Martin Mystère n. 400 (mensile)
"I colori impossibili"
Storia: Carlo Recagno
Disegni: Giancarlo Alessandrini, Rodolfo Torti, Alfredo Orlandi, Fabio Grimaldi
"Zona Y"
di Andrea Carlo Cappi
Giugno 2023
LA MACCHINA PER SMACCHINARE
Come
ben noto, la versione online di Get a Life! sta per chiudere i
battenti: a fine 2023, un’ultima storia incentrata su Gobekli Tepe (e comparsa
in precedenza sul Corriere del Mystero) segnerà la fine della
pubblicazione semi-regolare del fancomic gratuito su internet. Lo stesso evento metterà una pietra sopra gli
articoli di approfondimento, le rubriche, le recensioni, la biografia di Martin
Mystère e tutto quello comparso finora su questo blog.
Quali
sono i motivi che portano a a una decisione tanto drastica? Visto che finora
non ne avevamo mai parlato su queste pagine, né avevamo mai dato l’annuncio in
maniera ufficiale, cogliamo l’occasione della recensione del celebrativo albo
di Martin Mystère n. 400 per dare qualche spiegazione.
RECENSIONE
Cosa
si può dire su I colori impossibili che non sia già stato detto in rete,
dove si sono sprecate le solite manifestazioni di odio viscerale per Martin
Mystère, possibilmente condite da una sana dose di ignoranza atta a compiacere
il basso ventre di un pubblico sempre più abbrutito?
Magari
si può fare un’analisi oggettiva di ciò che l’albo contiene e di quali sono le
intenzioni con cui è stato costruito, invece che spacciare per una recensione quelli che invece sono piagnistei
e capricci su ciò che arbitrariamente si esige dalla serie .
Ma,
soprattutto, si può analizzare il sottile messaggio nascosto in quella enorme
metafora globale che è questo albo e che, apparentemente, nessun altro prima di
noi ha saputo cogliere (ma siete calorosamente invitati a smentirci), forse
perché il punto focale delle suddette “recensioni” era sfogare il solito livore
rancoroso e stizzoso contro la casa editrice o l’autore in oggetto, quasi come se i relativi recensori
fossero il ministro della giustizia di un governo di estrema destra che, per
riuscire a vendicarsi a tutti i costi degli ex colleghi magistrati che
combattono la mafia, si dedica con protervia velenosa a cancellare o svuotare i
reati di associazione con la mafia e/o corruzione riguardanti i potenti.
Procediamo
con ordine, partendo dai contenuti più espliciti e oggettivi.
Essendo
un numero a doppio zero, Martin Mystère n. 400 è un albo celebrativo, e
siccome l’autore è Carlo Recagno, i rimandi celebrativi sono pesantemente
stratificati. La struttura narrativa è quella nota e ricorrente per questo filone: una cornice narrativa “vera”
racchiude tre racconti di fantasia o realmente accaduti (in Martin Mystère n. 300, i racconti
erano collocati nella realtà), e il tema delle storie è quello della percezione
umana dei colori, perché i numeri doppiozero di MM sono non solo a colori, ma
sui colori.
E’
un albo celebrativo, abbiamo ripetutamente ripetuto, e quindi ognuno dei
racconti celebra a sua volta diversi momenti della storia editoriale di Martin
Mystère.
Il
primo racconto, con la sua invenzione impossibile e il finale umoristico, è un
omaggio ai racconti ipotetici di Zona X e delle antologie scritte dallo
stesso Martin Mystère, che spesso si divertiva a esserne protagonista. Come la
cornice, questo racconto è anche un omaggio alla serie Magic Patrol di Zona
X, che vedeva la base di Altrove, Chris Tower e Aldous Morrigan tra i protagonisti. La
comparsata del negozio di Safarà è un omaggio a Dylan Dog, il quale appariva
anche in Martin Mystère n. 200. Analogamente, la botta in testa che
permette a Martin Mystère di usare il viewmaster per vedere ciò che gli
altri non vedono richiama a sua volta un espediente narrativo del racconto
finale di Martin Mystère n. 200.
Il
secondo racconto, ambientato nel 1859, mette in scena il raduno segreto di
alcuni potenti personaggi storici legati alla battaglia di Magenta, collegando
la loro vicenda alla genesi del colore magenta: si tratta palesemente di un
omaggio a Storie da Altrove, che si intreccia con un omaggio all’Almanacco
del Mistero, in quanto nella storia entrano in scena Docteur Mystère (il “non”
antenato di Martin Mystère) e il suo figlioccio Cigale, per scontrarsi con gli
Uomini In Nero dell’epoca, dietro richiesta di “Papà”, la direttrice di Altrove
di quegli anni. Oltre agli omaggi, quindi, questo racconto propone una
novità, e cioè un impensato e sorprendente contatto tra il Docteur e la base
segreta di Altrove (per quanto si tratti di un’idea logica, però, ci viene
detto che questo evento è accaduto in un’altra realtà; noi comunque, non ce la sentiamo di escludere
che non sia avvenuto qualcosa di simile anche nella “nostra” realtà). Il colore
magenta viene dallo spazio, il che ci rimanda al quasi omonimo racconto di H.
P. Lovecraft, ma anche a un precedente colore cosmico mysteriano, e cioè l’indaco di Martin Mystère
n. 300.
Il
terzo racconto, partendo come un’avventura di Angie con gli imbroglioni Dee e
Kelly, intenti a viaggiare tra le realtà parallele grazie a un mandala
basato sui colori avversari che il nostro occhio non può percepire, è un
omaggio allo Speciale annuale; nella conclusione. compaiono inoltre il
Martin Mystère e il Max de Le nuove avventure a colori (come si poteva
omettere una citazione di una miniserie che il colore lo annunciava anche nel
nome?). Carlo Recagno racconta inoltre di aver inserito un riferimento all’albo
speciale Generazioni del 2003: “La scena con Angie che cade giù dal
cielo è in effetti una autocitazione da Generazioni. Ed entrambe si
rifanno a L'Incal di Jodorowsky e Moebius, alla scena che apre e che
chiude la storia”. Il mandala che apre le porte della mente e delle
dimensioni spaziotemporali, a sua volta, richiama un analogo varco dimensionale visto ne Il
mondo di Escher (Speciale Martin Mystère n. 15) e basato sulla xilografia “Serpenti”
di Maurits Cornelis Escher.
Nella cornice narrativa, Martin Mystère è un “grande assente”,
e proprio questa sua assenza funge da motore della vicenda, e quindi da scusa per
radunare ad Altrove una gran parte dei suoi comprimari abituali. Al posto di Martin Mystère, come fil rouge narrativo, agisce il misterioso Spektor, un
enigmatico creatore di storie impossibili che ogni volta sembra avere un’identità
diversa, sempre atta a catalizzare eventi e rivelazioni: in Martin Mystère n.
100, si esibisce in un luna park di provincia per giocare sui pensieri segreti degli spettatori, come un telepate; in Martin Mystère n. 300 è in circolazione ai tempi di Cleopatra e di Isaac Newton, come crononauta; adesso, risulta essere un presunto quadricentenario (almeno così
pensa Aldous, che lo conosce di fama, proprio come Tower) e studioso di rinomata competenza e abilità.
Visto l’argomento dell’albo (non i
colori, ma la nostra percezione degli stessi), non può mancare un collegamento
a un albo di Carlo Recagno che trattava proprio questo argomento: Con la coda
dell’occhio (Martin Mystère n. 315).
La minaccia, infatti, sembra provenire dal Superspettro, di cui fanno una breve
apparizione gli abitanti. L'autore, però, è Recagno 2.1, che non ha troppa voglia di sbattersi e che deve obbedire ai dettami di una dirigenza che non vuole saperne di continuità (preferisce che sia Nathan Never a cannibalizzarla e beneficiarne, lasciando che Martin Mystère diventi un grottesco guscio vuoto e rinsecchito): ecco quindi che Spektor insinua che i Superspettrali siano solo un’illusione, e quindi non c'è nessun obbligo di sforzo mentale da parte dei lettori, i quali mysteriosamente sono appassionati di questa serie, ma detestano trovare riferimenti agli albi precedenti della serie di cui sono appassionati.
Riguardo alla risoluzione della storia, Carlo Recagno scrive: “Quando
ho scritto il paradosso della predestinazione, non ho proprio pensato a Generazioni.
Avevo in mente Doctor Who (e anche un episodio specifico). Dite la verità:
quando Martin entra in scena dicendo: Mi fate passare, che devo salvare il
mondo? non sembra il Dottore?”
Il punto dolente, per noi, si trova proprio qui. Dopo
80 pagine di fumetto interessante, ben costruito, simpatico, documentato e
celebrativo, il citato paradosso finale delude il lettore, perché spiegato male e
seguito da uno strascico di domande che resteranno per sempre senza risposta.
Non ci soddisfa certo che l’ispirazione sia stata il telefilm Doctor Who,
sia perché l’improvviso utilizzo risolutorio di un usuratissimo paradosso temporale è forzato e stonato in una storia che
non tratta di viaggi nel tempo, sia perché il detto
telefilm ha decisamente stancato: a chi piace più, ormai, tranne Recagno?
Ma i
finali precipitosi non sono certo una novità, nella produzione di Alfredo
Castelli per Martin Mystère, né lo sono le questioni in sospeso. Qual è,
quindi, il fattore che ci spinge a chiude il blog e che è rappresentato da
questo albo n. 400?
La
risposta potrebbe trovarsi in un altro paradosso: una storia così, che
riprende il passato della serie e lo amplia, che fa discutere e criticare, che
spinge a porre domande, è una storia che a essere fortunati compare una volta in un anno, ed è sempre più
esitante a “esporsi” e approfondire, nel timore della reazione lamentosa e
rimbecillente della nuova generazione di “lettori speciali”, quella che è stata
accuratamente selezionata con la politica delle storie “emozionali”
scopiazzate dai film e telefilm. E a scriverla è sempre e solo Recagno, perché
gli altri autori interessanti si sono eclissati o sono
stati rimossi (basti guardare le complesse, articolate e ambiziose
sceneggiature di Alessandro Russo, relegate su un albo Maxi come se fossero
scarti e assegnate al segno inadatto e datato di G. Romanini), probabilmente
per volontà di una “direzione artistica” che punta da decenni a compiacere e
inseguire solo il lettore occasionale, regalando ai lettori storici e
affezionati il contentino saltuario, sebbene siano questi ultimi quelli che comprano
tutte le uscite, e non i lettori di passaggio. Negli ultimi anni, la tendenza è
peggiorata esponenzialmente: le promesse di “rinascimento mysteriano”,
annunciate più volte, sono sempre state disattese; i nuovi sceneggiatori, infelicemente indirizzati, hanno
puntato tutto su una comicità imbarazzante e su una narrazione formulaica,
meccanica e impersonale dove gli elementi tipici mysteriani vengono gettati nel
calderone quasi a caso e combinati in maniera superficiale, tanto da dare l'impressione che i
soggetti siano stati elaborati da una intelligenza artificiale del livello
della famosa ChatGPT, generando una sequenza interminabile di albi riempitivi,
senza alcuna rilevanza, che uccidono l’interesse e spingono a ignorare le
uscite successive. Vale la pena di seguire questa testata per leggere uno o due albi all'anno, e sempre incrociando le dita per potenziali sorprese nefaste volute dalla redazione?
Tutto qui? No. c'è anche un significato più
nascosto, in questo fumetto, nella sua struttura, nei suoi contenuti, nelle
soluzioni e scelte narrative. In una parola, nell’enorme metafora che esso
incarna, e che vogliamo ora sviscerare.
Partiamo
dalla già osservata debolezza della soluzione finale del paradosso della
predestinazione. Martin Mystère sembra parlare con l'anomalia spazio-temporale
come se stesse parlando a se stesso: l'anomalia sarebbe quindi senziente?
Prendendo per buona la definizione del Superspettro come "luogo della
mente", data da un esperto creatore di mondi e storie come Spektor
(definizione che, peraltro, non la differenzia granché dai vari Mondi dei Sogni
visti nella serie), se ne deduce che sì, Martin Mystère sta parlando col
proprio inconscio. Ma, visto che questa entità è colpevole della sua scomparsa dall'esistenza e dalla memoria, ci si chiede: che motivi avrebbe potuto avere Martin Mystère
per desiderare di essere cancellato dalla realtà e dimenticato da tutti?
Da qui,
si giunge all’unica conclusione possibile. Tutta la storia, dalla cornice ai singoli
racconti, è una proiezione dell’inconscio di Martin Mystère, ed è stata
generata dal suo inconfessabile desiderio di fuga da questo suo universo
narrativo ormai degenerato, dalla stanchezza dell’ottantenne usurato e
inflazionato che vuole staccare la spina, e dall'impossibilità di farlo in modo
permanente.
Sparendo
nel Superspettro, con modalità diverse da quelle che invece riguardarono Angie
Dark durante una simile esperienza, Martin Mystère acquisisce i colori
impossibili del Superspettro, e quindi passa da essere “detective dell’impossibile”
a essere letteralmente un “personaggio impossibile”, e così facendo assurge al livello di dio.
Qual è infatti la capacità di un dio, come ci ricordano tante mitologie, e che
proprio lui manifesta con la sua sparizione? E’ la capacità di generare
infinite storie, che possono essere o false o vere oppure entrambe (esattamente
come fa Loki, il trickster, altro personaggio cardine della mytologia di
Recagno). Innescando questa pletora di interpretazioni divergenti, Martin Mystère
cessa di esistere come una persona normale che invecchia in un universo che
invecchia, si astrae e trascende fino a divenire un concetto archetipo come
Topolino, un personaggio eterno e immutabile, la cui saga perde linearità e si polverizza nell'eterno presente di un
poliverso che imita quello dei personaggi di Walt Disney, e cioè un universo
auto-azzerante a piacere, divergente, contraddittorio, consecutivo solo quando
serve. Un universo in cui può essere raccontato tutto e il contrario di tutto,
senza tema di contraddizioni, perché basta ignorarle.
Ecco perché, ritornato
infine nel suo mondo, Martin Mystère è ormai un ologramma, più che una persona, un’icona
a cui non può più accadere alcunché di rilevante o rivoluzionario. A dimostrarlo, c’è proprio la
trama della cornice narrativa: la scomparsa letterale di Martin Mystère, cancellato
dall’esistenza e dimenticato da amici e nemici, non ha effetti rilevanti sulla
realtà, né lascia alcuna traccia dopo la precipitosa risoluzione.
A corroborare questa interpretazione, arriva anche il concetto, ribadito più volte nel fumetto, dell'inesistenza dei colori, in quanto frutto della trasformazione di certe lunghezze d'onda da parte dell'organismo umano; poiché la genetica ci rende tutti diversi, questi colori divengono totalmente soggettivi, come spiega anche uno dei racconti presenti in Martin Mystère n. 100. Tra le righe, ci viene detto che quindi, allo stesso modo, anche la figura di Martin Mystère è diventata soggettiva, e cioè ognuno di noi lo "vede" in maniera diversa, e tutte le sue infinite versioni sono "vere".
Ed
eccola qui, la suddetta colossale metafora. Questa che abbiamo descritto non è
semplicemente una trovata narrativa usa-e-getta per un albo celebrativo: è
invece la dichiarazione programmatica dell’evoluzione (involuzione?) della serie di Martin
Mystère e del suo personaggio cardine. Una trasformazione comprensibilmente
auspicata da Alfredo Castelli già quando Martin Mystère ebbe successo nell’universo
Anni ’30: comprensibile, diciamo, perché chi non vorrebbe veder
assurgere una propria creatura di fantasia allo stato di personaggio immortale dell'Olimpo della fantasia,
in quanto stratificato nell’immaginario collettivo fino a sfiorare la
definizione di archetipo?
In
aggiunta, questa storia non presenta né date né elementi che la collochino in
un momento specifico della serie (divenuta ormai a-temporale in ogni caso), e
può quindi essere avvenuta anche dieci o più anni fa: il mutamento (declino?)
di Martin Mystère ha infatti origini ormai antiche, e anche se per molti anni
ci si è affannati a ignorarlo o a smentirlo, I colori impossibili è
stata configurata proprio per confermarlo definitivamente. Se vi serve un precedente di storie
di Martin Mystère collocate ben prima della data di uscita, vi basti Martin
Mystère n. 100, capostipite di questo filone: uscito nel 1990, è ambientato
dichiaratamente un anno prima.
Svelata
la metafora e il significato più profondo, da pietra miliare (tombale?)
retroattiva, torniamo quindi alla motivazione della decisione annunciata all’inizio:
siccome ormai la consistenza interna della serie (trattasi della famigerata
continuità; tutti gli altri usi di questo termine, anche e soprattutto in
inglese da parte di chi ha dimenticato l'italiano, sono errati) è diventata relativa
e quindi irrilevante, dato che può essere disneyanamente rimaneggiata,
cancellata, riscritta, travisata, calpestata e ignorata a piacere. Ne consegue
che non ha più senso portare avanti il discorso di questo blog, delle sue
recensioni contestualizzate nella coerenza della mytologia globale della serie, dell’attenzione
alla filosofia e poetica e culltura letteraria Castelliana (alla fine, hanno avuto successo i
tentativi di snaturarle e negarle da parte di “critici” e autori infiltrati), e dei fumetti di Get a Life!,
che ricucendo gli strappi presunti, li trasformano nelle basi per capitoli
narrativi inediti che riconducano tutto a una narrativa globale, organica e coerente (che non esiste più per scelta esplicita).
Si può pensare di continuare a seguire solamente gli autori che finora si sono impegnati a portare avanti un discorso di coerenza e continuità della serie di Martin Mystère, ma così facendo, a causa degli interventi redazionali, che a volte sembrano voler portare avanti un arco narrativo "nascosto" che unisca albi di diversi autori "mercenari", si rischia di restare invischiati in una rete narrativa di qualità opinabile, che comprometterebbe anche il godimento dell'opera selezionata dei suddetti autori validi. Si è vista una potenziale avvisaglia del genere in Fantasmagoria, che sembra proprio il manifesto di questa infelice gestione d'insieme. C'è infatti un'idea di trama che sembra pensata per compromettere il discorso generale dell'universo mysteriano, e cioè
l'insensatezza del meccanismo "elettromagico" di turno, che non si limita all'arbitrarietà di agire sulla psiche o di far viaggiare nel tempo a seconda della convenienza narrativa, ma calpesta anche le regole
del viaggio nel tempo stabilite da Alfredo Castelli, che ha sempre usato
questo elemento con estrema parsimonia e accortezza, e che Vincenzo
Beretta e Carlo Recagno avevano leggermente ampliato, ma utilizzando
elementi cruciali che il suddetto albo ha bellamente ignorato (non si sa
se per impreparazione o per scelta). Da questa base, caritatevolmente definibile come traballante, si arriva al "colpo di scena" del finale, dove un giovane somigliantissimo a Martin Mystère (ma non imparentato) decide di punto in bianco e immotivatamente di andarsene dal nostro presente per vivere nella Francia del 1700, lasciandoci il sospetto che gli si voglia affibbiare il ruolo crono-paradossale di antenato di Remì D'Aix e quindi di Cigale; ma la sequenza è gestita così male che non si riesce a comprendere se si tratta di un istrionismo narrativo o di un effettivo e deliberato frammento di progetto più ampio, foriero di futuri colpi di scena sulla genealogia di Martin Mystère. Inevitabilmente, il seguito di una vicenda del genere, per quanto ben scritto da autori validi, finirebbe per essere minato alle fondamenta proprio dall'implausibilità delle premesse.
L'arte
Immancabilmente,
il reparto artistico coinvolge i disegnatori “storici”, da Alessandrini a
Torti, più gli arrivi recenti di Grimaldi e Orlandi. I primi due sono veterani,
e se hanno il tempo necessario, sfornano tavole solide e affidabili, sebbene
non più ispirate ed evocative come un tempo. Torti, in particolare, dopo anni
di Speciali sempre più graficamente caotici, ha recuperato parecchi punti, e la colorazione
funziona molto bene sulle sue tavole, arricchendole e complementandole in
modo sorprendente. Grimaldi beneficia del colore, che riempie i suoi sfondi
vuoti. Orlandi, fotorealistico e modernizzante, fa un po’ a pugni con una sequenza
storica che avrebbe richiesto uno stile d’epoca più adatto alle vicende del Docteur Mystere (nota a
margine: il tizio dipinto di magenta, nella prima vignetta in cui appare,
sembri quasi un pupazzetto).
Il romanzo
Nello
stesso albo si conclude Zona Y di Andrea Carlo Cappi, autore da sempre
molto interessato alle radici del personaggio di Martin Mystère e alla costruzione di intrecci
elaborati che si radicano nel suo glorioso passato. Nel romanzo precedente, Il potere del falco, Cappi aveva spaziato nella
carriera di Martin Mystère, da prima del 1984 a oggi, lasciandoci infine con
domande senza risposta sull’origine e lo scopo delle statuette egizie, in
classico stile mysteriano (e quindi, come detto in precedenza, fornendo le basi
per stimolanti speculazioni). Questa volta, invece, il capitolo finale del suo
romanzo tira tutte le fila della narrazione, rivelando con cura maniacale i retroscena che hanno portato un’intelligenza artificiale muviana, fuggita da
un laboratorio che stava analizzando tecnologie perdute, a divenire un magnate
dell’informatica e della tecnologia (Cappi ci sta dicendo qualcosa su Gates,
Jobs e amici?). C’è persino spazio per affrontare una svista del precedente
romanzo, e cioè l’esistenza di un libro scritto da Martin Mystère e pubblicato
prima del suo primo libro secondo la cronologia ufficiale (è un'incongruenza che avevamo
segnalato proprio noi, insieme a una possibile soluzione che Cappi ha
rielaborato e inserito nella storia).
Ma,
come si evince dai desolanti commenti della comunità online, è quasi inutile produrre
storia di questo livello. Infatti, il lettore medio di Martin Mystère odia la
letteratura e i romanzi. Vuole le vignette disegnate, e manco legge le rubriche e i dato del colophon, altrimenti ha schifo e si sdegna.
Esatto, è così: stiamo parlando di lettori che si dichiarano appassionati della serie creata da Alfredo Castelli, cioè un autore con profonde radici letterarie, ci ha da sempre attinto nella saga di Martin Mystère, per realizzare alcuni
dei suoi momenti più affascinanti. Castelli, colui che propose un suo finale de
Il mistero di Edwin Drood di Charles Dickens ne Il ritorno di Jaspar
(Martin Mystère nn. 77-79). Castelli, colui che da Il pendolo di
Foucault di Umberto Eco trasse l’ispirazione per il titanico impianto
narrativo che ebbe inizio ne La setta dell’assassino (Martin Mystère nn.
88-90) e che si dipana ancora oggi. Castelli, che lesse e digerì la Teosofia di Helena Blavatsky
per costruire il mito mysteriano di Agarthi e Kut Humi. Castelli, che insieme a
Roberto Roda diede vita a Roncisvalle!, tutta incentrata sulla letteratura
de paladini di Carlo Magno e sugli studi (scritti) dello stesso Rodi. Castelli,
che scoprì la narrativa popolare ottocentesca di Paul d’Ivoi e di Paul Féval,
per dare origine ai personaggi di Docteur Mystère e di Cigale, radicando la
genealogia di Martin Mystére nel mystero e nell’universo di Wold Newton. Ai
lettori di Castelli, la forma del romanzo a puntate (il fulcro dell’ispirazione
castelliana) e quindi della rivista antologica con diverse forme di narrazione
(altro vanto della carriera di Castelli), fa schifo: costantemente zitti su
tutti i contenuti degli albi più mediocri, diventano improvvisamente chiassosi
quando devono esprimere il loro sdegno e stracciarsi le vesti per la presenza
del romanzo in appendice all’albo mensile di una testata che esiste proprio perché sono
esistiti i romanzi popolari. Come si è giunti, per un personaggio come Martin
Mystère, a creare una comunità che ne detesta le caratteristiche fondanti, e
neanche ne è consapevole? Come già dicevamo, forse è il caso di porsi qualche domanda sulla scarsa
lungimiranza della direzione editoriale dell’ultimo decennio? E che senso ha un blog come il nostro, per una comunità largamente popolata da interessi diametralmente opposti all'approfondimento e alla riflessione?
Bonelli Kids
Alfredo
Castelli è nuovamente protagonista e causa delle umoristiche sventure di Martin
Mystère bambino. Non è proprio una striscia celebrativa, ma è un simpatico
tributo alla carriera e al talento del maestro.
Zio Boris
Coerentemente
con il tema dell’albo, anche Zio Boris è a colori e parla di colori,
introducendo la spaventosa figura dell’armocromista nel fumetto dell’orrore.