Dylan Dog Color Fest 12 - Eroi (b): Incubo impossibile
Storia di Luigi Mignacco e Alfredo Castelli
Arte di Luigi Piccatto e Renato
Riccio
Colori: Overdrive Studio
A cura di Cristian Di Biase
Premessa
Da quasi un lustro, ormai, il fan di
Martin Mystère è abituato ad attendere 9 uscite all'anno (6 bimestrali +
Speciale, Almanacco e Storie da Altrove), dato che il Maxi e il Gigante sono
defunti rispettivamente nel 2008 e nel 2009. Da allora sono state prodotte
anche 4 storie brevi e un racconto in prosa riservato a pochi eletti (più il
secondo romanzo di Carlo Andrea Cappi, appena uscito), ma a saziare il
mysteriano hanno provveduto soprattutto quelle che nell'Indice Analitico 2002
erano state indicate come "Varie", ovvero le apparizioni estemporanee
degli elementi mysteriani su altre testate. Nathan Never e Zagor avevano
assorbito il mondo di Mystère già negli anni 1990 e col passare del tempo hanno
aumentato il numero di rimandi e citazioni (addirittura Zagor ne ha
approfittato per costruire una vera e propria saga, che di fatto è uno spin off
di MM e di cui parleremo in un prossimo articolo), ma anche Dylan Dog, di tanto
in tanto non si è lasciato sfuggire l'occasione per una qualche allusione al
BVZM (nel 2013 si è ricordato di Martin in due occasioni).
Questo preambolo per dire che, oggi,
qualunque albo in più targato Mystère fa brodo per il mysteriano, per cui il Dylan
Dog Color Fest nr. 12, tutto dedicato ai team-up bonelliani, non può di
certo passare inosservato. Tanto più che la sua stessa esistenza basta a
riprendere una non-collana giacente immobile da ben tredici anni: stiamo
parlando dei Team-up veri e propri (i "Martin Mystère &
..."), albi appositamente realizzati per far incontrare due testate
differenti e pubblicati come one-shots. Non comparivano dal lontano
2001, quando il secondo "Martin Mystère & Nathan Never" (Il
segreto di Altrove) aveva chiuso un ciclo iniziato il decennio prima. I
gusti, e la volontà, di Sergio Bonelli erano ben noti: i team-up
dovevano essere il più possibile evitati, al punto che due di essi, inediti e
già delineati, erano poi stati costretti alla ritirata sulle testate di
partenza. Stiamo parlando della famosa “Scure incantata” (2002), che
trasforma Zagor in Za-Te-Nay, e dei “Misteri di Londra” (2004) di
Dampyr, ove compare un indagatore dell'incubo londinese che non è Dylan Dog.
Oggi il ritorno degli incontri
ufficiali fra protagonisti di serie differenti è una certezza (tanto che per il
futuro è già programmato un crossover tra DD & Dampyr), ma per
riabituare il lettore a ciò che per i suoi colleghi statunitensi è banale è
necessario procedere per gradi. Ecco dunque quattro brevi divertissements
che vedono Dylan agire, con modalità non epiche ma più o meno strampalate, con
quattro miti del fumetto bonelliano: Jerry Drake alias Mister No, Napoleone,
Nathan Never e ovviamente Martin Mystère.
Storia
Inizialmente accreditata ai soli
Mignacco e Piccatto, “Incubo impossibile” è la storia che vede il
ritorno di quello che forse è IL team-up italiano per definizione, ovvero Dylan
Dog & Martin Mystère. Agli autori sono poi stati aggiunti Castelli ai testi
e Riccio ai disegni, forse per via di rimaneggiamenti resisi necessari dopo il
recente cambio al vertice dylaniato (dal 2013 il curatore è Roberto Recchioni e
la storia era in lavorazione già prima). Ora non staremo qui a chiederci cosa
abbia scritto Mignacco e cosa abbia aggiunto Castelli, altrimenti si ritorna a “La minaccia di Allagalla”
(Martin Mystère n. 329); possiamo solamente dire che
l'avventura imbastita è sicuramente una delusione per quanti si aspettavano
qualcosa con un minimo taglio epico o comunque serio. Può invece incontrare
qualche apprezzamento da parte di chi aveva capito che, in sole 32 pagine, non
sarebbe stato possibile elaborare nulla più di un esercizio di stile. Perché “Incubo
impossibile” è proprio questo: un giochino, o, per essere più precisi, una
parodia. Parodia di Dylan Dog, com'è ovvio, ma soprattutto di Martin Mystère.
Dov'è il problema? È che, una volta
accettato questo, segue l’inevitabile pizzico di delusione nel vedere che le
caratteristiche uniche di Martin Mystère finiscono per essere ridicolizzate,
invece che valorizzate, sprecando l’occasione di renderlo interessante agli
occhi di un pubblico che abitualmente lo ignora. Dopotutto, il Color Fest
è anche (soprattutto?) una vetrina in cui esporre personaggi Bonelli meno noti
al vastissimo pubblico di una delle punte della casa editrice.
Pur non facendo peggio degli altri
tre Eroi in gioco, Martin non riesce a farsi conoscere come è veramente: il
detective dell'impossibile non dovrebbe essere un Indiana Jones che scova
manufatti inventati in generiche piramidi, manufatti che per puro caso fanno
"cose mistiche" (per citare Vincenzo Beretta), come la sfera che
permette a Dylan e Martin di scambiare le proprie coscienze. Quella è la
versione banale del personaggio, ed è ormai stata vista in svariate occasioni
"celebrative", così come ormai le versioni fanservice di Java
(che dice "mghr" e mena pugni), di Altrove deus ex machina,
degli Uomini in Nero cattivissimi e pronti ad essere picchiati e di Diana
"bella dell'eroe" non sono certo quelle più fresche possibili. Si
poteva sfruttare lo spazio a disposizione per fare qualcosa di diverso dal
solito.
Tuttavia, i dialoghi si rivelano
abbastanza spigliati e qua e là molto divertenti (Groucho è in gran forma,
d'altronde sia Mignacco che Castelli ai tempi d'oro hanno dimostrato di saperlo
maneggiare con profitto), e con i loro sprazzi di lucida follia
metafumettistica fanno dimenticare la pressoché inesistenza della trama. Male
però il finale, con la scena sentimentale, ovviamente parodia del
sentimentalismo a tutti i costi Dylaniato ma in cui Diana è proprio pesce fuor
d'acqua, e male il cazzottone dell'ultima tavola, decisamente gratuito.
Arte
Lo stile di Luigi Piccato è ormai da
svariati anni eccessivamente stilizzato e squadrato. In questo caso è però
coadiuvato da Renato Riccio: il risultato è complessivamente gradevole, per
merito anche della vivace colorazione. Martin è disegnato meglio qui che in “Cagliostro!”
(Dylan Dog n. 18), l'unico precedente di Piccatto col BVZM. Bene o comunque
passabili anche i comprimari di ambo le serie, come Tower, Diana, Lord Wells e
madame Trelkovski, male invece Java, spesso trasformato involontariamente (a
meno che non sia un effetto voluto anche questo) in un Incredibile Hulk con la
gobba.
La copertina di Sara Pichelli offre
un Martin molto serioso, completamente antitetico al tono della storia che lo
ospita. Il disegno, preso a sé, è comunque di gradevole fattura, in particolar
modo nello sguardo del professore.
Le altre storie
Brevi cenni alle altre tre storie,
che non riguardano Martin.
“Le radici del Male” (Masiero/Civitelli, col. Luca
Bertelè) vede finalmente agire insieme Dylan e Jerry Drake, dopo che i due si
erano sfiorati (e forse incontrati, ma non è certo) nella celebre “Ananga!”
(Dylan Dog nn. 133-134), quando era stato proprio Martin Mystère a metterli
in contatto. Ananga, lo spirito del Male amazzonico, era stato protagonista
della prima storia sclaviana con Mister No e si era poi manifestato a Londra,
scisso in due metà (positiva e negativa) nella sopracitata avventura
dylandoghiana. Non poteva che essere lui il casus belli capace di far
interagire i due personaggi. L'idea che Masiero s'inventa per dare il via alla
vicenda (il copycat) non è granché, almeno finché non ci si accorge che
nel richiamare le due storie di Sclavi l'autore si è ricollegato all'intero corpus
sclaviano, e in particolare alla concezione del Male che Sclavi aveva anche
esemplificato nella storia omonima (Dylan Dog n. 51). Il Male è qualcosa
di immanente e invincibile, giacché è sempre legato al Bene e ha le sue radici
nell'essere umano. In questo senso la vignetta finale racchiude perfettamente
il senso della storia (che a detta di chi scrive è la migliore dell'albo, anche
per via del semplice e misurato riutilizzo dei comprimari), oltre ad essere una
citazione-omaggio alle vignette finali di ben due delle storie misternoiane
firmate Sclavi, e precisamente “La casa di Satana” (Mister No nn. 104-105)
e “La notte dei mostri” (Mister No nn. 138-139), non a caso due storie
dai connotati altrettanto horrorifici (ed è noto cosa fosse l'horror per lo
Sclavi di quei tempi). Come se ciò non bastasse, la rivelazione delle origini
dell'idolo di Ananga fornisce anche un tocco di continuità finora inedita.
Completamente diverse per
impostazione le altre due avventure. “Buggy” (di Ambrosini/Bacilieri,
col. Erika Bendazzoli) rimette in scena Napoleone, assente dalla chiusura della
sua serie nel remoto 2005. E, a dire il vero, è una vera storia breve di
Napoleone: Dylan Dog vi compare poco e senza un vero motivo concreto, se non
l'occasione fanservice di vedere Allegra invaghirsi di lui. Un
team-up poco team-up, insomma. D'altro canto era lecito aspettarselo: “Le spoglie
del guerriero” (Napoleone n.42), che vedeva come ospite un Dylan Dog di
fantasia, aveva già chiarito la posizione di Ambrosini in merito a questo tipo
di trovate.
“Demoni e silicio” (Rigamonti/Calcaterra, col. Fabio
D'Auria) è invece la storia più improbabile del lotto. Non tanto perché, con la
magia tecnomante in gioco, l'incredulità deve essere sospesa del tutto, quanto
per lo stile adottato dai tre autori, che fanno sembrare questa storia un
prodotto sfornato nella prima metà degli anni 1990, quando cyberspazio,
personaggi plastici molto spesso in posa da eroe (in un paio di punti
Calcaterra sembra Castellini), narrazione "marvelliana" di trame
altrimenti terribili e pillole di riflessioni esistenziali erano la norma.
Tutti elementi che troviamo gradevoli, ma che ci portano alle stesse
riflessioni cui ci aveva condotto il Buon Vecchio Zio Marty (che con Nathan ha
molti punti d'incontro): perché è così difficile per le nostre serie italiane
preferite presentarsi senza prendersi in giro o rifarsi ad un passato che non
c'è più?
Il
comparto grafico dei tre shorts risulta efficace e in grado di ricreare le
atmosfere delle serie originali. Questo vale soprattutto per Bacilieri e
Civitelli, mentre, come sopra detto, l'avventura di Nathan Never si rifà ad un
contesto, quello dei primi anni '90, ormai estinto, ma comunque ben ricostruito
da un convincente Calcaterra.
Se ne discute sul forum di Agarthi.
Se ne discute sul forum di Agarthi.
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