mercoledì 16 marzo 2022

[Recensione] Martin Mystère n. 385: "L'ombra di Michelangelo"

Martin Mystère n. 385 (mensile)
"L'ombra di Michelangelo"

Storia: Francesco Matteuzzi
Arte: Michela Da Sacco
 
 Ritorno alle origini, ma sul serio? Ai "vecchi tempi" (che ogni lettore baserà sul proprio primo incontro con Martin Mystère), un fumetto come il presente sarebbe stato probabilmente considerato un normale riempitivo, sulla falsariga di Sulle tracce dell'invisibile od Obiettivo Apocalisse, anche se più curato. Forte è infatti la tentazione di liquidarlo come una pedissequa esecuzione di uno schema consolidato, che accorpa meccanicamente gli stilemi storici di Martin Mystère. Ma fermarsi a un giudizio così superficiale sarebbe un triste errore, per due vistosi motivi, che vanno oltre il già di per sè rilevantissimo "ritorno alle origini" tanto auspicato da una certa fetta di lettori (e finora concretizzatosi solo malamente, con storie che hanno sì ripreso elementi storici o comunque della continuità, ma quasi sempre in modo posticcio e sterile).
 Segnali di stile Il primo motivo, dopo lo spavento degli ultimi albi, è che in tempi gramissimi di deriva mysteriana, tra scopiazzamenti di film e libri, o storie insensate completamente prive di mystero, bisognerebbe "baciarsi i gomiti" all'arrivo di uno sceneggiatore che non solo dimostra di conoscere una mole di elementi fondamentali della serie, ma li utilizza anche, magari andando in parte contro le indicazioni di una redazione che favorisce le storie di "azione", lineari nella narrazione e rassicuranti nei blandi e dozzinali contenuti. Il secondo motivo è che, all'utilizzo della cosiddetta continuità della serie, si unisce qui anche una chiara qualità di scrittura, che va oltre la scansione narrativa atta a risolvere la trama di turno: nel lavoro di Matteuzzi, sceneggiato in modo fluido e accorto, troviamo dialoghi arguti e pertinenti, caratterizzazione coerente e una quantità di annotazioni interessanti e stimolanti, che si succedono con buon ritmo. Se per certi aspetti, come l'uso consapevole dell'universo mysteriano, o certe battute brillanti sui vizi di Martin, la competenza di questo "nuovo arrivato" è tale da far pensare a un contributo della redazione, per altri è impossibile che non si tratti di "farina del suo sacco", visti i contenuti e i livelli di lettura della narrazione, non tutti immediati come si penserebbe. Non va trascurato il livello stilistico di cui l'autore dà prova, evidenziato per esempio dal silenzioso parallelo tra i piccioni e Michelangelo nella prima sequenza del diario (tutto affidato al versante artistico). L'impegno nel costruire una impalcatura fantastorica di matrice mysteriana appare anche in piccoli dettagli mai esplicitati dai dialoghi, come la conformazione del corridoio di accesso alla serra degli alberi della conoscenza: il tunnel mobile con apertura anteriore, infatti, imita struttura e movimenti di un serpente, rientrando quindi implicitamente tra gli elementi reali che concorsero a costruire il mito del paradiso perduto. 
 Michelangelo, Uomo in Nero
Come da tradizione dell'opera mysteriana di Alfredo Castelli e Carlo Recagno, la doppia sequenza ambientata del 1500 (narrata dall'immancabile diario) e dedicata a Michelangelo Buonarroti non è mera cronaca, ma una libera rielaborazione degli eventi, che ci elargisce un raro e accurato spaccato dell'esistenza passata degli Uomini in Nero, nonché della complessità pratica della loro filosofia. Certo, tutti noi appassionati sappiamo dell'esistenza di Falchi e Colombe nell'organizzazione, ma raramente ne abbiamo visto il conflitto in modo esplicito, e per di più in un'altra epoca, dove i mezzi, la società e il modo di pensare erano diversi. In questa faida interna degli UiN, la figura di Michelangelo si innesta con coerenza storica e culturale, a dimostrazione del talento dell'autore (che non si è limitato a macinare lo stereotipo del personaggio storico che nasconde un grande segreto e lascia in giro indizi per svelarlo): Michelangelo è infatti un affiliato della Confraternita (così si chiamavano gli UiN nel passato), perchè è bramoso di accedere alle conoscenze scientifiche perdute che essa custodisce, ma nello stesso tempo non vuole essere vincolato a nascondere queste conoscenze, neanche per la motivazione della presunta protezione  dell'umanità: in questa descrizione si riflette la figura storica del personaggio, servitore della Chiesa Cattolica per necessità, ma anche "neoplatonico" ricercatore della conoscenza e propugnatore della diffusione della stessa, nonché di quella libertà di pensiero che era tanto sgradita al dogma cristiano (come ben spiegato nell'albo, in riferimento allo studio dell'anatomia umana).
Non disturbare il religioso Inusitatamente, infatti, Matteuzzi riporta in scena un tema che scomparve dalle pagine di Martin Mystère molti anni fa, dopo la figuraccia rimediata dall'infantile manicheismo narrativo de Il teatro della memoria, e le imbarazzate scuse di Xanadu, mutandosi nella quasi militanza de Il numero della bestia: la critica al dogmatismo religioso, che per sua stessa natura deve soffocare o incanalare la ricerca, l'espressione, la creatività, l'istruzione. A decenni da Maghi e computer, ci ritroviamo miracolosamente (!) con un autore mysteriano che nuovamente, e senza incorrere in autocensure preventive, osa dare voce alla ragione di Michelangelo, che dichiara apertamente che la divinità, di qualunque religione, è mero frutto della mente umana.
 Arte per l'arte
Come per i testi, anche per il versante artistico c'è un nuovo ingresso nell'universo degli autori mysteriani, e Michela Da Sacco viene subito messa alla prova con una storia che richiede ambientazione urbana moderna, ricostruzione rinascimentale "in costume", scene d'azione, celebri sculture e affreschi (per i quali non è sempre facile ricorrere a qualche scorciatoia digitale) e infine la temibile tecnologia avveniristica e "diversa" delle scomparse civiltà di Atlantide e Mu. Nel complesso il risultato è più che discreto, con parecchi momenti felici (soprattutto nei primi piani), ma anche un po' di vignette "tirate via", specialmente nei panorami dove il rigore tecnico cede il passo alla fretta. 
 Arriva l'Europa Non tutto fila alla perfezione neanche sul versante narrativo, comunque, un po' per i limiti delle 80 pagine di fumetto, un po' per i dettami della redazione (che a quanto pare esige una certa quantità di "azione"). Ecco quindi che dall'organizzazione francese di Le Centre (ma con una sfilza di riferimenti a Chris Tower tali da far pensare che la sceneggiatura originale parlasse invece di Altrove) arrivano due personaggi che sono lo stereotipo della quota rosa/etnica obbligatoria, a cui si contrappongono, in ben due improbabili schermaglie, tre Uomini In Nero incredibilmente imbranati, forse in quanto maschi bianchi, o forse in quanto Europei e quindi capaci solo di fare la voce grossa e minacciare sanzioni, salvo poi vedersele ritorcere contro e fare retromarcia quando l'avversario reagisce con la forza.
 Che paura, la continuità Ma si tratta decisamente di un aspetto estremamente marginale, su cui è facile sorvolare: le sparatorie da cui gli eroi escono sempre illesi sono all'ordine del giorno sin dai primi dieci albi della serie; anzi, a ben guardare, fanno parte del citato ritorno alle origini.
Intanto, un'altra tradizione si ripropone con la comparsa dell'ennesimo compagno di studi di Martin, incredibilmente arzillo e giovanile, nonostante sia suo coetaneo (ma come abbiamo spiegato qui, è una situazione normale, perchè l'universo narrativo di Martin Mystère non è il nostro, per quanto gli somigli, bensì quello in cui Atlantide è esistita diecimila anni fa, ed è quindi regolato da diverse leggi). Ma c'è ben altro a radicare questo albo in maniera solida nelle fondamenta della serie, e non è certo l'ennesimo macchinario antidiluviano (Atlantideo o Muviano?) che potrebbe autodistruggersi nel finale, nè la battuta autoironica con cui Martin accompagna questa osservazione.
Il segreto di Robin Hood
 Stiamo parlando della continuità narrativa, quella vera, che non viene neanche esplicitata con le note, e che comunque funziona: qualcuno potrà aver notato che la conoscenza assoluta fornita dal "fico atlantideo" coincide con il Databank Universale di Jaspar, e quindi con l'Akaschi (come spesso abbiamo spiegato su queste pagine, spingendoci a narrarne le origini secondo noi), ma solo un lettore ci ha scritto per spiegarci che i computer biologici vegetali della serra antidiluviana, con cui gli scienziati di diecimila anni fa sembrano interagire tramite un macchinario meramente tecnologico, sono una copia artificiale (e imperfetta) degli enigmatici alberi della conoscenza visti ne Il segreto di Robin Hood (Almanacco 2005), i quali erano macchinari biologici di possibile matrice aliena, molto più antichi delle stesse Atlantide e Mu e disseminati in tutto il mondo.
Il segreto di Robin Hood
La simmetria tra gli alberi delle due storie non si ferma alla funzione comune di raccolta dei dati di tutto il pianeta: il legno degli alberi de Il segreto di Robin Hood, anche se trasformato in carta, dava a chi lo maneggiava la facoltà di accedere a ogni genere di informazione, sebbene senza impazzire; ne va da se che l'ingestione di un frutto di uno questi alberi, sebbene artificiali come il fico, deve avere un effetto molto più drastico e radicale (sebbene la follia non sia l'esito certo: l'UiN che mangia il fico, infatti, sembra impazzire, ma viene ammazzato senza darci di sapere come si sarebbe evoluto effettivamente). Ne Il segreto di Robin Hood, inoltre, si cita l'analogo talento di Jaspar, e dato il suo legame con l'Akaschi e quindi con gli Esagoni che raccolgono informazioni sin dall'alba dei tempi, il cerchio si chiude.
Ma non è finita qui: chi volesse rileggere quella storia, orma divenuta un classico, troverà anche altre analogie e simmetrie con L'ombra di Michelangelo, a partire dalle diatribe interne tra gli Uomini In Nero dell'epoca di Robin Hood, in una delle già citate e rare sequenze del passato in cui questa organizzazione viene descritta come qualcosa di più complesso della immutabile e immortale congregazione di maniaci del potere e assassini dotati di un pensiero unico, granitico e immutabile.
 Citazioni involontarie La vicenda si chiude, ancora una volta, con Martin Mystère che sposa la filosofia degi Uomini In Nero, e collabora con essi per nascondere per sempre il lascito atlantideo-muviano, e precludervi l'accesso ai suoi simili: curiosamente, è un finale che richiama Topolino e il cavatappi di Tuzco, da noi segnalato solo pochi giorni prima dell'uscita de L'ombra di Michelangelo.
 Il futuro e il passato
 Sembra opera della redazione la sibillina allusione alle verità sconosciute sugli uomini di Neanderthal, e in particolare sulla specie di Java: come già in passato è accaduto nella serie, potrebbe essere un indizio di importanti sviluppi che avranno luogo durante il quarantennale della serie. Di segno temporalmente opposto è invece il riferimento a quei libri di Martin Mystère in cui si parla di Atlantide: si affronta qui, e si spiega in modo accettabile, il fatto che lo "scetticone per partito preso" è afflitto da questa colossale contraddizione di essere anche un fautore della favola delle civiltà antidiluviane autodistruttesi diecimila anni fa. Finalmente, dopo troppe storie di implicito rinnegamento (o addirittura di manifesto disinteresse), Martin torna a riconoscere questo aspetto fondamentale del suo personaggio, quando afferma di presentare la cosa come un'ipotesi, e lascia al collega/amico la libertà di credervi o meno.   
 Il ritorno della curiosità Matteuzzi ci restituisce quindi il piacere di rileggere e riscoprire angoli dimenticati della saga mysteriana, in una storia che si finge autoconclusiva, per non spaventare quelle anime semplici che soffrono di epistassi non appena compare una didascalia di riferimento a un altro albo. Ma lo sceneggiatore non si ferma qui: con il suo uso accorto e misurato (a causa del numero di pagine?) dei dettagli storici più stuzzicanti, ci spinge a documentarci in rete, facendoci quindi ritrovare anche il piacere tutto mysteriano di documentarci per approfondire. Ecco quindi che andiamo alla ricerca di informazioni su il fico come Albero della Conoscenza, ma anche sull'origine dell'interpretazione del dio creatore come un cervello, per scoprire che il primo studio in merito, An Interpretation of Michelangelo's Creation of Adam Based on Neuroanatomy, è statunitense e risale al 1990; nella stessa pagina troviamo anche un prezioso approfondimento sul contesto culturale in cui si muoveva Michelangelo, e apprendiamo così come l'artista fosse partecipe dell'elitario pensiero neoplatonico e ne abbia probabilmente tradotto i concetti in certe sue opere; capiamo quindi quanto è ben studiata e circostanziata la summenzionata idea di Michelangelo come Uomo In Nero pentito (li ha frequentati in quanto gruppo che ha accesso a informazioni elitarie, e ha tradotto dette informazioni in arte). E se questo non è un riportare la serie di Martin Mystère ai tempi d'oro dei suo memorabili fasti, cos'altro lo può essere? E ritorniamo così all'argomento con cui avevamo aperto questa recensione, chiudendo il cerchio per nostra soddisfazione.

 E il resto? Non ce ne siamo dimenticati. La rubrica di Fantasmagoria ci propone quello che da sempre auspichiamo: un arricchimento del fumetto, in sintonia con esso, invece che un disperato tentativo di rimediare alla povertà dello stesso, come accade da troppo tempo. Bonelli Kids è erratamente una ristampa, ma comunque attuale. Zio Boris continua a sbeffeggiare l'attualità, e curiosamente chiude con un virus Covid femmina che mostra le tette, riallacciandosi al risguardo di apertura di Carlo Velardi, dove invece è una scultorea Diana a mostrare i suoi marmorei seni senza veli (mentre Java ha un'opportuna foglia di fico), sicuramente un fanservice per ingraziarsi quei vecchi lettori bavosi che non osano usare internet per certe cose. E nel risguardo c'è anche Orloff, di cui non si può più ipotizzare un "ritorno", dato che ce lo troviamo tra i piedi mensilmente. Per il penultimo capitolo de Il potere del falco, dove i nodi vengono al pettine quando Martin comincia a trarre conclusioni e dedurre fatti finora inediti, presenteremo una scheda a parte. La copertina, che abbiamo lasciato per ultima per chiudere il cerchio, è già coinvolta nelle celebrazioni dei primi quarant'anni di Martin Mystère che iniziano ad aprile 2022: l'affresco a cui sta lavorando Michelangelo, infatti, è una libera reinterpretazione della copertina di Martin Mystère n. 1, con un Martin seminudo (in mutandoni) ma armato di Murchadna, e fronteggiato dal ben noto cobra in primo piano (cobra che nel n. 1 non s'è mai visto, nè tanto meno alcun rettile fu combattuto con l'arma a raggi in quella storia; vale la pena di sottolineare che Michelangelo illustrò anche il serpente tentatore, nella Cappella Sistina, dando consistenza al concetto di questa evocativa copertina).

2 commenti:

  1. Nella precisa disamina, o meglio, in questo caso, esegesi, manca un riferimento - il più importante - ad un albo precedente, ovvero a "L'uomo che inseguiva le ombre", di Carlo Recagno, disegnato da Stefano Giardo, dell'ottobre 2008, episodio numero 11 di Storie da Altrove, serie parallela di Martin Mystère, col quale condivide alcuni personaggi, le ambientazioni e la filosofia, e alla quale è imprescindibile fare i necessari riferimenti quando ci si addentra nel labirinto della continuity mystèriana. Orbene in questa storia si narra fra l'altro di un mezzo di salvataggio (un' "arca volante") che un 'antica popolazione terrestre usò come modulo di salvataggio da un evento catastrofico, contenente una sorta di serra, in realtà un complesso "computer organico", definita come "giardino della conoscenza" ed "eden primordiale" in cui erano conservate in contenitori simili a baccelli le essenze degli individui dell'antica specie, detentori di "un sapere incredibilmente vasto e antico che avrebbe potuto trasformare un uomo in un dio oppure in un demone ...". Mutatis mutandis il concetto è indubitabilmente lo stesso. L'antica popolazione terrestre era costituita dalla Terza Razza e non dagli Atlantidei; l'evento catastrofico fu una pioggia di meteore e non la guerra con Mu; il mezzo di salvataggio era volante e non terrestre; il punto di approdo l'Himalaya ( in vicinanza di Agarthi !) e non la Turchia; i contendenti il "cattivo" professor Moriarty, e il "buono" Sherlock Holmes; e per concludere, molto più credibilmente l'intero sistema si distrusse senza un preciso motivo insieme all'unica sopravvissuta della specie, invece di risotterrarsi grazie al telecomando del mio garage ...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ad imparentare le due storie, aggiungerei che anche il coputer della Terza Razza sembra un tentativo di replicare artificialmente gli "alberi di Robin Hood", con il risultato più ristretto (relativamente parlando) di una banca dati contenente conoscenze cristallizate di un'epoca e di un popolo, mentre il "fico" sembra un sistema dinamico. Oltre al mistero della distruzione del macchinario, resta quello del perchè la Terza Razza sia stata dipinta nel presente come intrinsecamente malagia, e il suo incombente ritorno una cosa totalmente negativa, mentre i ricordi forniti dal macchinario descrivevano solo un popolo avanzato e in disperata fuga per la sopravvivenza. Sembra quasi materiale per un'ulteriore storia sul un altro albero, quello del bene e del male.
      Per il prossimo Corriere è in lavorazione una storia dedicata alle diverse realtà storiche (o immaginarie) che nel corso dei millenni hanno contribuito a formare il mito dell'Eden della nostra epoca.

      Elimina