LA MACCHINA PER SMACCHINARE
Come ben noto, la versione online di Get a Life! sta per chiudere i battenti: a fine 2023, un’ultima storia incentrata su Gobekli Tepe (e comparsa in precedenza sul Corriere del Mystero) segnerà la fine della pubblicazione semi-regolare del fancomic gratuito su internet. Lo stesso evento metterà una pietra sopra gli articoli di approfondimento, le rubriche, le recensioni, la biografia di Martin Mystère e tutto quello comparso finora su questo blog.
Quali sono i motivi che portano a a una decisione tanto drastica? Visto che finora non ne avevamo mai parlato su queste pagine, né avevamo mai dato l’annuncio in maniera ufficiale, cogliamo l’occasione della recensione del celebrativo albo di Martin Mystère n. 400 per dare qualche spiegazione.
RECENSIONE
Cosa si può dire su I colori impossibili che non sia già stato detto in rete, dove si sono sprecate le solite manifestazioni di odio viscerale per Martin Mystère, possibilmente condite da una sana dose di ignoranza atta a compiacere il basso ventre di un pubblico sempre più abbrutito?
Magari si può fare un’analisi oggettiva di ciò che l’albo contiene e di quali sono le intenzioni con cui è stato costruito, invece che spacciare per una recensione quelli che invece sono piagnistei e capricci su ciò che arbitrariamente si esige dalla serie .
Ma, soprattutto, si può analizzare il sottile messaggio nascosto in quella enorme metafora globale che è questo albo e che, apparentemente, nessun altro prima di noi ha saputo cogliere (ma siete calorosamente invitati a smentirci), forse perché il punto focale delle suddette “recensioni” era sfogare il solito livore rancoroso e stizzoso contro la casa editrice o l’autore in oggetto, quasi come se i relativi recensori fossero il ministro della giustizia di un governo di estrema destra che, per riuscire a vendicarsi a tutti i costi degli ex colleghi magistrati che combattono la mafia, si dedica con protervia velenosa a cancellare o svuotare i reati di associazione con la mafia e/o corruzione riguardanti i potenti.
Procediamo con ordine, partendo dai contenuti più espliciti e oggettivi.
Essendo un numero a doppio zero, Martin Mystère n. 400 è un albo celebrativo, e siccome l’autore è Carlo Recagno, i rimandi celebrativi sono pesantemente stratificati. La struttura narrativa è quella nota e ricorrente per questo filone: una cornice narrativa “vera” racchiude tre racconti di fantasia o realmente accaduti (in Martin Mystère n. 300, i racconti erano collocati nella realtà), e il tema delle storie è quello della percezione umana dei colori, perché i numeri doppiozero di MM sono non solo a colori, ma sui colori.
E’ un albo celebrativo, abbiamo ripetutamente ripetuto, e quindi ognuno dei racconti celebra a sua volta diversi momenti della storia editoriale di Martin Mystère.
Il primo racconto, con la sua invenzione impossibile e il finale umoristico, è un omaggio ai racconti ipotetici di Zona X e delle antologie scritte dallo stesso Martin Mystère, che spesso si divertiva a esserne protagonista. Come la cornice, questo racconto è anche un omaggio alla serie Magic Patrol di Zona X, che vedeva la base di Altrove, Chris Tower e Aldous Morrigan tra i protagonisti. La comparsata del negozio di Safarà è un omaggio a Dylan Dog, il quale appariva anche in Martin Mystère n. 200. Analogamente, la botta in testa che permette a Martin Mystère di usare il viewmaster per vedere ciò che gli altri non vedono richiama a sua volta un espediente narrativo del racconto finale di Martin Mystère n. 200.
Il secondo racconto, ambientato nel 1859, mette in scena il raduno segreto di alcuni potenti personaggi storici legati alla battaglia di Magenta, collegando la loro vicenda alla genesi del colore magenta: si tratta palesemente di un omaggio a Storie da Altrove, che si intreccia con un omaggio all’Almanacco del Mistero, in quanto nella storia entrano in scena Docteur Mystère (il “non” antenato di Martin Mystère) e il suo figlioccio Cigale, per scontrarsi con gli Uomini In Nero dell’epoca, dietro richiesta di “Papà”, la direttrice di Altrove di quegli anni. Oltre agli omaggi, quindi, questo racconto propone una novità, e cioè un impensato e sorprendente contatto tra il Docteur e la base segreta di Altrove (per quanto si tratti di un’idea logica, però, ci viene detto che questo evento è accaduto in un’altra realtà; noi comunque, non ce la sentiamo di escludere che non sia avvenuto qualcosa di simile anche nella “nostra” realtà). Il colore magenta viene dallo spazio, il che ci rimanda al quasi omonimo racconto di H. P. Lovecraft, ma anche a un precedente colore cosmico mysteriano, e cioè l’indaco di Martin Mystère n. 300.
Il terzo racconto, partendo come un’avventura di Angie con gli imbroglioni Dee e Kelly, intenti a viaggiare tra le realtà parallele grazie a un mandala basato sui colori avversari che il nostro occhio non può percepire, è un omaggio allo Speciale annuale; nella conclusione. compaiono inoltre il Martin Mystère e il Max de Le nuove avventure a colori (come si poteva omettere una citazione di una miniserie che il colore lo annunciava anche nel nome?). Carlo Recagno racconta inoltre di aver inserito un riferimento all’albo speciale Generazioni del 2003: “La scena con Angie che cade giù dal cielo è in effetti una autocitazione da Generazioni. Ed entrambe si rifanno a L'Incal di Jodorowsky e Moebius, alla scena che apre e che chiude la storia”. Il mandala che apre le porte della mente e delle dimensioni spaziotemporali, a sua volta, richiama un analogo varco dimensionale visto ne Il mondo di Escher (Speciale Martin Mystère n. 15) e basato sulla xilografia “Serpenti” di Maurits Cornelis Escher.
Nella cornice narrativa, Martin Mystère è un “grande assente”,
e proprio questa sua assenza funge da motore della vicenda, e quindi da scusa per
radunare ad Altrove una gran parte dei suoi comprimari abituali. Al posto di Martin Mystère, come fil rouge narrativo, agisce il misterioso Spektor, un
enigmatico creatore di storie impossibili che ogni volta sembra avere un’identità
diversa, sempre atta a catalizzare eventi e rivelazioni: in Martin Mystère n.
100, si esibisce in un luna park di provincia per giocare sui pensieri segreti degli spettatori, come un telepate; in Martin Mystère n. 300 è in circolazione ai tempi di Cleopatra e di Isaac Newton, come crononauta; adesso, risulta essere un presunto quadricentenario (almeno così
pensa Aldous, che lo conosce di fama, proprio come Tower) e studioso di rinomata competenza e abilità.
Visto l’argomento dell’albo (non i
colori, ma la nostra percezione degli stessi), non può mancare un collegamento
a un albo di Carlo Recagno che trattava proprio questo argomento: Con la coda
dell’occhio (Martin Mystère n. 315).
La minaccia, infatti, sembra provenire dal Superspettro, di cui fanno una breve
apparizione gli abitanti. L'autore, però, è Recagno 2.1, che non ha troppa voglia di sbattersi e che deve obbedire ai dettami di una dirigenza che non vuole saperne di continuità (preferisce che sia Nathan Never a cannibalizzarla e beneficiarne, lasciando che Martin Mystère diventi un grottesco guscio vuoto e rinsecchito): ecco quindi che Spektor insinua che i Superspettrali siano solo un’illusione, e quindi non c'è nessun obbligo di sforzo mentale da parte dei lettori, i quali mysteriosamente sono appassionati di questa serie, ma detestano trovare riferimenti agli albi precedenti della serie di cui sono appassionati.
Riguardo alla risoluzione della storia, Carlo Recagno scrive: “Quando ho scritto il paradosso della predestinazione, non ho proprio pensato a Generazioni. Avevo in mente Doctor Who (e anche un episodio specifico). Dite la verità: quando Martin entra in scena dicendo: Mi fate passare, che devo salvare il mondo? non sembra il Dottore?”
Il punto dolente, per noi, si trova proprio qui. Dopo 80 pagine di fumetto interessante, ben costruito, simpatico, documentato e celebrativo, il citato paradosso finale delude il lettore, perché spiegato male e seguito da uno strascico di domande che resteranno per sempre senza risposta. Non ci soddisfa certo che l’ispirazione sia stata il telefilm Doctor Who, sia perché l’improvviso utilizzo risolutorio di un usuratissimo paradosso temporale è forzato e stonato in una storia che non tratta di viaggi nel tempo, sia perché il detto telefilm ha decisamente stancato: a chi piace più, ormai, tranne Recagno?
Ma i finali precipitosi non sono certo una novità, nella produzione di Alfredo Castelli per Martin Mystère, né lo sono le questioni in sospeso. Qual è, quindi, il fattore che ci spinge a chiude il blog e che è rappresentato da questo albo n. 400?
La
risposta potrebbe trovarsi in un altro paradosso: una storia così, che
riprende il passato della serie e lo amplia, che fa discutere e criticare, che
spinge a porre domande, è una storia che a essere fortunati compare una volta in un anno, ed è sempre più
esitante a “esporsi” e approfondire, nel timore della reazione lamentosa e
rimbecillente della nuova generazione di “lettori speciali”, quella che è stata
accuratamente selezionata con la politica delle storie “emozionali”
scopiazzate dai film e telefilm. E a scriverla è sempre e solo Recagno, perché
gli altri autori interessanti si sono eclissati o sono
stati rimossi (basti guardare le complesse, articolate e ambiziose
sceneggiature di Alessandro Russo, relegate su un albo Maxi come se fossero
scarti e assegnate al segno inadatto e datato di G. Romanini), probabilmente
per volontà di una “direzione artistica” che punta da decenni a compiacere e
inseguire solo il lettore occasionale, regalando ai lettori storici e
affezionati il contentino saltuario, sebbene siano questi ultimi quelli che comprano
tutte le uscite, e non i lettori di passaggio. Negli ultimi anni, la tendenza è
peggiorata esponenzialmente: le promesse di “rinascimento mysteriano”,
annunciate più volte, sono sempre state disattese; i nuovi sceneggiatori, infelicemente indirizzati, hanno
puntato tutto su una comicità imbarazzante e su una narrazione formulaica,
meccanica e impersonale dove gli elementi tipici mysteriani vengono gettati nel
calderone quasi a caso e combinati in maniera superficiale, tanto da dare l'impressione che i
soggetti siano stati elaborati da una intelligenza artificiale del livello
della famosa ChatGPT, generando una sequenza interminabile di albi riempitivi,
senza alcuna rilevanza, che uccidono l’interesse e spingono a ignorare le
uscite successive. Vale la pena di seguire questa testata per leggere uno o due albi all'anno, e sempre incrociando le dita per potenziali sorprese nefaste volute dalla redazione?
Tutto qui? No. c'è anche un significato più nascosto, in questo fumetto, nella sua struttura, nei suoi contenuti, nelle soluzioni e scelte narrative. In una parola, nell’enorme metafora che esso incarna, e che vogliamo ora sviscerare.
Partiamo dalla già osservata debolezza della soluzione finale del paradosso della predestinazione. Martin Mystère sembra parlare con l'anomalia spazio-temporale come se stesse parlando a se stesso: l'anomalia sarebbe quindi senziente?
Prendendo per buona la definizione del Superspettro come "luogo della mente", data da un esperto creatore di mondi e storie come Spektor (definizione che, peraltro, non la differenzia granché dai vari Mondi dei Sogni visti nella serie), se ne deduce che sì, Martin Mystère sta parlando col proprio inconscio. Ma, visto che questa entità è colpevole della sua scomparsa dall'esistenza e dalla memoria, ci si chiede: che motivi avrebbe potuto avere Martin Mystère per desiderare di essere cancellato dalla realtà e dimenticato da tutti?
Da qui, si giunge all’unica conclusione possibile. Tutta la storia, dalla cornice ai singoli racconti, è una proiezione dell’inconscio di Martin Mystère, ed è stata generata dal suo inconfessabile desiderio di fuga da questo suo universo narrativo ormai degenerato, dalla stanchezza dell’ottantenne usurato e inflazionato che vuole staccare la spina, e dall'impossibilità di farlo in modo permanente.
Sparendo nel Superspettro, con modalità diverse da quelle che invece riguardarono Angie Dark durante una simile esperienza, Martin Mystère acquisisce i colori impossibili del Superspettro, e quindi passa da essere “detective dell’impossibile” a essere letteralmente un “personaggio impossibile”, e così facendo assurge al livello di dio. Qual è infatti la capacità di un dio, come ci ricordano tante mitologie, e che proprio lui manifesta con la sua sparizione? E’ la capacità di generare infinite storie, che possono essere o false o vere oppure entrambe (esattamente come fa Loki, il trickster, altro personaggio cardine della mytologia di Recagno). Innescando questa pletora di interpretazioni divergenti, Martin Mystère cessa di esistere come una persona normale che invecchia in un universo che invecchia, si astrae e trascende fino a divenire un concetto archetipo come Topolino, un personaggio eterno e immutabile, la cui saga perde linearità e si polverizza nell'eterno presente di un poliverso che imita quello dei personaggi di Walt Disney, e cioè un universo auto-azzerante a piacere, divergente, contraddittorio, consecutivo solo quando serve. Un universo in cui può essere raccontato tutto e il contrario di tutto, senza tema di contraddizioni, perché basta ignorarle.
Ecco perché, ritornato infine nel suo mondo, Martin Mystère è ormai un ologramma, più che una persona, un’icona a cui non può più accadere alcunché di rilevante o rivoluzionario. A dimostrarlo, c’è proprio la trama della cornice narrativa: la scomparsa letterale di Martin Mystère, cancellato dall’esistenza e dimenticato da amici e nemici, non ha effetti rilevanti sulla realtà, né lascia alcuna traccia dopo la precipitosa risoluzione.
A corroborare questa interpretazione, arriva anche il concetto, ribadito più volte nel fumetto, dell'inesistenza dei colori, in quanto frutto della trasformazione di certe lunghezze d'onda da parte dell'organismo umano; poiché la genetica ci rende tutti diversi, questi colori divengono totalmente soggettivi, come spiega anche uno dei racconti presenti in Martin Mystère n. 100. Tra le righe, ci viene detto che quindi, allo stesso modo, anche la figura di Martin Mystère è diventata soggettiva, e cioè ognuno di noi lo "vede" in maniera diversa, e tutte le sue infinite versioni sono "vere".
Ed eccola qui, la suddetta colossale metafora. Questa che abbiamo descritto non è semplicemente una trovata narrativa usa-e-getta per un albo celebrativo: è invece la dichiarazione programmatica dell’evoluzione (involuzione?) della serie di Martin Mystère e del suo personaggio cardine. Una trasformazione comprensibilmente auspicata da Alfredo Castelli già quando Martin Mystère ebbe successo nell’universo Anni ’30: comprensibile, diciamo, perché chi non vorrebbe veder assurgere una propria creatura di fantasia allo stato di personaggio immortale dell'Olimpo della fantasia, in quanto stratificato nell’immaginario collettivo fino a sfiorare la definizione di archetipo?
In aggiunta, questa storia non presenta né date né elementi che la collochino in un momento specifico della serie (divenuta ormai a-temporale in ogni caso), e può quindi essere avvenuta anche dieci o più anni fa: il mutamento (declino?) di Martin Mystère ha infatti origini ormai antiche, e anche se per molti anni ci si è affannati a ignorarlo o a smentirlo, I colori impossibili è stata configurata proprio per confermarlo definitivamente. Se vi serve un precedente di storie di Martin Mystère collocate ben prima della data di uscita, vi basti Martin Mystère n. 100, capostipite di questo filone: uscito nel 1990, è ambientato dichiaratamente un anno prima.
Svelata la metafora e il significato più profondo, da pietra miliare (tombale?) retroattiva, torniamo quindi alla motivazione della decisione annunciata all’inizio: siccome ormai la consistenza interna della serie (trattasi della famigerata continuità; tutti gli altri usi di questo termine, anche e soprattutto in inglese da parte di chi ha dimenticato l'italiano, sono errati) è diventata relativa e quindi irrilevante, dato che può essere disneyanamente rimaneggiata, cancellata, riscritta, travisata, calpestata e ignorata a piacere. Ne consegue che non ha più senso portare avanti il discorso di questo blog, delle sue recensioni contestualizzate nella coerenza della mytologia globale della serie, dell’attenzione alla filosofia e poetica e culltura letteraria Castelliana (alla fine, hanno avuto successo i tentativi di snaturarle e negarle da parte di “critici” e autori infiltrati), e dei fumetti di Get a Life!, che ricucendo gli strappi presunti, li trasformano nelle basi per capitoli narrativi inediti che riconducano tutto a una narrativa globale, organica e coerente (che non esiste più per scelta esplicita).
Si può pensare di continuare a seguire solamente gli autori che finora si sono impegnati a portare avanti un discorso di coerenza e continuità della serie di Martin Mystère, ma così facendo, a causa degli interventi redazionali, che a volte sembrano voler portare avanti un arco narrativo "nascosto" che unisca albi di diversi autori "mercenari", si rischia di restare invischiati in una rete narrativa di qualità opinabile, che comprometterebbe anche il godimento dell'opera selezionata dei suddetti autori validi. Si è vista una potenziale avvisaglia del genere in Fantasmagoria, che sembra proprio il manifesto di questa infelice gestione d'insieme. C'è infatti un'idea di trama che sembra pensata per compromettere il discorso generale dell'universo mysteriano, e cioè
l'insensatezza del meccanismo "elettromagico" di turno, che non si limita all'arbitrarietà di agire sulla psiche o di far viaggiare nel tempo a seconda della convenienza narrativa, ma calpesta anche le regole
del viaggio nel tempo stabilite da Alfredo Castelli, che ha sempre usato
questo elemento con estrema parsimonia e accortezza, e che Vincenzo
Beretta e Carlo Recagno avevano leggermente ampliato, ma utilizzando
elementi cruciali che il suddetto albo ha bellamente ignorato (non si sa
se per impreparazione o per scelta). Da questa base, caritatevolmente definibile come traballante, si arriva al "colpo di scena" del finale, dove un giovane somigliantissimo a Martin Mystère (ma non imparentato) decide di punto in bianco e immotivatamente di andarsene dal nostro presente per vivere nella Francia del 1700, lasciandoci il sospetto che gli si voglia affibbiare il ruolo crono-paradossale di antenato di Remì D'Aix e quindi di Cigale; ma la sequenza è gestita così male che non si riesce a comprendere se si tratta di un istrionismo narrativo o di un effettivo e deliberato frammento di progetto più ampio, foriero di futuri colpi di scena sulla genealogia di Martin Mystère. Inevitabilmente, il seguito di una vicenda del genere, per quanto ben scritto da autori validi, finirebbe per essere minato alle fondamenta proprio dall'implausibilità delle premesse.
L'arte
Immancabilmente, il reparto artistico coinvolge i disegnatori “storici”, da Alessandrini a Torti, più gli arrivi recenti di Grimaldi e Orlandi. I primi due sono veterani, e se hanno il tempo necessario, sfornano tavole solide e affidabili, sebbene non più ispirate ed evocative come un tempo. Torti, in particolare, dopo anni di Speciali sempre più graficamente caotici, ha recuperato parecchi punti, e la colorazione funziona molto bene sulle sue tavole, arricchendole e complementandole in modo sorprendente. Grimaldi beneficia del colore, che riempie i suoi sfondi vuoti. Orlandi, fotorealistico e modernizzante, fa un po’ a pugni con una sequenza storica che avrebbe richiesto uno stile d’epoca più adatto alle vicende del Docteur Mystere (nota a margine: il tizio dipinto di magenta, nella prima vignetta in cui appare, sembri quasi un pupazzetto).
Il romanzo
Nello stesso albo si conclude Zona Y di Andrea Carlo Cappi, autore da sempre molto interessato alle radici del personaggio di Martin Mystère e alla costruzione di intrecci elaborati che si radicano nel suo glorioso passato. Nel romanzo precedente, Il potere del falco, Cappi aveva spaziato nella carriera di Martin Mystère, da prima del 1984 a oggi, lasciandoci infine con domande senza risposta sull’origine e lo scopo delle statuette egizie, in classico stile mysteriano (e quindi, come detto in precedenza, fornendo le basi per stimolanti speculazioni). Questa volta, invece, il capitolo finale del suo romanzo tira tutte le fila della narrazione, rivelando con cura maniacale i retroscena che hanno portato un’intelligenza artificiale muviana, fuggita da un laboratorio che stava analizzando tecnologie perdute, a divenire un magnate dell’informatica e della tecnologia (Cappi ci sta dicendo qualcosa su Gates, Jobs e amici?). C’è persino spazio per affrontare una svista del precedente romanzo, e cioè l’esistenza di un libro scritto da Martin Mystère e pubblicato prima del suo primo libro secondo la cronologia ufficiale (è un'incongruenza che avevamo segnalato proprio noi, insieme a una possibile soluzione che Cappi ha rielaborato e inserito nella storia).
Ma,
come si evince dai desolanti commenti della comunità online, è quasi inutile produrre
storia di questo livello. Infatti, il lettore medio di Martin Mystère odia la
letteratura e i romanzi. Vuole le vignette disegnate, e manco legge le rubriche e i dato del colophon, altrimenti ha schifo e si sdegna.
Esatto, è così: stiamo parlando di lettori che si dichiarano appassionati della serie creata da Alfredo Castelli, cioè un autore con profonde radici letterarie, ci ha da sempre attinto nella saga di Martin Mystère, per realizzare alcuni
dei suoi momenti più affascinanti. Castelli, colui che propose un suo finale de
Il mistero di Edwin Drood di Charles Dickens ne Il ritorno di Jaspar
(Martin Mystère nn. 77-79). Castelli, colui che da Il pendolo di
Foucault di Umberto Eco trasse l’ispirazione per il titanico impianto
narrativo che ebbe inizio ne La setta dell’assassino (Martin Mystère nn.
88-90) e che si dipana ancora oggi. Castelli, che lesse e digerì la Teosofia di Helena Blavatsky
per costruire il mito mysteriano di Agarthi e Kut Humi. Castelli, che insieme a
Roberto Roda diede vita a Roncisvalle!, tutta incentrata sulla letteratura
de paladini di Carlo Magno e sugli studi (scritti) dello stesso Rodi. Castelli,
che scoprì la narrativa popolare ottocentesca di Paul d’Ivoi e di Paul Féval,
per dare origine ai personaggi di Docteur Mystère e di Cigale, radicando la
genealogia di Martin Mystére nel mystero e nell’universo di Wold Newton. Ai
lettori di Castelli, la forma del romanzo a puntate (il fulcro dell’ispirazione
castelliana) e quindi della rivista antologica con diverse forme di narrazione
(altro vanto della carriera di Castelli), fa schifo: costantemente zitti su
tutti i contenuti degli albi più mediocri, diventano improvvisamente chiassosi
quando devono esprimere il loro sdegno e stracciarsi le vesti per la presenza
del romanzo in appendice all’albo mensile di una testata che esiste proprio perché sono
esistiti i romanzi popolari. Come si è giunti, per un personaggio come Martin
Mystère, a creare una comunità che ne detesta le caratteristiche fondanti, e
neanche ne è consapevole? Come già dicevamo, forse è il caso di porsi qualche domanda sulla scarsa
lungimiranza della direzione editoriale dell’ultimo decennio? E che senso ha un blog come il nostro, per una comunità largamente popolata da interessi diametralmente opposti all'approfondimento e alla riflessione?
Bonelli Kids
Alfredo Castelli è nuovamente protagonista e causa delle umoristiche sventure di Martin Mystère bambino. Non è proprio una striscia celebrativa, ma è un simpatico tributo alla carriera e al talento del maestro.
Zio Boris
Coerentemente con il tema dell’albo, anche Zio Boris è a colori e parla di colori, introducendo la spaventosa figura dell’armocromista nel fumetto dell’orrore.
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