che nessuno abbia mai avuto l'accortezza, o anche solo il pensiero, di dotarlo almeno di un computer. Per lui questo non è affatto un problema: nessuna pretesa, nessuna richiesta e mai una lamentela; un perfetto impiegato diligente e taciturno.

Con passi calmi, come sabbia dentro una clessidra, si dirige verso la ventiduesima scaffalatura, apre la cartelletta, impugna la stilografica ed inizia a leggere la prima riga del lungo elenco: 'Reperto XAN-505: amuleto illusorio di Yullerdzik, della quinta dimensione'.

Mr. H alza gli occhi dal foglio, prende la scatola davanti a lui, delicatamente la apre e ne osserva il contenuto.

Una volta appurata la presenza dell'oggetto, spunta la voce dalla lista e continua l'inventario: 'Reperto HKA-819: scheletro di troll marziano', 'Reperto GXT-170: spada psionica dell'arcangelo Uriel', 'Reperto WCP: liquido di nulla cosmico' e così via.

Passano le ore e Mr. H ispeziona tutti gli articoli con calma, soffermandosi giusto il tempo per controllare che ad ogni voce ci sia la giusta corrispondenza con un contenitore.

Nei lunghissimi anni di servizio in quella struttura, innumerevoli eventi, oggetti, personaggi ed entità sono passati davanti ai suoi apatici occhi ma nulla è riuscito mai a risvegliare in lui una scintilla di vitalità o curiosità: sembra come una comparsa sullo sfondo della sua stessa vita.

Questo fino ad oggi.

Nel momento in cui è arrivato all'ultimo oggetto, ovvero il terzo volume del Necronomicon ben chiuso in una teca sigillata da glifi celesti, il suo sguardo cade su una piccola scatoletta di cartone: è semi nascosta, chiusa da un semplice nastro adesivo, ingiallita, impolverata e in un angolo come se fosse stata gettata da una persona stanca e distratta.

Nessuna etichetta e nessuna scritta su di essa.

Mr. H controlla più volte i numerosi fogli alla ricerca di cosa possa essere, ma non c'è nulla a riguardo in quel settore.

Un sospiro leggero è l'unico commento a quell'imprevisto.

Anche se...

Per la prima volta da chissà quanto tempo un timido sorriso albeggia sul suo volto. Qualcosa in quell'oggetto gli trasmette simpatia. Anzi no, il termine giusto sarebbe “affinità”. Una cosa piccola, abbandonata nell'ombra, nascosta dal tempo e ignorata da tutti.

Esattamente come lui.

Ma questi pensieri hanno la durata di pochi istanti, perché gli anni di impassibile insensibilità prendono il dominio sul suo stato d'animo.

Appoggia quindi cartelletta e penna sul ripiano e prende quel piccolo contenitore.

'Nessun peso rilevante, niente di strano al tatto, nessun tipo di odore particolare' pensa.

Con movimenti lenti alza un piccolo lembo di scotch: è così vecchio che si stacca come corteccia secca di un albero morto.

Appallottola quella piccola strisciolina e la lascia cadere a terra: un gesto che, se qualcuno lo vedesse in questo momento, lo riterrebbe davvero strano compiuto da lui ma non c'è nessuno e, cosa più rilevante, nessuno lo conosce davvero.

Con estrema calma e cautela inizia ad aprirla.

Pochi millimetri non bastano per vedere cosa c'è all'interno, così continua a spostare il coperchio cercando di sbirciare e, nel caso, chiudere all'improvviso se dovesse esserci qualcosa di pericoloso.

Tutto sembra svolgersi nella quasi totale immobilità, quando all'improvviso Mr. H urla.

É un grido tonante quello che esce dalla sua bocca, come se il poco parlare in tutti quegli anni gli fosse servito per conservare e accumulare tutta quella potenza rilasciata in questo momento.

E poi ride.

E piange.

Il suo volto è una bizzarra maschera di commovente e ilare estasi.

Senza smettere di fissarne l'interno, Mr. H si siede a terra continuando a tenere tra le mani quella scatoletta aperta con la stessa cura che avrebbe un artificiere con dell'esplosivo instabile o di un devoto con una sacra reliquia.

Grosse e rapide lacrime scivolano dagli occhi per percorrere i fiumi secchi delle sue rughe fino al viso ed infine seguire il destino imposto della gravità.

Fra i singhiozzi e le risate parla, ma sono solo versi biascicati e incomprensibili che non interrompono minimamente la sua rumorosa allegria e l'irrefrenabile pianto. La sua mente trabocca di pura felicità e beatitudine: una sensazione a cui non si è mai neppure avvicinato ora è lì, fra le sue dita. Tutto ora gli sembra così futile e superficiale, anche la sua stessa vita.

Lui ha quella scatoletta e ora è il suo tutto.

 

Sono le 22:35 e la segretaria irrompe nell'ufficio di Mr. H.

L'espressione fredda e austera che aveva fino a qualche ora fa sembra essere tornata a casa lasciando il posto ad una più emotiva ira e una grande stanchezza.

“Doveva consegnare la relazione più di due ore e mezza fa!”.

Il tono di voce è acido, aumentato dal fatto che questo ritardo graverà sull'efficiente organizzazione che l'ha sempre contraddistinta.

Ma la frase cade nel silenzio: l'ufficio è vuoto.

'Dove diavolo sarà finito quel rimbecillito?' pensa.

Si dirige verso la porta del magazzino e un piccolo e rapido pensiero le passa per la testa: 'Spero non sia stato male'.

Seguito da un più cinico '...nel caso spero che abbia almeno portato a termine il suo incarico!'.

É la prima volta che entra lì dentro e il gigantesco spazio la fa sentire piccola e debole, cosa che non fa che aumentare l'irritazione.

Il rumore dei tacchi viene amplificato e questo ora la fa leggermente sorridere. Decide di dare più peso alla sua camminata aumentando così il rumore e donandole una sensazione di potere.

Bastano pochi minuti per riuscire a trovare dove si trova Mr. H: lo vede rannicchiato a terra mentre farfuglia qualcosa verso un piccolo oggetto che ha in mano.

A quella scena la segretaria lo paragona subito ad un grosso e vecchio neonato mentre gioca con il suo pupazzo preferito. Ma questa immagine mentale non riesce in nessun modo a calmarla, anzi: aumenta il disprezzo per quell'uomo.

“Mr. H! Le sembra il caso di stare qui mentre è in ritardo con il suo lavoro?”.

Cerca di tenere a freno la sua stizza come se fosse un cavallo selvaggio da domare, ma lo sforzo è davvero alto.

Non ricevendo una risposta dall'uomo, si avvicina ancora di più.

“Non mi ignori! Mi ascolti quando le parlo!” dice quasi strillando.

Ma appena la mano tocca la spalla dell'uomo lui si gira di scatto e, con mossa fulminea, le afferra il polso e glielo torce spezzandolo come un ramoscello secco.

“É MIA! SOLO MIA! NESSUNO ME LA PORTERA' VIA, CAPITO?! MAI! É SOLO MIA!” grida Mr. H con quanto fiato ha in gola, per poi allontanare la donna con una forte spinta.

Come se non fosse successo nulla, si siede e torna sereno e felice verso la sua scatola, il centro di tutte le sue attenzioni.

Sconvolta e dolorante la segretaria impiega parecchio tempo prima di dare l'allarme per farsi soccorrere e capire cosa stia accadendo.

Con il passare delle ore e dei giorni numerosi medici, scienziati, maghi, occultisti e massimi esperti di eventi bizzarri, provenienti uno da New York e uno da Londra, non hanno saputo trovare una spiegazione né capire la provenienza di quella scatola e la sua natura.

 

Da quel giorno Mr. H lo si può trovare ancora lì, nel settore 22 del magazzino di Altrove, seduto a terra ancora intento a fissare allegro e commosso, e perso nel suo incomprensibile monologo, quel piccolo oggetto mentre spesse lastre di vetro lo tengono rinchiuso.

Alla base di quella grande teca c'è una piccola e semplice targa: 'Reperto HVN-001: Mr. H con una piccola scatola di cartone'.

 

 

Un’inquietante sensazione

 

    Da ragazzo ero convinto che fosse solo una leggenda. Crescendo, di quell’agghiacciante particolare, lessi prima nei romanzi, poi in alcuni articoli su giornali e riviste. Casualmente mi imbattei più volte in persone che sull’argomento mi riportarono testimonianze dirette di loro conoscenti. L’elemento comune era sempre lo stesso: poco prima di morire molti individui avevano confessato di provare uno strano e funereo presagio. Chi tra i morituri non lo aveva confessato, aveva avuto comportamenti insoliti. Ma per me quell’inquietante sensazione di morte imminente, restava sempre una sorta di leggenda metropolitana, al pari dei coccodrilli nelle fogne delle megalopoli e la vita extracorporea durante la fase del coma profondo.

Ora però posso confermare con certezza tutta la mia precedente superficialità di approccio all’argomento.

Ma veniamo ai fatti.

Ricordo perfettamente che quel giorno era iniziato simile a tanti altri: sveglia regolare, colazione nella norma e poi al lavoro, con i pensieri e le responsabilità di sempre. Verso metà mattina percepii salire nitida dal centro della pancia e propagarsi lungo tutto il corpo una particolare inquietudine, che ben presto divenne smania di fare a tutti i costi qualcosa di diverso. Pensai fosse solo stanchezza e uscii per fare due passi all’aria aperta, ma dopo poco aumentò il senso di disagio, come quando sai bene di stare sprecando il tempo e vorresti rimediare in qualche modo, ma non ti è possibile. Dovetti girarmi e aumentare il passo per correre verso l’ufficio, ma più correvo e più saliva quell’indecifrabile e angosciante sensazione di imminenza. Lasciai le chiavi nella toppa e la porta aperta. Spalancai tutte le finestre e bevvi direttamente dal rubinetto per poi mettervi la testa sotto, sperando servisse a qualcosa. Solo nel guardarmi allo specchio, nel vedermi con la testa bagnata, le ciglia umide, con i rivoli sul volto come se stessi piangendo e chiazze d’acqua lungo tutta la camicia, capii cosa stesse per accadere: sarei morto quello stesso giorno e ne avevo assoluta certezza.

D’improvviso scomparve la necessità di fare a tutti i costi qualcosa e sentii rammollirsi ogni singolo muscolo del corpo. Ripresi fiato appoggiando le mani alla parete e protendendo il corpo in avanti, col viso rivolto verso il basso. Quando pensai di avere forza a sufficienza nelle gambe, mi spostai nella stanza della scrivania. Presi un blocco di carta e provai a scrivere qualcosa, tipo una lettera da lasciare o un promemoria per chi l’avrebbe letta, ma non mi venne nulla. Guardai l’orologio ed era già ora di pranzo, così preferii tornare a casa per vederla un’ultima volta e lasciarla in ordine.

Per strada incontrai una cara amica, mi lesse in viso e chiese cosa non andasse. Addebitai tutto alla stanchezza di quei giorni. Non mi parve pienamente convinta e ci lasciammo con l’intesa di rivederci a breve. Giunto a casa tutto mi parve più luminoso. Tutto in quel momento era più bello, perfino l’umidità attaccata in un angolo del soffitto e il perenne disordine della mia camera. Raccolsi i panni stesi e ormai asciutti, lavai i piatti della colazione mi cambiai, indossando qualcosa di più informale, poi andai alla scrivania del mio piccolo studiolo, mi sedetti, accesi la “ministeriale” e iniziai a sfogliare i quaderni e i blocchi di fogli presi dalla cassettiera dei lavori in corso. Non ebbi alcun cedimento emotivo, forse perché lo stavo cercando e non sarebbe stato naturale o forse perché mi stavo già abituando all’idea e ciò mi stava facendo sentire la distensione dovuta alla mancanza di responsabilità, che il trapasso mi avrebbe concesso come contropartita: avrei perso la vita, ma almeno avrei smesso di lottare ogni giorno per qualunque cosa volessi fare o fosse semplicemente un mio sacrosanto diritto avere. Mi alzai e andai in bagno per guardarmi nuovamente allo specchio. Stavo già visibilmente meglio. Mi pettinai con la cura di chi sta per avere un appuntamento galante, lavai le mani e andai a preparare un caffè, che bevvi seduto su uno dei letti nella camera dei ragazzi. Intorno c’erano i loro poster, i loro libri, alcuni piccoli accessori e sulle scrivanie ognuno aveva una foto con me. Non toccai nulla e anche stavolta non mi venne nulla da scrivere. Non ebbi voglia neanche di entrare in contatto con loro. In quel momento sarebbe stato quasi impossibile, inoltre ebbi paura di emozionarmi e non volevo lasciare di me un ricordo fragile. Controllai nuovamente l’ora. Pur non sapendo quando e come tutto sarebbe accaduto, iniziò a salirmi la tensione. Ripresi la concentrazione sul percorso da fare e uscii.

Istintivamente presi la direzione verso la periferia della città. Strada facendo, iniziai a velocizzare il passo, che in breve divenne una corsa leggera. Cambiai direzione e puntai lungo il fiume. Vicino al punto in cui si entra in città c’è un macello di carne suina e pensai che sarebbe stato un buon posto per morire. Giunto sul luogo era ormai pomeriggio inoltrato, mi appostai all’esterno per capire quando superare il cancello senza essere notato e così feci alla prima occasione utile. Una volta dentro scrutai rapidamente per capire dove nascondermi. Vidi una stanza frigorifero con il doppio maniglione, per entrare e uscire senza il rischio di restare chiusi all’interno. Mi attrasse l’idea di rifugiarmi lì e seguii quel che mi stavano indicando le sensazioni provenienti dalla pancia.

Non passò molto tempo e le luci iniziarono a spegnersi in tutti gli ambienti. Lo capii dal rumore sordo che udii quando si spensero quelle nella mia stanza e che avvertii in lontananza ad ogni successivo spegnimento. Lasciai trascorrere un altro po’ di tempo. Mi affacciai quando non udii altri rumori. Raggiunsi a memoria la porta, che si aprì come avevo immaginato. All’esterno c’erano poche tenui luci poste in alto e dalle vetrate entrava un po’ di bagliore notturno proveniente da una porzione di Luna piena visibile da uno dei finestroni. In quel momento ero solo tra tanti cadaveri di maiali ammucchiati o appesi in stanze simili a quella dov’ero stato. L’odore di sangue era intenso, ma lo resi sopportabile con la forza di volontà.

Girai i vari ambienti in cerca di qualcosa, che non sapevo neanche io cosa fosse, ma forse era solo un modo per ingannare l’attesa. Il tempo mi parve immobile. Intorno tutto era silenzioso e placido, come qualsiasi altro cimitero. Non sapevo che ore fossero, ma che stessero lentamente trascorrendo ne ero certo, perché lo vedevo attraverso la posizione della Luna, ora ben visibile oltre la prima vetrata. Fu quando giunse alla terza finestra, che fui preso dalla voglia di andare in bagno. Mi ero quasi appisolato appoggiato in un angolo di una specie di ufficetto e lo stimolo mi costrinse ad alzarmi per cercare la toilette. Pur non essendo tanto più convinto del motivo per cui mi ero chiuso lì dentro restai seduto ben oltre il tempo necessario per la minzione e capii d’essermi semplicemente autosuggestionato. Probabilmente il peso del lavoro, sommato ad alcune delusioni personali, aveva iniziato a incrinare la mia spessa armatura caratteriale, lasciando penetrare suggestioni. Di lì a poco avrebbe iniziato ad albeggiare e mi alzai per iniziare a valutare come andar senza essere visto. Avevo uno stato umorale tra il disilluso e il rasserenato, pulii tutto e mi avviai all’ingresso dal quale ero entrato nel pomeriggio, sperando di poter uscire senza problemi. Con la vista abituata alla luce scarsa non mi fu difficile giungere al grande portone scorrevole.

La Luna, nel frattempo, aveva fatto il giro e ora il suo bagliore entrava dai vetri opachi dell’ingresso creando luminosi quadrati allungati sul pavimento, all’interno dei quali netta si stagliava la mia sagoma ritagliata dalla luce. Fu nel preciso istante in cui afferrai con entrambe le mani il maniglione dell'enorme porta scorrevole, che la gigantesca ombra di una bestia, ringhiando paurosamente si avventò contro la superficie esterna. L’urto fu così violento da innescare una scossa capace di estendersi lungo tutte le superfici interne del caseggiato. Vibrarono all’unisono le vetrate e le pareti leggere dei magazzini. Si sentirono i rumori metallici dei ganci sui cui venivano appese le carcasse dei maiali. D’istinto mi buttai all’indietro e caddi col culo a terra. Per qualche istante il terrore mi bloccò il corpo, ma la mente corse rapida a rileggere uno dei tanti articoli letti da ragazzo, di cui rammentai anche le virgole: “Sono tante le forme con cui la Morte si presenta. Per gli uomini giusti è una bella donna che li accompagna nel loro ultimo viaggio, per le donne giuste è un bell’uomo. Per i bambini è un loro coetaneo che li invita a giocare, per i maledetti è un’ombra con la falce. È una Bestia quando viene mandata a scegliere a caso, senza un criterio, ma solo per riempire i posti liberi del traghetto sull’Ade.

Mi sentii un idiota che muore da idiota e, mentre cercavo una ragione a una morte così idiota, la Bestia aveva iniziato a spingere col muso sul maniglione. L’intenso vapore acqueo del suo agghiacciante ringhiare già di infilava nella fessura. Mancava poco e si sarebbe compiuta la mia fine. Quell’inquietante sensazione si sarebbe concretizzata e di lì a poco mi sarei ritrovato in un’altra dimensione o finito per sempre.

Non ricordo bene come mi alzai, ma ricordo che mi gettai a capofitto nel freddo magazzino con le carcasse di maiale, dove mi ero nascosto appena entrato. Purtroppo, non ci volle molto e sentii la Bestia sbattere anche contro la porta per entrare dove mi ero rifugiato. Questa volta le fu sufficiente spingere sulla maniglia per poi annusare ogni carcassa. Io chiusi semplicemente gli occhi.

All’alba ogni rumore era cessato da tanto tempo e decisi di uscire dal ventre di uno dei tanti maiali morti nella stanza. Il corpo di quello in cui avevo riposto tutti i miei vestiti non c’era più. Io indossavo ancora il sacco di iuta sporco di sangue di maiale. La Bestia era stata tale fino alla fine, senza aver idea di quel che stesse facendo, mentre io avevo ancora tanto da fare e persone a cui sarei stato ancora di aiuto. Non mi ero ancora rassegnato dell’esser nato.

 

1 commento:

  1. Abbiamo avuto una grande partecipazione quest'anno, non è stato semplice decidere il vincitore e ci dispiace non aver potuto premiare anche qualche altro racconto che ha sfiorato di poco il podio. Magari, potrà essere l'occasione per l'anno prossimo per rivedere i testi inviati, limarli e riprovarci o, comunque, scrivere un racconto ex novo. C'è tutto il tempo per l'edizione del prossimo anno. Discorso leggermente diverso per quanto riguarda i disegni, bisognerà fare ancora di più, il numero di opere valide rispetto a quelle inviate era più basso in proporzione: bisogna lavorare sulle figure, sulle anatomie, sui volti oltre che sulle idee, ovviamente. AMYS è comunque molto contenta della partecipazione sempre più numerosa e appassionata!

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