Arte di Giancarlo Alessandrini.
Dopo tanti anni, torna il Martin Mystère per adulti di Vincenzo Beretta, ed è come se si ripartisse da dove ci eravamo fermati.
Per noi dilettanti della parola scritta, è praticamente impossibile stendere una recensione (per cui la chiameremo “commento a caldo”) che possa rendere il giusto merito a un’opera così intensa e potente, capace di svilupparsi contemporaneamente lungo le più importanti e vere direttrici dell’universo Mysteriano, dove l’aggettivo in questione non indica solo l’amore per i mysteri, ma anche e soprattutto un modo di essere e di pensare, capace di trasformare l’enigma impossibile in una metafora che porti una critica alla società e ai modi di esistere contemporanei. Certo, sembra di parlare dell’opera di Tiziano Sclavi su Dylan Dog, che metteva alla berlina l’edonismo contemporaneo, e forse non è un caso che Beretta abbia voluto che in questo albo Martin guidasse un modello molto particolare di auto a noleggio, targata 665.
Ma non è forse anche vero che, sin dagli inizi della saga Mysteriana, Alfredo Castelli rifletteva su come l’autodistruzione di Atlantide fosse un monito per gli errori che la società moderna stava tornando a commettere diecimila anni dopo? E I signori della guerra non descriveva forse le elite autoreferenziali e arroganti che sono state generate da decenni di capitalismo di relazione? E con storie come L’oceano dei veleni oppure Roncisvalle, Castelli non puntava forse il dito contro il dissennato e sistematico abuso dell’ambiente in nome del profitto, e a discapito della salute di chi vi abita?
Quest’ultimo argomento, che si potrebbe definire riduttivamente come ambientalista, forse non rientra nell’ambito della critica sociale appena citata, ma sicuramente è una componente storica di Martin Mystère che, finalmente, ritorna a farsi sentire, e soprattutto lo fa con l’autorevolezza, la forza e la convinzione di un tempo.
Inizialmente intitolato Alle foreste della follia, presumibilmente in omaggio alle montagne del romanzo breve di H.P. Lovecraft, L’albero filosofico è un albo in cui si parla di cose vere e terribili, con competenza e sobrietà, con una sorta di dignitoso pudore che rispetta la sofferenza altrui e che motiva nel modo più nobile il desiderio di conoscere, distaccandosi nettamente dal sensazionalismo facilone e dalla morbosità senza ritegno che il modello reality show ha ormai reso dominante.
Si tracciano connessioni tra psicanalisi, mitologia e alchimia (con un sottile richiamo all’analogo approccio per il concetto dei Tarocchi, già visto nella serie). Si riflette sui due volti della scienza (e della chimica) applicata alla vita dell'uomo con lo scopo apparente di migliorarla, ma col veleno nascosto della prevalenza del profitto a ogni costo.
Si citano le suggestioni di "recenti" contributi all'immaginario fantastico collettivo, che vanno da quelle esplicite (i film A Beautiful Mind, Labyrinth, il fumetto di Dylan Dog) a quelle solamente sfiorate a livello visivo/iconografico: la terrificante Clarisse, nella sala dei colloqui dell’istituto psichiatrico criminale, non ci ricorda forse Samara Morgan, la sinistra bambina del film The Ring (versione USA)? E l’ipotizzata evocazione dell’Altro da parte di Clarisse, tramite un patto scellerato, non è forse analoga al metodo con cui i coniugi Morgan concepirono la bambina in quello stesso film? E’ una citazione/influenza che non serve per plagiare la trama del film, ma per costruire qualcosa di completamente diverso, che però risuona a livello iconografico, come se gli autori di entrambe le opere avessero, anche loro, scorto qualcosa che non a tutti è dato vedere.
Qualcosa come "Gli Altri", emersi da un folklore non solo indiano che, come l'intero albo, risuona a sua volta con l'ossatura dell'universo di Martin Mystère, in quanto attinge agli elementi archetipi e alle tematiche fondamentali della mytologia che Alfredo Castelli e seguaci hanno costruito.
(E’ anche inevitabile pensare ad altre creature d’ombra, come quelle di Con la coda dell'occhio oppure Coloro che vivono di morte, che ci riporta proprio alla mitologia indiana).
Lettura intensa, travolgente, che ci avviluppa e ci impedisce di abbandonarla, trascinandoci sempre più a fondo in un intricato universo fittizio che è tanto fantastico (gli "Altri") quando dolorosamente realistico, è anche un labirinto da cui non si vorrebbe mai uscire, perché è una narrazione che pone una sfida al nostro intelletto, e parla all'umanità che troppi di noi hanno dimenticato, in nome dell'individualismo, dell’egoismo, del successo, della fama o del benessere (oppure, più tristemente, non ne siamo mai stati dotati).
E’ un romanzo dell'orrore, un giallo psichiatrico, un ecothriller, un’opera letteraria che a un certo punto sembra citare la visione della natura di Giacomo Leopardi, un continuo gioco di inganni e di specchi (Alina va da “tossicomane sperimentale” a emula/alleata di Clarisse, passando per “vera malvagia che attira Martin in trappola"). Una fusione di generi narrativi, i cui elementi si rimescolano costantemente in un caleidoscopio che, solo alla fine della lettura, ci mostra l’immagine definitiva, quella concepita dall’autore.
E’ un’immagine terribile e brutale, dolorosa e sconfortante, e anche per questo ci colpisce in modo paradossalmente positivo, perché sentiamo che, in quanto tale, essa è la verità, e non una conclusione consolatoria e all’acqua di rose dove tutto si risolve per il meglio.
E dopo aver terminato l’albo, siccome vorremmo che non finisse mai e che Beretta continuasse a raccontare di questa vicenda, ci chiediamo: è davvero quella compresa infine da Martin (e poi da Alina), la spiegazione unica e assoluta dell’intera vicenda?
Sempre in omaggio all’inconoscibilità della natura e del cosmo che Sclavi ha definito in Dylan Dog, Beretta dissemina elementi non del tutto risolti: la ricomparsa dei testi della tesi di laurea prima, e dei disegni infantili poi, tutti di Clarisse, avviene proprio al momento giusto, ma avviene anche con modalità che sfiorano l’arcano (ma ricordiamoci che Beretta ci dice: sincronicità, intervento divino, fate voi). E’ un caso, che la tesi compaia tra le radici della betulla, come smosse di fresco, oppure che i disegni siano invece nascosti tra le radici che sprofondano nella cantina della presunta casa abbandonata dell’alchimista D’Amberle? In entrambi i casi, sembra quasi che un’entità non ostile (la natura? Gli alberi? La foresta?) voglia aiutare Martin a comprendere la verità sul sentiero creato da Clarisse.
E ancora: l’artista Izergil, durante la vicenda, ha realizzato immagini collegabili alla tragedia e alle ossessioni di Clarisse, apparentemente senza rendersene conto, dato che non ne parla mai. Si è trattato nuovamente di coincidenze, oppure nella follia di Clarisse esiste qualcosa di oggettivo, che anche altre persone possono percepire? Oppure Izergil ha banalmente percepito e illustrato proprio le idee del tutto fittizie che vorticano nella testa di Clarisse? Se Alina è dotata di un talento empatico verso la vegetazione, perché anche Izergil non potrebbe avere un talento simile? (Ci chiediamo comunque come possa tirare a campare, con quei disegni bruttini!)
Il confine tra razionalità e fantastico resta sempre labile, ed è impossibile capire quando il secondo sconfini nella prima, anche grazie all’arte di un Giancarlo Alessandrini particolarmente ispirato e partecipe (con tavole apparentemente poco soggette all'abituale sequenza di correzioni e ripensamenti della redazione).
In sintonia con la narrazione, Alessandrini propone immagini e atmosfere tenebrose, oniriche, nebbiose, surreali, possenti, realistiche, dolenti. La sua regia visiva esalta tutti i toni della poliedrica narrazione di Beretta, sia che si tratti di narrare fiabe con "dylandoghiane presenze” terrificanti, sia che si tratti di dare forza visiva a dialoghi già di per sé intensi e potenti. E’ il caso dell’incontro con Sarah, gestito in un modo squisitamente cinematografico, che esalta il dramma inespresso della migliore amica di Clarisse, ma è anche il caso delle rivelazioni più terribili (il suicidio e lo stupro incestuoso), che Beretta non esplicita verbalmente, ma affida all’arte di Alessandrini, generando un impatto ancora più forte sul lettore, il quale diviene in quei momenti partecipe della vicenda in prima persona.
Si potrebbe andare avanti a sottolineare allo stesso modo ogni preziosa sequenza di questo albo, ma finiremmo solo col riassumerlo ancor più di quanto fatto sinora.
Chiudiamo quindi con un’ultima riflessione sull’uso di un personaggio, seguita da qualche osservazione spicciola.
Come sempre, Beretta scrive una genuina Diana Lombard, capace di essere intelligentemente matura e umanamente fallibile, nel suo dilemma tra il non voler sollevare l’ambigua questione del reverendo Norman e l’esigenza di svolgere fino in fondo un lavoro che per lei è una missione. Questa nobiltà d’intenti, che si scontra con la prosaicità della vita, si riflette anche in Martin, mostrandoci ancora una volta come e perché queste due persone siano fatte l’una per l’altra.
E questa fedeltà al Martin Mystére di Alfredo Castelli non può che farci pensare a un’altra scelta che Beretta ha compiuto, e cioè quella di mettere in scena un Martin non protagonista e non risolutorio, ma spettatore quanto il lettore. E’ un Martin coerente con quello classico, in quanto capace di cogliere comunque la chiave della tragedia di Clarisse, giungendo a comprenderla più a fondo di quanto avessero fatto persino Sarah e Alina, ma resta comunque un attore che non riesce a cambiare l’esito della tragedia, o a portare un finale salvifico.
Per finire, le osservazioni spicciole.
A pagina 41, ultima vignetta: Alina riceva da Izergil una risposta insensata.
A pagina 133, Alfredo Castelli compare nella vignetta in cui si parla di una professione che conduce a ritrovarsi vecchi, poveri e vestiti di stracci. Su Facebook, Beretta ha spiegato che, nella tavola originale, Martin diceva “Mi ricorda un’altra professione”, alludendo ovviamente a quella dell’autore di fumetti. Castelli ha poi cambiato la battuta.
A pagina 133, compare lo stesso Vincenzo Beretta (l’autore di romanzi che adatta al proprio gusto i personaggi storici).
Per gli amanti del paradosso, aggiungiamo ancora una nota (pur avendo dichiarato il contrario): se gli “Altri” sono fiabe locali e quindi non esistono, se la teoria alchemica di D’Amberle è stata costruita sulle allucinazioni di Clarisse e quindi è fasulla, se gli eventi casuali sono spiegabili con la sincronicità… ebbene, allora in questo albo il mystero convenzionale (quello che deriva da arcano, paranormale, misticismo, scienze impossibili eccetera) non esiste, in quanto la vicenda rientra tuta nell’ambito della scienza (chimica, psichiatria, neurologia), e quindi ciò per cui ci siamo tanto esaltati è un albo “alla CICAP”: esattamente il tipo di storia per cui abbiamo avuto solo parole negative in recensioni abbastanza recenti [a ragion veduta, vista la forzatura fallimentare di far coesistere lo scetticismo di Martin Mystère, le sue esperienze impossibili, e l'esigenza di attirare lettori sfruttando argomenti mysteriosi per poi dimenticarsi di smentirli, come accade anni dopo con l'alchimia e la fusione a freddo].
Disegni di Rodolfo Torti.
Com’è
noto, la nuova formula dello Speciale di Martin Mystère (che
ultimamente sembrava in perenne ricerca di una nuova fisionomia) è
incentrata sulle vicende universitarie della gioventù del
protagonista, possibilmente con la presenza di organizzazioni segrete
che non rivelano il proprio nome.
Al
terzo appuntamento , ci accorgiamo che Carlo Recagno ha costruito,
con capacità di pianificazione a lungo termine,
un’ambientazione e un cast da serie regolare, che non hanno nulla da invidiare alla versione animata.
Chris Carter, Vincent von Hansen (col suo mistero dell'humpah
che verrà svelato solo molti anni dopo), il professor McQuillan,
Mark Mystère e ora persino (attenzione allo spoiler)
Finnegan.
E'
un’operazione che nasce dalla capacità di fare tesoro della ricca
messe di elementi disseminati nella serie da Alfredo Castelli nel
corso degli anni. E naturalmente non ci si ferma ai personaggi o alle
grandi trame già note (come la faccenda del sodalizio tra Mark
Mystère e gli Uomini in Nero, che promette ora di rivelare nuove
verità). Ci sono anche molti altri dettagli, magari
considerati “minori” e che sfuggono ai più, ma che vengono qui
raccolti e sfruttati a dovere con il solito duplice scopo: il primo è
costruire una storia coerente e corposa; il secondo è premiare gli appassionati (quelli che si ricordano di questi dettagli). Ecco quindi il
piccolo Martin collezionista di ritagli di giornale con articoli
mysteriosi (dal famoso Fuga da Skynet - Mister No Special n.8), l'esortazione ricca
di presagi ad «andare al M.I.T.», ma anche il bar con quel
caratteristico juke box che un brutto giorno si guasterà (Scritto
nel destino
e Ricordo
senza fine).
Ne scaturisce una
storia che è un'impeccabile girandola di trovate
e rivelazioni, capaci di tenere incollato il lettore dalla prima
all'ultima pagina.
Fresca,
vivace, ironica e dinamica, la trama non concede un attimo di tregua
al lettore né si arena in situazioni di stanca. Gli elementi
d'obbligo sono tutti presenti e ben bilanciati: l'umorismo è
argutamente logico (la reazione di Martin e Chris alla proposta di un
progetto nuovo da parte di von Hansen) ed evita di debordare
rovinando la trama; il mystero è sia mytologico
(quattrocento milioni di anni fa? E quale civiltà...?) sia storico
(la ‘campana di Harvard’, giustamente in tema) sia contemporaneo
(gli UiN e il complotto di Summer); l'azione riceve la sua giusta
attenzione (e resta funzionale alla trama); la continuità è
utilizzata con accortezza, e diventa uno strumento per sviluppare
la storia invece che un fardello di cui ci si deve sbarazzare a colpi
di dilettantesche scorciatoie come le retcon;
e il fatto che non venga mai apertamente citata tramite didascalie la
rende ancora più godibile per i lettori ‘che sanno’.
I
dialoghi sembrano leggermente più elaborati rispetto al solito stile
di Recagno, forse per evidenziare la funzione svolta dal MM adulto,
che è un narratore intermedio (per intenderci, nello stile di Adso
da Melk che racconta le vicende de Il
nome della rosa)
e che dichiaratamente elabora la narrazione a modo suo. I personaggi
vengono analizzati con sottigliezza (Martin che si rende conto di
cominciare a ragionare come Mark) e i loro rapporti si evolvono
(ancora, Martin che finalmente riesce a parlare col padre).
L'atmosfera
universitaria è resa molto bene, e gli inevitabili intrighi amorosi,
invece che degenerare in riempitivi stucchevoli, sono funzionali alla
trama e al personaggio stesso: infatti, il MM adulto si concede una
pausa davvero tipica di lui per esplorare le possibili alternative
della sua reazione al ‘colpo di scena sentimentale’ (e finisce
così per ammiccare all'albetto allegato).
La
connotazione umoristica è ulteriormente amplificata dal marchio
mysteriano
della citazione ‘colta’ che appaga i già citati lettori ‘che
sanno’. Ecco quindi che Chris flirta con Betty e Veronica: sarà un
caso? Mica tanto, visto che poi compaiono Archie e Reggie e Jughead,
identici nel nome e nell'aspetto agli scolari di Riverdale degli
Archie
Comics.
È finita qui? No, perché c'è pure Josie di Josie
And The Pussycats
(ma non c'è Alexandra, che peccato!) e pare di riconoscere
persino un possibile Alpha Alpha (ma forse qui esageriamo).
Un'altra
citazione non da poco, anche se in questo caso non c'è nulla da
ridere, è rappresentata dal ritrovamento di una campana che è in
realtà la chiave per attivare un'antichissima astronave. E per
fortuna che non è di bronzo: qualcuno deve aver visto troppi
episodi di Kotesushin
Jeeg.
In
conclusione, questo Speciale è un’eccellente lettura estiva che
unisce al tradizionale divertimento la capacità (e il piacere!) di
costruire per il futuro. E dire che è una storia retrospettiva e,
come ci viene fatto notare da Martin Mystère stesso parlando di
Chris Tower in ospedale, non dovrebbe riservarci molte sorprese,
visto che sappiamo già che fine fanno i personaggi. Sarà che vedere
chi muore ammazzato alla fine dell'albo non è necessariamente la quintessenza dell'intrattenimento intelligente che interessa al lettore-tipo di MM?
Albetto allegato – Martin Mystère presenta:
Numeri immaginati
Soggetto
e sceneggiatura di Alfredo Castelli
Arte di Alfredo Orlandi, Lucio Filippucci e Antonio Sforza.
Se
l'albo principale è eccellente, l'albetto allegato è addirittura
mind-blowing,
per dirla con gli inglesi. In poche parole: la Biblioteca
di Babele
di Borges rielaborata in chiave informatica, matematica e fisica.
Magari
ai più questa presentazione potrà suonare come una noia mortale,
foriera di una tempesta di sbadigli, ma per il già citato
lettore-tipo questo albetto è un ritorno agli antichi fasti della
serie: si tratta infatti di una delle più classiche delle
speculazioni intellettuali di Alfredo Castelli, che qui è in forma
smagliante. Una di quelle storie senza tempo, capaci di essere
attuali ogni volta che vengono rilette, ma anche e soprattutto di
trascinare il lettore nel complicato meccanismo di invenzioni,
riflessioni ed enigmi che lo scrittore ha imbastito appositamente per
lui: la classica sfida che il lettore-tipo attende con ansia,
insomma.
Gli
immancabili Angie, Dee e Kelly sono ovviamente la chiave per questa
ennesima sarabanda di mondi possibili e impossibili, conoscenza e
cultura non fini a loro stesse, paradossi, enigmi impossibili e
risoluzioni ironiche. Già, perché nonostante questi albetti
allegati siano a tema libero ed esistano solo da pochi anni, anche
qui comincia a delinearsi una formula tradizionale!
Riprendendo
il tema delle citazioni di serie animate più o meno note, rileviamo
che The
Simpsons
viene citata da Castelli nelle introduzioni di entrambi gli albi.
Sarà
un caso? Non lo sappiamo, ma di certo il computer Monkeyshine
non può non ricordarci che il signor Burns ospita effettivamente
nella sua magione un esercito di scimmie incatenate a macchine per
scrivere, tutte freneticamente al lavoro per raggiungere l'evento
statistico della stesura casuale di un'opera di Shakespeare.
L'arte
del mostro sacro Filippucci e di Orlandi spicca in maniera notevole
anche in questo albetto, eclissando i più modesti ‘artigiani’
Sforza e Torti. Sarebbe forse il caso di invertire i rapporti e di
presentarci, fra un anno, un Speciale disegnato interamente da
Orlandi: saranno maturi i tempi per un simile cambiamento (che nelle
altre testate è all'ordine del giorno)? Ma figuriamoci: al massimo, con la serie che da tempo è il parcheggio degli artisti in disarmo per l'avanzare dell'età, a Torti succederà qualcuno tipo Giovanni Romanini.
Speciale Martin Mystére n. 29- "Gli enigmi del giovane Martin"
Luglio 2012
Testo di Carlo Recagno; disegni di Rodolfo Torti
Fermi tutti: perché nessuno ci ha avvertiti che lo Speciale di quest’anno sarebbe stato persino più celebrativo del celebrato albo “Anni 30” della serie regolare?
Dobbiamo essere sempre noi dell’enclave degli Scheletri di Cristallo a dirvi tutto?
E allora diciamolo, perché "Gli enigmi del giovane Martin" è un compendio della mytologia che negli anni è andata caratterizzando la serie di MM. Una summa mysteriana, per usare un termine familiare, delle numerose tematiche che il BVZM adulto ha affrontato nella sua carriera (o affronterà, dipende dal punto di vista). Un riassunto in forma di prefigurazione delle cose a venire per salutare il traguardo raggiunto dalla serie di Martin Mystere, che consiste nel rivelare che le caratteristiche della vita adulta del personaggio già ruotavano tutt’intorno al lui quando non era altro che un giovane nipote.
Una visione del futuro, una carrellata di presagi, un destino in nuce: qualcosa che Martin non può cogliere, ma che noi ci godiamo appieno. E, a dire il vero, anche a lui viene concesso qualcosa, alla fine della storia; è questo il motivo ultimo del particolare ruolo giocato da Chris Tower: svelare a Martin che il suo futuro era già iniziato ai tempi del college.
L'elemento celebrativo è stato incastrato nella serializzazione di una trama iniziata l’anno scorso (gli UiN che mettono gli occhi su Martin), e rispetta anche la regola del tono “leggero” dedicata agli albi estivi. Nella fusione dei due livelli narrativi, tra una goliardata e l’altra, Tower e il professor Morrow ci anticipano i temi delle numerose avventure a venire: fantasmi, vampiri, licantropi, mappe nascoste in antichi volumi (e come non ripensare a Vincent Von Hansen?), scienziati pazzi, macchine impossibili, androidi, steampunk, visitatori alieni che portano sulla Terra conoscenze e/o oggetti avveniristici, presunti personaggi della letteratura che si scopre essere esistiti davvero, eventi storici rivisitati secondo l’ottica delle pulp novel (in uno stile che ammicca anche a Storie Da Altrove).
Questo albo è un tripudio di mysterianita, dipanata in modo modesto, quasi sottovoce, ma nello stesso tempo rigoroso. Mancano solo Atlantide e Mu, di cui però si occupa complementarmente l’albetto allegato.
Ulteriori livelli che arricchiscono e completano la storia. Il tema portante sembra essere quello delle "Edisonades" di Frank Reade, che ricevono gli onori della copertina: in realtà, esso è secondario, sebbene integrante, in quanto il fulcro dell’albo è un’ulteriore espansione della vita di Martin Mystere. L’occasione per fornire ai lettori più attenti un altro nuovo segmento della storia del BVZM, incastrato nella riscoperta di una avventura giovanile mai narrata e incentrato sul percorso di crescita psicologica e maturazione emotiva di Martin.
Più di una volta abbiamo sottolineato che le storie retrospettive ideate da Recagno raccontano tipicamente una delle "prime volte" inedite del personaggio: questa volta, invece, non ne abbiamo una, ma bensì due, di queste "prime volte". E Infatti Martin Mystere compie due passi fondamentali per la sua vita.
Innanzitutto, respinge (sebbene senza saperlo) l'ideologia degli Uomini In Nero, nonostante questa sia insidiosamente presentata sotto una luce ragionevole e convincente, in un “attacco” condotto sui due livelli dell'emozione e della ragione (a cui si aggiungono la simpatia e l'autorevolezza della figura quasi paterna del professor Morrow).
Come conseguenza (e questa è la seconda “prima volta”), Martin sviluppa anche quella posizione nei confronti della tecnologia che lo porterà a viverla con curiosità, apertura mentale e voglia di sperimentare: uno dei fattori che negli anni gli permetteranno di uscire vivo dalle situazioni più disastrose
Il fatto che Martin affronti gli UiN senza saperlo, resistendo al canto di sirena che invece sedusse suo padre, aggiunge il tocco ironico alla vicenda che è tipico della serie.
A proposito degli Uomini in Nero, va sottolineata la gestione a più livelli del professor Morrow: tramite questo personaggio, si anticipa una filosofia degli UiN più articolata e consapevole, che inquadra Morrow nella (futura?) fazione delle “colombe”, in opposizione ai brutali “falchi” in azione sin da Martin Mystére n.1.
I discorsi di Morrow inquadrano l’epoca del college di Martin in un contesto politico e storico ben preciso. Ciò non stupisce, in quanto è da sempre una regola della serie di MM (che la rende diversa da tante altre): quel che stupisce, invece, è che questi discorsi stabiliscano una data senza che questa mai venga citata.
In queste storie retrospettive, l’anno dell’azione non viene mai citato, così come nella serie regolare si è smesso di insistere sull’invecchiamento del BVZM. Si tratta di due indizi della “retcon morbida” a cui si sta sottoponendo il personaggio, per interrompere il suo invecchiamento e allinearlo ai suoi colleghi Bonelliani. Martin Mystère si sposta quindi in un limbo dove gli anni non passano, ma non senza per questo tradire la tradizione che ha sempre visto Martin come spettatore critico del mondo “reale”. (Per la precisione, l’anno effettivo dovrebbe essere compreso tra il 1960 e il 1962, stando alla cronologia ricostruita da Luca Salvadei e in pubblicazione su questo blog).
Tornando al tema delle Edisonades, che si affianca alla fantascienza sociologica, all’orrore mescolato al giallo e agli altri elementi narrativi “popolari” citati in questo albo: oltre all’utilizzo a scopo celebrativo/prefigurativo, la sua presenza è anche tangibilmente significativa per il giovane Martin stesso, in quanto delinea il panorama culturale (letterario-fantastico) di cui si è imbevuta la mente di Martin nel periodo della sua formazione. Questo tema svolge quindi un triplo ruolo nella storia: quello strumentale alla trama “goliardica”, quello celebrativo (e quindi metafumettistico) e quello di formazione cognitiva del personaggio.
Il risultato è una vicenda che “parla” direttamente al lettore (la celebrazione delle tematiche della serie), sfondando il quarto muro, ma lo fa senza che i personaggi se ne accorgano (il giovane Martin effettivamente esperisce le tematiche in oggetto e non sa nulla del trentennale).
Recagno ci lancia alcuni indizi per farci capire che la trama di Mary Frances non è al centro dei suoi sforzi, suggerendo ripetutamente che la sventurata Mary è un automa in diverse occasioni, la più clamorosa delle quali è il momento in cui Betty e Veronica la definiscono "artificiale" (in grassetto) dopo che questa ha sfondato una sedia col suo peso.
Tornando al tema delle prime volte, è la prima volta che il secondo nome di Chris Tower (Francis) viene menzionato? Forse.
Di certo è la prima volta che il giovane Chris mostra certi lati del suo alter ego adulto: il sarcasmo sull’essersi perso la guida sportiva di Martin e la rispostaccia data a Veronica su quanto poco gli interessi immischiarsi in certe cose anticipano senza dubbio le sfuriate che il Direttore di Altrove riserverà a un po’ tutti i suoi collaboratori. Ancora una volta, è il futuro che si mostra attraverso le lenti del passato.
Si rivela felice anche la scelta dell’utilizzo del Chris Tower adulto, per introdurre la rievocazione di questa avventura scolastica. Il suo ruolo di voce narrante evita di ripetere/usurare lo schema degli albi precedenti, ma crea anche una simmetria con chiusura simbolica del cerchio.
Sempre in tema di prefigurazione del futuro, il tormentone d'obbligo della gioventù di Martin Mystère ("Martin Y") si affianca ora a un altro classico: la ricerca di una adeguata esclamazione ad effetto. Dopo aver anticipato il primo incontro con gli UiN senza soluzione di continuità, riuscirà Recagno a cambiare anche la data di nascita di "diavoli dell'inferno"?
I personaggo di Riverdale (Betty, Veronica, Moose e amici degli Archie Comics) continuano a tenerci compagnia, ma non è che una delle numerose citazioni che affollano l’albo (e che vi invitiamo a completare). Tra quelle più evidenti: un Andorriano (da Star Trek) compare a pagina 1; l’Arciduca Gorgon (dalla saga di Mazinger) è a pagina 2; e con lui, molti altri personaggi che suonano familiari ma non mi riesce di mettere a fuoco (Ripley di Alien? Quantum Leaps?); Star Trek ricompare anche nel racconto di fantascienza, dove gli alieni (il cui comandante si chiama Xindi, dalla serie Star Trek: Enterprise) svolgono una missione QUINQUENNALE dagli esiti catastrofici (capovolgendo il significato e lo scopo della Federazione); l’amico di Milwaukee che non riesce a dire di avere sbagliato non è altri che Arthur “The Fonz” Fonzarelli della serie televisiva Happy Days.
Altra citazione, ma di diverso tipo, è il motto dell'Uomo Ragno riguardo al grande potere che implica grandi responsabilità: la filosofia degli UiN è capace di volgere a proprio vantaggio veramente qualunque cosa.
L'arte di Torti, immutabilmente uguale a se stessa, si trascina con la stessa fiacchezza e monotonia di sempre, sebbene questa volta il suo lavoro sugli alieni sia più che discreto (specialmente rispetto allo Speciale n. 26). Ovviamente, da lettore, non posso che pensare ci vorrebbe un ricambio di tanto in tanto, magari dando una possibilità ai numerosi talenti che si affacciano su questo mondo ogni anno (e che SONO interessati anche a MM, nonostante qualcuno lo dipinga come un fumetto geriatrico); altrettanto ovviamente, è facile prodursi in tali affermazioni senza conoscere le meccaniche interne della produzione di un fumetto.
"La minaccia dei terribili tre" (albetto allegato)
Alfredo Castelli, Carlo Recagno (testi)
Esposito Bros ("Se questa è la... sconfitta!")
Lucio Filuppucci ("La fine del mondo!")
Bruno Brindisi ("Mysterik")
Daniele Caluri ("squaletto" monopagina)
Giuseppe Palumbo (copertina di "Mysterik")
Giancarlo Alessandrini (tavole originali di Martin Mystére n. 1)
Paolo Morales (sequenze di connessione)
Esposito Bros ("Se questa è la... sconfitta!")
Lucio Filuppucci ("La fine del mondo!")
Bruno Brindisi ("Mysterik")
Daniele Caluri ("squaletto" monopagina)
Giuseppe Palumbo (copertina di "Mysterik")
Giancarlo Alessandrini (tavole originali di Martin Mystére n. 1)
Paolo Morales (sequenze di connessione)
Essendo la natura di questo albetto già spiegata dallo stesso Castelli nell'introduzione, passiamo ad analizzare direttamente il metafumetto che ci propone.
Le sequenze di raccordo si svolgono nel 1982, poco prima della partenza di Martin e Java per le Azzorre (dove vivranno l'avventura di Martin Mystére n. 1): molto azzeccate le trovate ironiche, come il nome dell'abilissimo sceneggiatore che la Bonelli vuole assegnare al nuovo fumetto (Gianluigi Bonelli? Giancarlo Berardi? Tiziano Sclavi? No, un tipo mai sentito).
Più svogliate e un po' brutali quelle su Thor e Flash Gordon. Felice l'uso di Jerry, l'agente di MM che così "anticipa" la sua prima apparizione (non contando quelle del college).
Bella l'apertura con la carrellata sugli eventi importanti di quell'anno, di cui la nascita del fumetto è sicuramente il maggiore.
Curiosa scelta narrativa quella di usare la vendita di "Mystere's Mysteries" a un'emittente italiana: è la stessa cosa che accadrà anni dopo per dare avvio ai Mysteri Italiani. E allora, quante volte la vendono, 'sta trasmissione?
Ma d'altra parte questi libretti sono da considerare storia a sé: non s’è forse visto, poco tempo fa, un Java parlante che dava del "voi" a Martin, rivelando di voler mantenere le distanze, quando nella serie regolare abbiamo visto Java scrivere e parlare più di una volta, e sempre dando del "tu" a Martin?
Questo albetto ricorda molto lo storico albo Marvel She-Hulk #50 della gestione di John Byrne, nel quale l'autore (dovendo abbandonare la serie) proponeva la sua verde eroina nelle brevi ed esilaranti interpretazioni realizzate da altre celebrità tipo Frank Miller, Walt Simonson, Dave Gibbons.
Nel nostro caso, gli sceneggiatori non cambiano e solo un artista è relativamente "ospite": cio che cambia è il contesto narrativo e l'epoca a cui si porge omaggio con questi quattro "What If".
Il più esilarante è il fulmineo "squaletto" mono-pagina vigorosamente illustrato da Daniele Caluri, che però fa vergognare di aver riso, alla fine, visto l'argomento (davvero esplicito per un albo del censuratissimo e verecondo MM!). Da segnalare i titoli immaginari quali "Sdracula" e "Bagorda" (sublime creazione di Castelli).
In "Se questa è la... sconfitta!", Recagno e gli Esposito Bross subentrano a Jack Kirby e Stan Lee, realizzando un doppio omaggio al lavoro del Re: certo, l'omaggio dichiarato è a "Fantastic Four", ma come non riconoscere anche il loro prototipo, "The Challengers Of The Unknown", accompagnato dalla definizione di "esploratori del mistero".
Il marchio di fabbrica di Stan Lee è presente ovunque: dialoghi ipertrofici sovrapposti a scene d'azione che dovrebbero commentarsi da sole, attenzione ossessiva per la caratterizzazione dei personaggi, drammi irrisolti, grande attenzione per "Sue Storm" nonostante i fan la detestino.
Le citazioni si intrecciano a più livelli, dimostrando quanto MM somigli involontariamente a Fantastic Four: lo "zio Alfred" di Von Hansen è la zia Petunia di Ben Grimm; Martin che si tormenta per il destino di Java è ovviamente Mr. Fantastic che non sa come riportare la Cosa alla normalità; curiosamente, Java e Von Hansen sono tutti e due basati su Ben Grimm, mentre per la Torcia Umana non c'è quasi spazio. Diana è ovviamente Sue Storm e ha un potere invisibile, poco spettacolare, ma potenzialmente letale... affine alla personalità di Diana.
Manca solo un Sergej Orloff-Dottor Destino, ma non si poteva avere tutto, essendo qui Atlantide il tema principale: e anche in questo, le due serie si incontrano; non è forse Atlantide il regno dell'acerrimo nemico/amico del Quartetto, Namor?
La storia si conclude con un bel "prossimo episodio: Atlantide attacca!" , titolo che sembra rifarsi a MM, ma cita anche numerosi celebri eventi Marvel. (Chissà, magari l'episodio successivo avrebbe rivelato che il Namor innamorato di Sue Storm non è altri che Orloff!).
Anche il super-androide che affronta gli Esploratori è tratto direttamente da Fantastic Four si tratta di una Sentry dei Kree, che il Quartetto fu il primo ad affrontare.
"La fine del mondo!" gioca su un'altro dei padri nobili di MM, e cioè Flash Gordon, a cui Martin ritiene di somigliare (o è lui, o è Brick Bradford, o altri mascelloni biondi dell'epoca). Lo stile narrativo cambia di conseguenza, riducendo i dialoghi e aumentando le didascalie che velocizzano l'azione (due vignette bastano perché il mostro attacchi e MM lo sconfigga con la pistola a raggi). Orloff si trova benissimo nei panni del malvagissimo Ming, e l'immaginario di MM rivela di avere molto in comune con quello di Flash Gordon: le Ombre Diafane e le Nobili Scimmie si trovano infatti a loro agio, tra i variegati abitanti di Mongo (uomini falco, uomini leone eccetera). Oltre allo sviluppo picaresco, Recagno gestisce gli aspetti "ingenui" delle storie dell'epoca, come la mutevolezza di Aura o il quadro comandi che sostiene la città e che Orloff tiene con leggerezza in camera da letto (!).
Come nella storia precedente, si attinge ai comprimari semi-dimenticati della serie di Martin Mystère: se prima si trattava di Von Hansen docente di Martin, ora c'è invece il suo storico rivale Von Ericksen (che Recagno aveva ripescato proprio di recente).
A chiudere le rivisitazioni ci pensa “Mysterik” di Castelli, che vede un autocitazionismo a triplo salto carpiato, visto il coinvolgimento dell’autore con Diabolik e con il precursore Fantomas (di cui ha curato proprio quest'anno un robusto e documentato volume). La storia fa soprattutto il verso ai luoghi comuni di Diabolik (con una "Clairville" che ha di tutto, dal ghiacciaio al deserto; e una Ferrari che ha meccanismi per viaggiare ovunque, compresa la funivia). Anche le maschere di Diabolik vengono bersagliate e il signore stempiato coi capelli dipinti ci porta alla mente un altro criminale che sfugge sempre alla giustizia, ma con molta meno classe e nessuna etica.
Delle quattro, questa è forse la rivisitazione Mysteriana meno mysteriosa di tutte, ma ha anche una trovata che da sola vale tutto l'albo: per adattarsi allo stile di Diabolik, Orloff si ritrova ora dotato di un nome rigorosamente nostrano ed è quindi Sergio Orloff. Per la serie: è proprio vero che basta un niente per togliere l'aura di internazionalità avventurosa di un fumetto e ridurlo a parodia provinciale.
Come divertissment celebrativo, questo albetto surclassa senza fatica la storia del trentennale sulla serie regolare, sia per la velocità della narrazione (che evita di impegolarsi in macchinosi cervelloticismi per far quadrare una trama che dovrebbe essere irrilevante, dato il contesto), sia per la qualità artistica (con assenza o scarsa evidenza di correzioni e disegni rifatti).
Splendidamente realizzata anche la copertina, dove si amalgamano il puro stile Marvel anni 1960, la grafica anni 1930 di Flash Gordon e lo stile ingenuo di Diabolik.
E altrettanto notevole è la copertina di “Mysterik”, realizzata nientemeno che da Palumbo, con lo scambio di ruoli dei personaggi che porta a un Martin Mystere con il fisico di Diana (aaaagh!).
Speciale Martin Mystére n. 31 - "Martin contro Martin" + "Martin in Slumberland"
Agosto 2014
Lo Speciale estivo è all’insegna del dichiarato “ritorno al passato” che caratterizza la produzione di Martin Mystère del 2014, come era stato annunciato nelle notizie del sito di Sergio Bonelli Editore a inizio anno.
Sia la storia principale che quella dell’ex-albetto allegato, ora integrato nel volume a mo’ di flip-book, sono due rinfrescanti e solari narrazioni estive che mescolano arguzia, ingegno e intrattenimento scanzonato, lasciando pensare che anche gli autori si siano divertiti nel realizzare queste piacevoli storie, ricche di annotazioni, spunti, citazioni. Erano queste le caratteristiche con cui nasceva la collana Speciale, più di trenta anni fa.
Scendendo a livello di contenuti, tanto Recagno quanto Castelli ripescano e rilanciano alcuni elementi storici della mytologia della serie (quella interessante, che era stata “costruita per restare” e non per essere sacrificata in vicende “usa e getta” da far cadere nel dimenticatoio). Inevitabilmente, ognuno dei due autori è andato a riprendere le proprie idee, ma il loro sforzo comune ci regala anche un finale comune che funge da punto d’incontro delle loro visioni complementari (ci riferiamo a “Il giardino delle delizie”) nonché delle figure cardine della serie Speciale (in realtà della sola Angie!).
In questo albo trovano posto alcune di quelle perle artistiche che graziano Martin Mystère solo raramente: la migliore di tutte è sicuramente la copertina B, quella dedicata a “Martin in Slumberland”: la sublime arte di Filippucci fonde Hieronimous Bosch e Little Nemo (due leitmotiv della serie, storicamente parlando) in una meravigliosa e programmatica visione onirica, squisitamente colorata da Alessandro Muscillo. Sebbene sia difficile smettere di rimirare questa copertina, che da sola vale la “perdita” dell’albetto allegato e l’aumento di prezzo, a seguire vengono le tavole interne inedite, illustrate da Filippucci stesso, da Orlandi e infine da Nisi: tutte boccate d’aria fresca per il lettore Mysteriano.
Non altrettanto entusiasmo suscita invece il lavoro di Torti, che propone alcune tavole indubbiamente gradevoli (la sequenza di Angie sotto la pioggia, con un'atmosfera intensa; la comparsa del Dio del Tempo Maya nel vuoto a-temporale; la genesi del nuovo Avatar), ma in generale ammazza la sceneggiatura della vicenda principale, con i suoi difetti artistici e tecnici che abbiamo peraltro già elencato ripetutamente (e non vogliamo ripeterci).
L'albo presenta anhe alcune singolari coincidenze (involontarie?). La filosofia del “ritorno al passato” applicata quest’anno per Martin è anche la linea principale del fumetto che il fanclub ufficiale AMys dedica all’universo di Martin Mystère, e cioè la stra-citata (senza vergogna) serie online di Get a Life!. Fin qui niente di particolare, se non fosse che questo Speciale propone innanzitutto un incontro tra due Martin di diverse epoche, come accaduto in "Mistero a Mohenjo Daro" (Get a Life nn.15-16), disponibile anche in edizione cartacea, e poi persino il ritorno di Kunanjun e della mitologia del Tempo del Sogno a cui Martin appartiene, cosa caduta nel dimenticatoio ormai da molti lustri, ma che era stata ripresa in "Incubo nei cieli" (Get a Life n. 11) e in "Il ragno che fu cavato dalla Terra Cava" (Get a Life n. 9-10-12-32). C’è infine un collegamento più generale: in “Martin Contro Martin”, la Terra rischia la distruzione perché il Tempo stesso è in crisi; in “Martin in Slumberland” è invece la riunificazione col Mondo del Sogno a minacciare la distruzione del nostro mondo; in "Le diciassette facce dell'oscurità" (Get a Life nn. 27-28), l’intero universo narrativo rischia di sfaldarsi. In tutti e tre i casi, si tratta di emergenze escatologicamente cosmiche, che si risolvono con la presenza (o il contributo) del BVZM, che dopotutto è il protagonista.
Coincidenze determinate dal famoso “le idee sono nell’aria” di Castelli, anche se a noi piace pensare che sia stato il lavoro dei fan a fornire il giusto stimolo positivo per questi graditi sviluppi/ritorni.
“Martin contro Martin”
Riprendendo l’Altrove del 26° secolo, Carlo Recagno compie un discorso di continuità che va oltre il agganciarsi al suo storico volumone Generazioni, come va anche oltre la coerenza di ospitare questa base del futuro remoto in una collana che l’ha vista nascere nel presente. Il discorso è, letteralmente, generazionale, e fa parte dell’opera di costruzione che è tipica della produzione migliore dell’autore.
In questo albo, il “fantasma” della prima puntata della saga (stiamo parlando dello Speciale Martin Mystère n. 23) aleggia in continuazione, grazie alla presenza non solo degli stessi luoghi e delle stesse epoche, ma anche del cast di quell’epoca: la coppia Diana & Angie, i futuri dirigenti di Altrove, Dee & Kelly (del presente), la Statuetta Maya del Tempo…
E infatti, narrativamente parlando, le due avventure costituiscono un unicum pur restando leggibili singolarmente. Non c’è “perdita di qualcosa” nel non ricordarsi la prima parte, ma c’è un premio se la si tiene presente, un premio in termini di soddisfazione intellettiva.
In apertura, “Martin contro Martin” passa bruscamente da un misterioso evento cosmico (narrato come un ibrido di Star Trek Next Generation e Doctor Who) alla comicità citazionista di Angie, che qui Torti riesce a rendere bene nella sua imitazione di Marilyn Monroe, senza scadere nel pecoreccio. E siccome Marilyn non bastava, ecco che l’assistente di Angie è nientemeno che Velma, una delle amiche di Scooby-Doo.
La buffoneria travolge poi Martin Mystère: si parte da uno stilema che sembra totalmente Castelliano (i Protocolli Mystère per la gestione delle scadenze), per poi riflettere ancora una volta sul diverso valore della conoscenza presente su internet e sui libri stampati, e si arriva a definire “squilibrati” gli spettatori di Mystère’s Mysteries, mentre il nozionismo di Martin lo equipara a quello di Sheldon Cooper del telefilm The Big Bang Theory, ma senza l’autismo.
Il citazionismo è presente anche nell’odissea di Dee & Kelly, che cercano di fuggire dall’Altrove del 2032, e devono fare i conti con misure di sicurezza più scarse delle nostre (davvero ad Altrove, fra quasi vent’anni, si utilizzeranno ancora tessere di riconoscimento che già oggi sono obsolete? Davvero basta digitare un codice su un tastierino per aprire una cella?). Misure che però potrebbero essere deliberatamente scarse, se ci rifacciamo alla spiegazione fornita dal vecchio Max Brody, la quale permette a Recagno di radunare numerose incarnazioni di Doctor Who in una sola scena (con di aggiunta di Doc Brown della saga cinematografica di Ritorno al futuro).
Come da programma, Altrove ospita la solita rassegna di citazioni impossibili, dal Dalek di Doctor Who al “disco” dell’Enterprise di Star Trek, passando per una scena che ricorda il film Coma Profondo (?).
Non abbiamo invece colto chi sia quella specie di Groot nel vasto giardino/foresta sotterraneo (lo stesso visto nel secondo albo Martin Mystère/Nathan Never?).
Molto frizzanti sono i dialoghi tra Dee e Kelly, con Dee particolarmente autoconsapevole della deriva linguistica in cui il suo socio lo trascina. Inattesa e divertente è la sequenza in cui i due soci si ritrovano al punto di partenza, con tanto di esilarante “bella cicogna” ad attenderli. Altrettanto divertente è la circolarità di certe trovate, come la frase sui due Martin Mystère che sono un incubo che si realizza, e che rimbalza con inquietante naturalezza da Java a John Dee.
E’ spassoso l’incontro col gatto parlante, mentre fanno un po’ raccapriccio gli umani con teste di animale (o viceversa?) in spiaggia, di cui non riconosciamo la citazione, se escludiamo l’Uomo Tigre di nipponica memoria.
Questa Altrove del 2032, sebbene buffonesca come sempre, è in generale poco convincente perché, a parte le tecnologie di sicurezza obsolete, non c’è nulla di veramente futuristico che si distacchi dalle meraviglie viste nell’Altrove contemporanea.
Il tono della storia muta quando, a fianco del BVZM, entra in scena il Giovane Martin (GM), che proviene da un altro dei filoni narrativi che Recagno ha concepito per la collana Speciale. Il GM si rivela petulante e insopportabile, ma anche velenoso e chirurgico nelle critiche ragionate che rivolge all’evoluzione del BVZM adulto. Quest’ultimo, d’altra parte, sembra più che altro dominato dal rancore, quando infierisce sull’avventatezza e l’arroganza del GM, come se sfogasse un risentimento costruito in anni di dura autocritica. Nello stesso tempo, però, il BVZM sembra quasi paterno nella sua durezza, ed è difficile non vedere un parallelo con il suo stesso genitore, Mark Mystère (vedi la nostra recensione di Martin Mystére n. 325). Recagno costruisce l’incontro/scontro rimandando senza mai citare, alludendo senza mai esplicitare, e infine chiude conciliando le due parti in causa: il BVZM è invidioso di ciò che ha perso, ma il GM è a sua volta incapace di ammettere che ciò che perderà vale molto meno di ciò che guadagnerà; da qui i modi burberi del primo e la petulanza ipercritica del secondo.
Il “doppio Martin” dà anche occasione per altre annotazioni: il BVZM si “beve” subito la faccenda del viaggio nel tempo, non appena vede il proprio alter ego giovanile. Se per il GM è comprensibile e sebbene ciò dia vita a una gag molto divertente, la reazione dello scettico BVZM è invece altamente improbabile; davvero non sente neppure lontanamente il bisogno di trovare una spiegazione razionale e prosaica, ipotizzando per esempio che il GM sia un attore? O uno squilibrato che segue il suo programma?
Nella discussione/idillio/litigio trovano spazio divertenti gag “nuziali” con l’interazione tra il GM e Angie, che ovviamente causano le reazioni tipiche di Diana. Si conferma inoltre l’attenzione alla continuità, col GM che incontra per la prima volta il “vero” Java e nota la somiglianza con un amico dei tempi del college, in riferimento all'albo “I misteri di Torrington” (Speciale Martin Mystère n. 25). Il riferimento al bisogno di approvazione da parte del padre Mark conferma la citata identificazione (parziale) tra il BVZM adulto e Mark. Esilarante , sempre in termini di continuità, è la lettura che Diana e Angie forniscono di avventure storiche e memorabili, come quella del Golem o quella del Teschio di Mozart: si tratta di vicende “strampalate” che potrebbero “traumatizzare” un giovane universitario.
Passando alla continuità generale della serie, Recagno raccoglie la provocazione dei fan, che di recente si sono lamentati di come la giovinezza del BVZM venga nebulosamente collocata a “un po’ di anni fa” (è parte processo già spiegato nelle nostre precedenti recensioni): comicamente, è ora lo stesso BVZM a voler confondere le acque, per una tipica vanità delle persone mature riguardo all’età. Da questa fase “moderna” si passa poi all’ipotesi che ne “Il cobra d’oro” (Speciale Martin Mystère n. 1), Martin Mystère si fidi immediatamente di Angie perché nel suo inconscio si rende conto di averla già incontrata durante il paradosso temporale di “Martin Contro Martin”: una annotazione che chiude un cerchio trentennale (alla faccia della celebrazione dell’anno scorso) e suggerisce una coerente visione globale delle avventure di questa collana che latita negli altri autori. Sappiamo che non c’è un “grande disegno” degli autori, ma di certo Recagno sa come dare l’impressione opposta, quando vuole.
Il mystero piomba improvvisamente nella storia, o meglio sono i personaggi a cadervi, quando l’appartamento del BVZM si ritrova in un nulla cosmico-temporale dove fluttua la raffigurazione colossale del Dio Maya del Tempo, col crono-fardello sulla sua schiena: Torti rende bene l’impossibilità metafisica della situazione, che richiama sottilmente i “viaggi al di fuori del tempo” dei vari Rip Hunter, Kang il Conquistatore e simili delle mitologie Marvel e DC Comics: luoghi in cui il tempo non scorre e gli esseri umani sperimentano una fisica completamente diversa, che però viene rielaborata come convenzionale attraverso le loro limitate percezioni sensoriali. Visto l’argomento del rinnovo del ciclo temporale legato alla mitologia Maya, con i disastri mondiali che ne conseguono (sebbene nel 2032), è un vero peccato che questa storia non sia stata usata per l’albo del dicembre 2012.
Tra una battuta e l’altra delle “amiche del giaguaro”, anche questo argomento si incastona agevolmente nella continuità, gettando le premesse per gli eventi nello Speciale n.23 (e spiegando che c’era un effettivi progetto narrativo). Nello stesso tempo, gioca anche a imitare il genere giallo di “Assassinio sull’Orient Express”, con un evento/omicidio che sembra essere un’opera collettiva: la crisi in corso nel 2032 è stata causata da Martin Mystère, che ha “rubato il tempo”? O invece è opera degli esperimenti troppo azzardati di Altrove? E’ forse il Giovane Martin l’anomalia mobile che ha devastato persino l’Altrove del 26° secolo? L’hanno causata Dee e Kelly? O forse la stessa Anya?
Le catastrofi naturali che costellano queste rivelazioni sono forse il punto più debole della storia, in quanto è difficile vedere una connessione tra le stesse e il Tempo che si “esaurisce”: sarebbe stato preferibile qualcosa di più creativo, magari accorciando la già debole odissea di Dee e Kelly nell’Altrove non-così-futura.
La risoluzione della vicenda è un chiaro omaggio a Doctor Who, così come la contemporanea riappacificazione tra GM e BVZM è tipica delle strutture narrative dei telefilm.
La nuova incarnazione del Tempo (o di un suo aspetto), oltre ad avere qualche eco di telefilm britannici tipo Sapphire And Steel (e non solo il Dottore), sfoggia un aspetto grafico piuttosto curato, che sembra considerevolmente lontano dallo standard di Torti, il quale abitualmente ricicla all’infinito una gamma piuttosto limitata di volti, pose e capi d’abbigliamento: che il model sheet sia opera di un altro artista? Che sia una citazione?
Che questa incarnazione del tempo sia Anya, è una banalità da escamotage narrativo abusatissimo (il paradosso della predestinazione), che Recagno usa per espandere in maniera Generazionale il cast dello Speciale. Non solo perché Anya è una diretta discendente di Tower, ma anche perché dalle parole della ragazza deriva l’impressione che ella abbia ascoltato direttamente dalla voce di Tower i racconti che quest’ultimo elargiva negli ultimi anni della sua vita. Certo, ci sono 5 secoli di mezzo: come se la longevità derivata da tecnologie avveniristiche possa essere considerata estranea ad Altrove. Anya, che si presenta come la tipica nerd fanatica di storie avvenute secoli prima, richiama il primo Nathan Never (fan di Martin Mystère, possessore della collana a fumetti), ma la ragazza usa un tono che sembra derivare da una conoscenza personale della materia, e da quel tipo di entusiasmo istintivo per un argomento che solo un bambino è capace di sviluppare (quasi come se Anya avesse scoperto le avventure di Martin sedendo sulle ginocchia del bis-bis-bis-nonno). Anche la sua scelta di incontrare capricciosamente il GM contribuisce a questa ipotesi.
C'è quindi una nipote nella “famiglia allargata” di Martin Mystère che è nientemeno che una divinità, e che si considera in debito con tutti coloro che hanno contribuito alla sua nascita: un inatteso sviluppo coerente con Generazioni, un altro tassello del futuro mysteriano, che ci trasmette l’epica grandiosità della Storia con l’iniziale maiuscola e del “passaggio di testimone” tra epoche e generazioni.
“Martin Slumberland: La materia di cui sono fatti i sogni”
“Martin In Slumberland”
“La materia di cui sono fatti i sogni” (Alfredo Castelli/Lucio Filippucci)
“Dreamtravel” (Castelli/Alessandrini) (ristampa)
”Altierjinga, il mondo del sogno” (Castelli/Alfredo Orlandi)
”Il giardino delle delizie” (Recagno/Renato Nisi)
Che Alfredo Castelli amasse profondamente il lavoro di Windsor McCay era cosa nota, fosse solo perché quello di Little Nemo in Slumberland è un universo che abbiamo incrociato non troppo tempo fa, nell’ultimo Martin Mystère Gigante (sempre di Castelli).
Se l’idea per questa storia e la copertina si ripagano già da sole, è però anche vero che questo ex-albetto contiene un bengodi mysteriano di delizie, tanto da tenere testa anche alla storia principale dell’albo, in quanto ad abbondanza di annotazioni, citazioni e arguzie narrative.
Si comincia col fatto che finalmente, finalmente, Castelli torna a scrivere le storie “alla Castelli” tipiche degli anni d’oro del personaggio di Martin Mystère. Storie pazzesche, impossibili, che partono da quei fatterelli inspiegabili di ogni giorno che tutti quanti tendiamo a liquidare in pochi secondi (come i dejà vù), li rielaborano in un’inattesa chiave cosmico/escatologica e li intrecciano con la Storia, il mondo del fumetto e dei fumettisti, le più disparate discipline scientifiche moderne e antiche, fino a ordire una nuova mitologia onnicomprensiva che sembra più vera del vero, tanto è ragionata e pervasiva.
Sempre nel segno del “recupero del passato” che caratterizza il 2014 di Martin Mystère, Castelli finalmente, finalmente, coniuga il mondo onirico di Slumberland con il DreamTime (Altierjinga) degli Aborigeni Australiani, e riporta in scena il dimenticatissimo (ma importantissimo) Kunanjun, “fratello mistico” di Martin Mystère (che a sua volta è un “Cumbo”, sebbene il termine non venga usato nel fumetto).
Da questa associazione inedita (?) si passa poi a un’altra delle suggestioni di Castelli: i quadri di Hieronimous Bosch (già visivamente citati a fondo in Dylan Dog/Martin Mystère: “Ultima fermata: l’incubo”), che però è Carlo Recagno a raccontarci, con l’apporto dell’arte splendidamente onirica ed eterea di Nisi.
Recagno intreccia ulteriori suggestioni, proponendo prima un parallelo tra due signori dei sogni come King Morpheus di Little Nemo e il Sandman (reso particolarmente famoso da Neil Gaiman per i fumetti DC Comics), e poi facendo diventare adulta Little Ego, con il nome di “Signorina Ego” e l’aspetto di Angie. E dato che Little Ego era un omaggio/parodia di Little Nemo, riletto in chiave femminile ed erotica, chi meglio di Angie per un ruolo del genere?
Ci piacerebbe sorvolare invece su come i Puffi e Topolino vengano equiparati a Peppa Pig, per poi balzare al caratteristico finale della vicenda, che, come nelle più grandi storie dei tempi d’oro, vede Martin che svolge un ruolo cruciale senza averlo bene compreso, per poi ricevere un premio inatteso sotto forma di conoscenza con aggancio all’attualità. E’ infatti la nascita della psicanalisi di Sigmund Freud il fattore scatenante della crisi del mondo del sogno che Martin ha appena sventato.
Chiudiamo con qualche osservazione sulla “materia” che dal Mondo del Sogno è stata portata nel nostro. Se fosse stata una storia di Dylan Dog, avremmo sostenuto che il concetto è stato prelevato dal terzo film del ciclo originale di Nightmare, dove la protagonista trascinava prima il cappellaccio di Freddy Krueger nel nostro mondo e poi lo stesso Freddy. Siccome invece è Martin Mystère, ragioniamo sull’aspetto della materia: un banalissimo “tappo a corona”, che però è stato capace di causare trionfi e tragedie nella storia dell’umanità, determinandone drasticamente lo sviluppo.
Siccome già sappiamo, da Martin Mystère n. 100, “Di tutti i colori!”, che Castelli è un grande fan del lavoro Disneyano di Carl Barks, non possiamo non sospettare che il “tappo a corona” citi l’analogo oggetto con cui Zio Paperone stravolge la società e i valori dell’isolata civiltà di Tralla-là (Uncle Scrooge n. 6, “Tralla La” [1954], di Carl Barks), avvelenandola con il concetto egoistico di possesso di un bene esclusivo.
novembre 2011
Soggetto e sceneggiatura di Alfredo Castelli, con la collaborazione di Jean Marc Lofficier
Disegni di Dante Spada
Quando ormai sembrava che l’operazione di innesto letterario del Docteur Mystère, attuata qualche anno fa dallo stesso Alfredo Castelli nella serie regolare, avesse dato tutti i suoi frutti e fosse destinata a divenire un “vincolo” consolidato e immutabile dell’universo mysteriano, un altro appassionato della letteratura ottocentesca è giunto a capovolgere felicemente questa certezza.
La brillante e apparentemente irripetibile “coniugazione” attuata da Castelli, che era riuscito nell’impossibile impresa di collegare Martin Mystère al casualmente omonimo Docteur Mystère dei romanzi di Paul D’Ivoi, è stata replicata dal noto autore/editore Jean Marc Lofficier, un altro “mostro sacro” quando si tratta di sterminata competenza su questo specifico argomento.
Questa volta, come i lettori più attenti hanno dedotto dalla prima ventina di pagine della storia, nonché dalle anticipazioni fornite dallo stesso Lofficier sui suoi siti, il trait d’union tra tre universi apparentemente scollegati sarebbe stato il trovatello Cigale (poi battezzato Jacques Mystere), del quale finalmente sarebbero state rivelate le origini.
Il terzo universo è quello dell’immaginifico e prolifico scrittore ottocentesco Paul Féval, autore considerato tra i padri del thriller criminale moderno: come si può leggere sul sito di CoolFrenchComics, Fèval non solo anticipò, influenzò e surclassò (rispettivamente) autori come Alexandre Dumas, Conan Doyle ed Eugene Sue, ma anche e soprattutto creò il prototipo dell’investigatore poliziesco moderno che si scontra con una invincibile e spietata organizzazione criminale internazionale.
Ed è su questa nota che chiudiamo la digressione e torniamo al fumetto dell’Almanacco, perché il “prototipo di investigatore” in questione sarebbe niente meno che il padre naturale di Cigale e quindi un illustrissimo antenato di Martin Mystère, con il quale ha in comune il fatto di combattere con un’organizzazione criminale che tende a vestirsi di nero, e cioè les Habit Noirs (le Vesti Nere, come spiegato nel fumetto).
Come si può appurare in rete, J.M. Lofficier è un vero appassionato di letteratura popolare, sia in termini di documentazione e conoscenza, sia in termini di produzione (saggistica e narrativa): il novanta per cento delle fonti su questo argomento è riconducibile a lui. Basta una breve ricerca per scoprire come il fumetto che stiamo recensendo sia saldamente radicato nella letteratura di Fèval: non solo per l’uso di Remi D’Aix, ma anche per la presenza delle versioni aggiornate di ben quattro personaggi che facevano parte delle Vesti Nere sin dai tempi dei romanzi originali: il longevo colonnello Bozzo-Corona, capo dell’organizzazione; L’Amitié, discendente di Monsieur Lecoq; la contessa De Clare, discendente del conte di Bréhut De Clare; e infine il “picchiatore” del gruppo, Marchef, discendente del temibile boia Coyatier.
Questa stratificazione, che è un vero piacere svelare svolgendo ricerche in rete, si rivela essere gustosamente complessa ed elaborata, grazie al gran numero di autori che vi ha lavorato nel corso dei secoli (!).
E, guarda caso, un altro elemento fondamentale di questa storia è proprio l’effetto che strumenti come i motori di ricerca e un mezzo come internet hanno avuto sulla nostra vita.
Un esempio non indifferente della portata di questa cattedrale narrativa è dato dal personaggio secondario di L’Amitié (alias Lecoq), ispirato al celebre Vidocq, che a sua volta è stato un modello per Dupin (cose che noi lettori di MM ben sappiamo, grazie a La tredicesima fatica e a La casa che urlava nel buio). Un altro esempio, più vertiginoso nella sua ambizione, è lo stesso colonnello Bozzo: come può essere ancora vivo dopo due secoli, e perché si sforza tanto di tenere nascosto questo fatto?
La risposta a entrambi i quesiti è una sola: Bozzo fa parte del ramo francese della Famiglia di Wold Newton.
Come abbiamo appreso leggendo I segreti di Wold Newton (o le opere di Philip José Farmer) ciò significa non solo che tutti i personaggi della letteratura popolare d'appendice del novecento sono collegabili tra loro, ma che i più “fortunati” sono estremamente longevi: Sherlock Holmes, Nero Wolfe, forse Tarzan... e ora anche il capitano Bozzo.
Per finire, J.M. Lofficier gioca un’ultima carta, quella del crossover: i “suoi” personaggi in chiave moderna (compresa la BlackSpear Holdings) sono infatti gli stessi del suo romanzo del 2008, Crépuscule Vaudou (tradotto anche in inglese col titolo The Katrina Protocol).
Nulla di tutto ciò deve davvero stupirci: Lofficier è da sempre un maestro della continuità, bravissimo a innestare diversi filoni tra loro o a risolvere trame ideate da altri, come i lettori storici della Marvel ricorderanno.
Questa concezione, purtroppo, è stata parzialmente offuscata dal condizionale che abbiamo usato in un paio di occasioni, perché il fumetto pubblicato all’interno dell’Almanacco del Mistero 2012 promette tutto ciò, ma mantiene solo in parte: come raccontato da Alfredo Castelli nell’introduzione, il soggetto è stato ampiamente rielaborato (nostante 40 tavole fossero già state completate!) per mantenere un’altra promessa, e cioè quella di celebrare l’anniversario di Fantômas.
Castelli ha compiuto un abile lavoro di adattamento; per il lettore che usa l’occhio dello sceneggiatore, è decisamente divertente e intrigante osservare e ricostruire il suo paziente e metodico lavoro di “taglia&cuci”.
Ecco quindi che “Il tesoro delle Vesti Nere” diventa “L’ombra di Fantômas”. E, questa volta, la promessa viene mantenuta: come dichiarato sin dall’inizio, infatti, Fantômas non esiste e ciò che attraversa questa storia è la sua ombra, su cui qualcun altro (chi?) è stato modellato, per dare vita al malvagio assoluto, colui che opera il male per il male, senza alcun altro motivo. Già questa premessa (che arriva a metà storia, ma pazienza) basterebbe per promuovere sulla fiducia questa storia e il suo seguito: da anni, ormai, i villain degni di questo nome devono avere comunque un retroterra di motivazioni più o meno condivisibili (si pensi a Magneto di The X-Men, al Doctor Doom di Fantastic Four, al Lex Luthor di Superman); Castelli ribalta questa prospettiva ormai obbligatoria, raccogliendo la sfida di riproporre in chiave moderna e credibile il tipo di criminale assoluto di un’epoca ormai tramontata e vista come più “ingenua”.
Ma non si tratta di un’operazione dozzinale, col cattivo di turno che dichiara di praticare il male “perché è così e basta” (solo Shakespeare può permettersi certi lussi): se altri autori meno dotati usano “il male fine a se stesso” come scorciatoia, quando ormai sono alla frutta e non sanno più a cosa aggrapparsi per giustificare la cattiveria insensata dei loro banali antagonisti, Castelli scomoda invece gli imperativi categorici di Immanuel Kant per definire questo nuovo avversario. Restiamo ora in attesa di scoprire dove arriveremo... non senza offrire un’ipotesi: il tema delle paure sociali contemporanee, legate al collasso del sistema economico mondiale, oltre che essere tragicamente attuale (come lo è la breve riflessione sull’impatto dei motori di ricerca tipo Google) è anche la non tanto sottile metafora alla base di un sinistro personaggio come il cinematografico Doctor Mabuse (che ispirò il nome del demoniaco Mabus): che Castelli voglia rifarsi a quest’ultimo per completare la trilogia iniziata l’anno scorso con “Il leone del Transvaal”? (Risposta a posteriori: no, perchè siamo arrivati al 2019 e non s'è vista traccia di un seguito).
Del brusco cambio di rotta narrativo sembra aver risentito anche la componente artistica della storia. Il graditissimo ritorno di Dante Spada, illustratore di alcuni spettacolari albi della collana Storie Da Altrove, è parzialmente offuscato da alcune tavole realizzate apparentemente all’ultimo minuto, ma anche e soprattutto dal nuovo approccio alle chine dell’artista.
Sono queste ultime a fare la differenza, essendo più essenziali, velocizzate e scarne. Le matite di Spada, infatti, restano belle e personali come sempre ed è possibile riconoscere in esse tutte le caratteristiche già apprezzate in SdA.
Per esempio: personaggi progettati per avere fisionomie uniche e caratterizzanti, oltre che silouhette riconoscibili anche quando sono semplici comprimari (ricordiamo in questo senso la “lezione” di Matt Groening sulla riconoscibilità dei suoi personaggi della serie The Simpsons). Citiamo in particolare il colonnello Bozzo giovane/vecchio e i suoi “scagnozzi”, che speriamo di rivedere, perché sarebbe un delitto sprecare una creazione così felice.
O ancora, le angolazioni delle inquadrature, sempre studiate per esaltare l’effetto della sceneggiatura: basti osservare la “stanza del tesoro”, la galleria invasa di ragnatele e topi, e infine l’efficace e scaltra vignetta in cui Bozzo uccide un avversario senza che ciò si veda (in primo piano compaiono la spada e la mano che la impugna, ma è l’ombra sul muro a rivelare l’atto compiuto).
Qualche annotazione a parte meritano gli elementi di continuità o quelli non del tutto chiariti. Si può iniziare con Meridiana, giunta ad Altrove dopo che Aldous ha salvato la vita a Bozzo due secoli fa (?): l’idea di questo oracolo che vaticina ogni 50 anni è decisamente materiale per Storie da Altrove (ma non accadrà mai, tanto che in Dampyr comparirà una omonima senza che nessuno se ne accorga)
Altrettanto vale per il mistero stesso di Meridiana: priva della sua “anima tecnologica”, come riesce a vaticinare?
E infine: da dove proviene questa conoscenza infinita? Nell’universo mysteriano, la risposta d’obbligo potrebbe essere: da un collegamento al databank universale.
Qualche fan è rimasto perplesso dalla scena in Corsica, in cui Bozzo e i suoi associati si riuniscono indossando abiti antiquati, ma complottano ai danni di Martin Mystère (e Bozzo indossa il “collare di grazia”): può darsi che sia una delle tavole riadattate per la nuova versione della sceneggiatura (questo giustificherebbe anche l’errore di pag. 53, in cui la data indicata nel primo riquadro è l’inesistente venerdì 9 dicembre 1911), ma è più probabile che l’abbigliamento sia solo un omaggio al rispettato e temuto “padrino” dell’organizzazione; dopotutto, Bozzo è un uomo del 1800 e probabilmente in privato preferisce ricatturare l’atmosfera della sua epoca, anche nell’abbigliamento. E ovviamente, i suoi pittoreschi sottoposti si adeguano.
Restando sul tema della sceneggiatura originale e dell’utilizzo degli elementi narrativi di Paul Fèval, sembra molto probabile che il fumetto mirasse a presentare il personaggio di Remi D’Aix come il padre naturale di Cigale. I conti sembrano tornare: Remi era “giovane e bello” nel 1936, mentre Cigale è morto nel 1902, intorno ai 70 anni d’età.
La simmetria continuerebbe col fatto che Remi era un giudice istruttore nemico degli Habit Noirs, i quali per fortuna NON sono gli Uomini in Nero, ma stabiliscono una simmetria/continuità con il discendente di Cigale: Martin.
Nota a margine: stando allo stesso Lofficier, il personaggio letterario nemico di Les Habits Noirs si chiamava Remy D’Arx, e commise suicidio dopo essersi innamorato di Fleurette, che era in realtà una sua sorella biologica. Questo crudo epilogo giustificherebbe il cambio di nome nella versione a fumetti: come dalla tradizione mysteriana che prevede che la nella “realtà” di Martin le opere letterarie abbiano spesso un equivalente reale travisato e addomesticato, il Remi D’Aix “storico” a cui Paul Féval si era ispirato, cambiandone leggermente il nome, non fu vittima di eventi tanto tragici e visse abbastanza da generare un erede.
Saltando di palo in frasca, la scenografia dello studio di Mystere’s Mysteries presenta un logo del titolo della serie che non mi pare di aver mai notato prima: è una creazione di Dante Spada? Se lo è, andrebbe ripresa anche in futuro.
Spada conferisce una nuova veste grafica anche alle strutture esterne di Altrove, che hanno una elegante grafica, tanto moderna quanto ispirata alle istallazioni originali (non ci riferiamo alla frettolosa tavola di pagina 44, ma alle successive).
Cambiando ancora argomento, l’attentato al grattacielo non viene identificato: è un’allusione alle Torri Gemelle di New York che si è preferito non rendere ufficiale?
L’assenza di Fantômas dalla storia, oltre che programmatica sin dal titolo, è anche ribadita dal continuo ricorso alla letteratura ufficiale del personaggio, che viene illustrata senza che mai una volta si dica che si tratta della trasposizione di eventi realmente accaduti: rispetto alla tradizione di Martin Mystere, questo è un cambiamento radicale. Il concetto viene ribadito con forza e ironia nel finale: quando l’anonimo villain viene scoperto e bloccato, questi commenta con sarcasmo l’iconografia classica di Fantômas e del Doctor Doom, e non risparmia neppure le regole d’oro del romanzo giallo, da noi tirate casualmente in ballo nella recensione di "Longitudine zero".
Per finire, un paio di errori da revisore distratto. Il primo: a pagina 102, la data visualizzata riporta l’anno 2001 invece del 2011 (che sarebbe quello corretto per indicare l’evento incombente). Il secondo: Juve e Fantômas si danno prima del “tu” e poi del “voi” nella sequenza del loro ultimo scontro negli anni 1960 (e qui bisogna menzionare ancora l’abilità di Spada nel rendere le atmosfere dell’epoca, con l’inseguimento in automobile che sembra uscire da un film di James Bond).
L’Almanacco è tale anche per la presenza di rubriche e dossier, come ben noto: esattamente come per la storia, anche queste ultime hanno due anime.
Nella sezione dedicata al Mystero nei media, si scontrano critiche piuttosto forti a Adèle e l’enigma del faraone (a nostro avviso immeritate) e commenti “neutrali” ma insistiti sulla trilogia di Twilight. Quest’ultima ha ricevuto questo trattamento di favore anche nell’Almanacco del Mistero 2011, portandoci a sospettare che in redazione ci sia un fan in incognito. Scherzi a parte, lascia perplessi che un prodotto adolescenziale e decisamente non mysterioso, incentrato sull'imbarazzante concetto della Mary Sue narrativa, trovi tanto spazio su una pubblicazione a tema mysterioso: è vero che ci sono mostri come i vampiri e licantropi, i quali comunque sono più di competenza di Dylan Dog, ma è anche vero che si tratta di una loro versione pesantemente all’acqua di rose, ripulita e addomesticata, nonchè palestrata e imbellettata, mirata esclusivamente a fare leva sugli istinti ormonali di un pubblico vittima della pubertà; non si potrebbe accantonare l’argomento in favore di altri prodotti un po’ più adeguati e dignitosi?
Nella sezione dei dossier, si passa dall’intrigante e dettagliata saga di Fantômas, ovviamente collegata al volume di prossima uscita che Alfredo Castelli ha realizzato sul personaggio, a due rubriche svogliate e generiche. L’articolo su Dino Buzzati non è malaccio, ma non ha neanche un elemento mysterioso identificabile, mentre l’ultimo dedicato agli inquisitori si salva solo per certe curiosità sulla componente cinematografica (e per la menzione obbligatoria del Nicolas Eymerich di Valerio Evangelisti).
Quello che manca è il fil rouge che un tempo collegava le varie sezioni dell’Almanacco, amalgamandole in un prodotto coerente e omogeneo: purtroppo, dopo decenni di produzione è inevitabile che ciò accada, soprattutto se si vuole evitare di ripetersi.
Ultimo argomento, ma non meno importante: la copertina. Anche qui, si scontrano le due nature dell’Almanacco: l’idea di citare la più celebre copertina dei romanzi di Fantômas è tanto felice quanto obbligatoria, e la composizione generale (con Martin e Java nei panni di Juve e Fandor) è ben trovata, ma ci sono altri aspetti che non funzionano e rovinano l’effetto generale. Il primo è la colorazione, troppo semplicistica; una colorazione in stile pittorico avrebbe fatto meraviglie per questa copertina (recuperando l’atmosfera dell’originale e rendendolo più appetibile per i lettori occasionali). Nel novero della colorazione infelice rientra anche l’effetto ricorrente delle fiamme: come già osservato da un altro lettore, “sono finte!”.
Ultimo tocco davvero brutto: il satellite orbitale, prelevato di peso da una delle tavole della storia e incollato in quarta di copertina, senza un briciolo di effetto cosmico di transizione dell’immagine.
Ci è chiaro che questo approccio “in economia” è vantaggioso nella fase di realizzazione dell’albo, ma è anche vero che sulla lunga distanza ci sembra lavori a discapito delle vendite e del rientro economico. Ovviamente, è solo una nostra impressione, non suffragata da dati di vendita e analisi di mercato, ma vorremmo concludere facendo presente che tramite internet (eccoci di nuovo all’argomento del cambiamento che la rete ha portato nelle nostre vite) è possibile trovare artisti talentuosi che chiedono tariffe piuttosto contenute al solo scopo di poter presentare nel loro portfolio lavori associati a serie popolari.
In conclusione, sebbene l’albo sembri convincerci solo a metà, questa mezza convinzione supera di gran lunga la sufficienza: la rosa di argomenti del fumetto è affascinante, la narrazione è avvincente, la vicenda è tanto epica quanto potenzialmente grandiosa. Ora non resta che sperare che la porzione di trama scritta da Lofficier e “abortita” non vada sprecata: vogliamo sapere chi era Remi D’Aix e che legame aveva con Cigale.
Di più, visto che Castelli non ne sembra più in grado, ci auguriamo che Lofficier abbia l’opportunità di scrivere un altro soggetto che esplori ancora più a fondo le meraviglie del French Wold Newton Universe.
Almanacco del Mistero 2012 - "L’ombra di Fantômas"
novembre 2011
Soggetto e sceneggiatura di Alfredo Castelli, con la collaborazione di Jean Marc Lofficier
Disegni di Dante Spada
Quando ormai sembrava che l’operazione di innesto letterario del Docteur Mystère, attuata qualche anno fa dallo stesso Alfredo Castelli nella serie regolare, avesse dato tutti i suoi frutti e fosse destinata a divenire un “vincolo” consolidato e immutabile dell’universo mysteriano, un altro appassionato della letteratura ottocentesca è giunto a capovolgere felicemente questa certezza.
La brillante e apparentemente irripetibile “coniugazione” attuata da Castelli, che era riuscito nell’impossibile impresa di collegare Martin Mystère al casualmente omonimo Docteur Mystère dei romanzi di Paul D’Ivoi, è stata replicata dal noto autore/editore Jean Marc Lofficier, un altro “mostro sacro” quando si tratta di sterminata competenza su questo specifico argomento.
Questa volta, come i lettori più attenti hanno dedotto dalla prima ventina di pagine della storia, nonché dalle anticipazioni fornite dallo stesso Lofficier sui suoi siti, il trait d’union tra tre universi apparentemente scollegati sarebbe stato il trovatello Cigale (poi battezzato Jacques Mystere), del quale finalmente sarebbero state rivelate le origini.
Il terzo universo è quello dell’immaginifico e prolifico scrittore ottocentesco Paul Féval, autore considerato tra i padri del thriller criminale moderno: come si può leggere sul sito di CoolFrenchComics, Fèval non solo anticipò, influenzò e surclassò (rispettivamente) autori come Alexandre Dumas, Conan Doyle ed Eugene Sue, ma anche e soprattutto creò il prototipo dell’investigatore poliziesco moderno che si scontra con una invincibile e spietata organizzazione criminale internazionale.
Ed è su questa nota che chiudiamo la digressione e torniamo al fumetto dell’Almanacco, perché il “prototipo di investigatore” in questione sarebbe niente meno che il padre naturale di Cigale e quindi un illustrissimo antenato di Martin Mystère, con il quale ha in comune il fatto di combattere con un’organizzazione criminale che tende a vestirsi di nero, e cioè les Habit Noirs (le Vesti Nere, come spiegato nel fumetto).
Come si può appurare in rete, J.M. Lofficier è un vero appassionato di letteratura popolare, sia in termini di documentazione e conoscenza, sia in termini di produzione (saggistica e narrativa): il novanta per cento delle fonti su questo argomento è riconducibile a lui. Basta una breve ricerca per scoprire come il fumetto che stiamo recensendo sia saldamente radicato nella letteratura di Fèval: non solo per l’uso di Remi D’Aix, ma anche per la presenza delle versioni aggiornate di ben quattro personaggi che facevano parte delle Vesti Nere sin dai tempi dei romanzi originali: il longevo colonnello Bozzo-Corona, capo dell’organizzazione; L’Amitié, discendente di Monsieur Lecoq; la contessa De Clare, discendente del conte di Bréhut De Clare; e infine il “picchiatore” del gruppo, Marchef, discendente del temibile boia Coyatier.
Questa stratificazione, che è un vero piacere svelare svolgendo ricerche in rete, si rivela essere gustosamente complessa ed elaborata, grazie al gran numero di autori che vi ha lavorato nel corso dei secoli (!).
E, guarda caso, un altro elemento fondamentale di questa storia è proprio l’effetto che strumenti come i motori di ricerca e un mezzo come internet hanno avuto sulla nostra vita.
Un esempio non indifferente della portata di questa cattedrale narrativa è dato dal personaggio secondario di L’Amitié (alias Lecoq), ispirato al celebre Vidocq, che a sua volta è stato un modello per Dupin (cose che noi lettori di MM ben sappiamo, grazie a La tredicesima fatica e a La casa che urlava nel buio). Un altro esempio, più vertiginoso nella sua ambizione, è lo stesso colonnello Bozzo: come può essere ancora vivo dopo due secoli, e perché si sforza tanto di tenere nascosto questo fatto?
La risposta a entrambi i quesiti è una sola: Bozzo fa parte del ramo francese della Famiglia di Wold Newton.
Come abbiamo appreso leggendo I segreti di Wold Newton (o le opere di Philip José Farmer) ciò significa non solo che tutti i personaggi della letteratura popolare d'appendice del novecento sono collegabili tra loro, ma che i più “fortunati” sono estremamente longevi: Sherlock Holmes, Nero Wolfe, forse Tarzan... e ora anche il capitano Bozzo.
Per finire, J.M. Lofficier gioca un’ultima carta, quella del crossover: i “suoi” personaggi in chiave moderna (compresa la BlackSpear Holdings) sono infatti gli stessi del suo romanzo del 2008, Crépuscule Vaudou (tradotto anche in inglese col titolo The Katrina Protocol).
Nulla di tutto ciò deve davvero stupirci: Lofficier è da sempre un maestro della continuità, bravissimo a innestare diversi filoni tra loro o a risolvere trame ideate da altri, come i lettori storici della Marvel ricorderanno.
Questa concezione, purtroppo, è stata parzialmente offuscata dal condizionale che abbiamo usato in un paio di occasioni, perché il fumetto pubblicato all’interno dell’Almanacco del Mistero 2012 promette tutto ciò, ma mantiene solo in parte: come raccontato da Alfredo Castelli nell’introduzione, il soggetto è stato ampiamente rielaborato (nostante 40 tavole fossero già state completate!) per mantenere un’altra promessa, e cioè quella di celebrare l’anniversario di Fantômas.
Castelli ha compiuto un abile lavoro di adattamento; per il lettore che usa l’occhio dello sceneggiatore, è decisamente divertente e intrigante osservare e ricostruire il suo paziente e metodico lavoro di “taglia&cuci”.
Ecco quindi che “Il tesoro delle Vesti Nere” diventa “L’ombra di Fantômas”. E, questa volta, la promessa viene mantenuta: come dichiarato sin dall’inizio, infatti, Fantômas non esiste e ciò che attraversa questa storia è la sua ombra, su cui qualcun altro (chi?) è stato modellato, per dare vita al malvagio assoluto, colui che opera il male per il male, senza alcun altro motivo. Già questa premessa (che arriva a metà storia, ma pazienza) basterebbe per promuovere sulla fiducia questa storia e il suo seguito: da anni, ormai, i villain degni di questo nome devono avere comunque un retroterra di motivazioni più o meno condivisibili (si pensi a Magneto di The X-Men, al Doctor Doom di Fantastic Four, al Lex Luthor di Superman); Castelli ribalta questa prospettiva ormai obbligatoria, raccogliendo la sfida di riproporre in chiave moderna e credibile il tipo di criminale assoluto di un’epoca ormai tramontata e vista come più “ingenua”.
Ma non si tratta di un’operazione dozzinale, col cattivo di turno che dichiara di praticare il male “perché è così e basta” (solo Shakespeare può permettersi certi lussi): se altri autori meno dotati usano “il male fine a se stesso” come scorciatoia, quando ormai sono alla frutta e non sanno più a cosa aggrapparsi per giustificare la cattiveria insensata dei loro banali antagonisti, Castelli scomoda invece gli imperativi categorici di Immanuel Kant per definire questo nuovo avversario. Restiamo ora in attesa di scoprire dove arriveremo... non senza offrire un’ipotesi: il tema delle paure sociali contemporanee, legate al collasso del sistema economico mondiale, oltre che essere tragicamente attuale (come lo è la breve riflessione sull’impatto dei motori di ricerca tipo Google) è anche la non tanto sottile metafora alla base di un sinistro personaggio come il cinematografico Doctor Mabuse (che ispirò il nome del demoniaco Mabus): che Castelli voglia rifarsi a quest’ultimo per completare la trilogia iniziata l’anno scorso con “Il leone del Transvaal”? (Risposta a posteriori: no, perchè siamo arrivati al 2019 e non s'è vista traccia di un seguito).
Del brusco cambio di rotta narrativo sembra aver risentito anche la componente artistica della storia. Il graditissimo ritorno di Dante Spada, illustratore di alcuni spettacolari albi della collana Storie Da Altrove, è parzialmente offuscato da alcune tavole realizzate apparentemente all’ultimo minuto, ma anche e soprattutto dal nuovo approccio alle chine dell’artista.
Sono queste ultime a fare la differenza, essendo più essenziali, velocizzate e scarne. Le matite di Spada, infatti, restano belle e personali come sempre ed è possibile riconoscere in esse tutte le caratteristiche già apprezzate in SdA.
Per esempio: personaggi progettati per avere fisionomie uniche e caratterizzanti, oltre che silouhette riconoscibili anche quando sono semplici comprimari (ricordiamo in questo senso la “lezione” di Matt Groening sulla riconoscibilità dei suoi personaggi della serie The Simpsons). Citiamo in particolare il colonnello Bozzo giovane/vecchio e i suoi “scagnozzi”, che speriamo di rivedere, perché sarebbe un delitto sprecare una creazione così felice.
O ancora, le angolazioni delle inquadrature, sempre studiate per esaltare l’effetto della sceneggiatura: basti osservare la “stanza del tesoro”, la galleria invasa di ragnatele e topi, e infine l’efficace e scaltra vignetta in cui Bozzo uccide un avversario senza che ciò si veda (in primo piano compaiono la spada e la mano che la impugna, ma è l’ombra sul muro a rivelare l’atto compiuto).
Qualche annotazione a parte meritano gli elementi di continuità o quelli non del tutto chiariti. Si può iniziare con Meridiana, giunta ad Altrove dopo che Aldous ha salvato la vita a Bozzo due secoli fa (?): l’idea di questo oracolo che vaticina ogni 50 anni è decisamente materiale per Storie da Altrove (ma non accadrà mai, tanto che in Dampyr comparirà una omonima senza che nessuno se ne accorga)
Altrettanto vale per il mistero stesso di Meridiana: priva della sua “anima tecnologica”, come riesce a vaticinare?
E infine: da dove proviene questa conoscenza infinita? Nell’universo mysteriano, la risposta d’obbligo potrebbe essere: da un collegamento al databank universale.
Qualche fan è rimasto perplesso dalla scena in Corsica, in cui Bozzo e i suoi associati si riuniscono indossando abiti antiquati, ma complottano ai danni di Martin Mystère (e Bozzo indossa il “collare di grazia”): può darsi che sia una delle tavole riadattate per la nuova versione della sceneggiatura (questo giustificherebbe anche l’errore di pag. 53, in cui la data indicata nel primo riquadro è l’inesistente venerdì 9 dicembre 1911), ma è più probabile che l’abbigliamento sia solo un omaggio al rispettato e temuto “padrino” dell’organizzazione; dopotutto, Bozzo è un uomo del 1800 e probabilmente in privato preferisce ricatturare l’atmosfera della sua epoca, anche nell’abbigliamento. E ovviamente, i suoi pittoreschi sottoposti si adeguano.
Restando sul tema della sceneggiatura originale e dell’utilizzo degli elementi narrativi di Paul Fèval, sembra molto probabile che il fumetto mirasse a presentare il personaggio di Remi D’Aix come il padre naturale di Cigale. I conti sembrano tornare: Remi era “giovane e bello” nel 1936, mentre Cigale è morto nel 1902, intorno ai 70 anni d’età.
La simmetria continuerebbe col fatto che Remi era un giudice istruttore nemico degli Habit Noirs, i quali per fortuna NON sono gli Uomini in Nero, ma stabiliscono una simmetria/continuità con il discendente di Cigale: Martin.
Nota a margine: stando allo stesso Lofficier, il personaggio letterario nemico di Les Habits Noirs si chiamava Remy D’Arx, e commise suicidio dopo essersi innamorato di Fleurette, che era in realtà una sua sorella biologica. Questo crudo epilogo giustificherebbe il cambio di nome nella versione a fumetti: come dalla tradizione mysteriana che prevede che la nella “realtà” di Martin le opere letterarie abbiano spesso un equivalente reale travisato e addomesticato, il Remi D’Aix “storico” a cui Paul Féval si era ispirato, cambiandone leggermente il nome, non fu vittima di eventi tanto tragici e visse abbastanza da generare un erede.
Saltando di palo in frasca, la scenografia dello studio di Mystere’s Mysteries presenta un logo del titolo della serie che non mi pare di aver mai notato prima: è una creazione di Dante Spada? Se lo è, andrebbe ripresa anche in futuro.
Spada conferisce una nuova veste grafica anche alle strutture esterne di Altrove, che hanno una elegante grafica, tanto moderna quanto ispirata alle istallazioni originali (non ci riferiamo alla frettolosa tavola di pagina 44, ma alle successive).
Cambiando ancora argomento, l’attentato al grattacielo non viene identificato: è un’allusione alle Torri Gemelle di New York che si è preferito non rendere ufficiale?
L’assenza di Fantômas dalla storia, oltre che programmatica sin dal titolo, è anche ribadita dal continuo ricorso alla letteratura ufficiale del personaggio, che viene illustrata senza che mai una volta si dica che si tratta della trasposizione di eventi realmente accaduti: rispetto alla tradizione di Martin Mystere, questo è un cambiamento radicale. Il concetto viene ribadito con forza e ironia nel finale: quando l’anonimo villain viene scoperto e bloccato, questi commenta con sarcasmo l’iconografia classica di Fantômas e del Doctor Doom, e non risparmia neppure le regole d’oro del romanzo giallo, da noi tirate casualmente in ballo nella recensione di "Longitudine zero".
Per finire, un paio di errori da revisore distratto. Il primo: a pagina 102, la data visualizzata riporta l’anno 2001 invece del 2011 (che sarebbe quello corretto per indicare l’evento incombente). Il secondo: Juve e Fantômas si danno prima del “tu” e poi del “voi” nella sequenza del loro ultimo scontro negli anni 1960 (e qui bisogna menzionare ancora l’abilità di Spada nel rendere le atmosfere dell’epoca, con l’inseguimento in automobile che sembra uscire da un film di James Bond).
L’Almanacco è tale anche per la presenza di rubriche e dossier, come ben noto: esattamente come per la storia, anche queste ultime hanno due anime.
Nella sezione dedicata al Mystero nei media, si scontrano critiche piuttosto forti a Adèle e l’enigma del faraone (a nostro avviso immeritate) e commenti “neutrali” ma insistiti sulla trilogia di Twilight. Quest’ultima ha ricevuto questo trattamento di favore anche nell’Almanacco del Mistero 2011, portandoci a sospettare che in redazione ci sia un fan in incognito. Scherzi a parte, lascia perplessi che un prodotto adolescenziale e decisamente non mysterioso, incentrato sull'imbarazzante concetto della Mary Sue narrativa, trovi tanto spazio su una pubblicazione a tema mysterioso: è vero che ci sono mostri come i vampiri e licantropi, i quali comunque sono più di competenza di Dylan Dog, ma è anche vero che si tratta di una loro versione pesantemente all’acqua di rose, ripulita e addomesticata, nonchè palestrata e imbellettata, mirata esclusivamente a fare leva sugli istinti ormonali di un pubblico vittima della pubertà; non si potrebbe accantonare l’argomento in favore di altri prodotti un po’ più adeguati e dignitosi?
Nella sezione dei dossier, si passa dall’intrigante e dettagliata saga di Fantômas, ovviamente collegata al volume di prossima uscita che Alfredo Castelli ha realizzato sul personaggio, a due rubriche svogliate e generiche. L’articolo su Dino Buzzati non è malaccio, ma non ha neanche un elemento mysterioso identificabile, mentre l’ultimo dedicato agli inquisitori si salva solo per certe curiosità sulla componente cinematografica (e per la menzione obbligatoria del Nicolas Eymerich di Valerio Evangelisti).
Quello che manca è il fil rouge che un tempo collegava le varie sezioni dell’Almanacco, amalgamandole in un prodotto coerente e omogeneo: purtroppo, dopo decenni di produzione è inevitabile che ciò accada, soprattutto se si vuole evitare di ripetersi.
Ultimo argomento, ma non meno importante: la copertina. Anche qui, si scontrano le due nature dell’Almanacco: l’idea di citare la più celebre copertina dei romanzi di Fantômas è tanto felice quanto obbligatoria, e la composizione generale (con Martin e Java nei panni di Juve e Fandor) è ben trovata, ma ci sono altri aspetti che non funzionano e rovinano l’effetto generale. Il primo è la colorazione, troppo semplicistica; una colorazione in stile pittorico avrebbe fatto meraviglie per questa copertina (recuperando l’atmosfera dell’originale e rendendolo più appetibile per i lettori occasionali). Nel novero della colorazione infelice rientra anche l’effetto ricorrente delle fiamme: come già osservato da un altro lettore, “sono finte!”.
Ultimo tocco davvero brutto: il satellite orbitale, prelevato di peso da una delle tavole della storia e incollato in quarta di copertina, senza un briciolo di effetto cosmico di transizione dell’immagine.
Ci è chiaro che questo approccio “in economia” è vantaggioso nella fase di realizzazione dell’albo, ma è anche vero che sulla lunga distanza ci sembra lavori a discapito delle vendite e del rientro economico. Ovviamente, è solo una nostra impressione, non suffragata da dati di vendita e analisi di mercato, ma vorremmo concludere facendo presente che tramite internet (eccoci di nuovo all’argomento del cambiamento che la rete ha portato nelle nostre vite) è possibile trovare artisti talentuosi che chiedono tariffe piuttosto contenute al solo scopo di poter presentare nel loro portfolio lavori associati a serie popolari.
In conclusione, sebbene l’albo sembri convincerci solo a metà, questa mezza convinzione supera di gran lunga la sufficienza: la rosa di argomenti del fumetto è affascinante, la narrazione è avvincente, la vicenda è tanto epica quanto potenzialmente grandiosa. Ora non resta che sperare che la porzione di trama scritta da Lofficier e “abortita” non vada sprecata: vogliamo sapere chi era Remi D’Aix e che legame aveva con Cigale.
Di più, visto che Castelli non ne sembra più in grado, ci auguriamo che Lofficier abbia l’opportunità di scrivere un altro soggetto che esplori ancora più a fondo le meraviglie del French Wold Newton Universe.
Almanacco del Mistero 2013: I cavalieri di Oz
Novembre 2012
Storia di Alfredo Castelli
Disegni di Alfredo Orlandi
Come annunciato dal titolo stesso della storia, questo Almanacco e il relativo fumetto sono dedicati al fiabesco mondo che lo scrittore Lyman Frank Baum creò con il suo “Il mago di Oz” ed ampliò poi per anni, realizzando qualcosa come quattordici volumi dedicati a questa realtà parallela.
Il fumetto sceneggiato da Alfredo Castelli raccoglie questa eredità e la coniuga all’universo di Martin Mystère, con una naturalezza tale da far credere che questo crossover fosse stato pianificato da sempre. La natura fiabesca e impossibile (appunto) delle vicende di Oz resta tale anche in questa avventura, ma si affianca in modo speculare alle vicende più prosaiche del “mondo reale”, in una curiosa coesistenza. E’ la natura stessa della saga di Oz che lo impone: il fiabesco, la fantasia, le emozioni devono avere comunque la meglio sullo squallore della meschina realtà (sebbene debba esistere un parallelo/connessione).
Ed ecco quindi che Castelli individua, con una felice intuizione, i rappresentati “reali” di questo bisogno: i Real Life Superheroes, cioè persone che sono cresciute nutrendosi di fumetti supereroistici e, una volta adulte, hanno deciso di mettere in pratica gli ideali e i sogno della loro giovinezza, cercando di emulare le gesta dei loro eroi (e per di più, per citare un commento trovato in rete, questi Real Life Superheroes avranno superato la linea tra fandom e fanatismo, ma a differenza di gran parte delle sottoculture basate sulla narrativa, non usando i loro costumi per fuggire dalla realtà, bensì per migliorarla: è più di quanto molti di noi possano dire).
Il parallelo tracciato è quindi generazionale: dai bambini cresciuti con le avventure di Oz ai bambini cresciuti con i comics della DC Comics o della Marvel. E a seguire, i lettori dei fumetti Bonelli? Di certo, la scelta di coinvolgere Altrove, Aldous e Max Brody, come fondamentali trait d’union tra il Mondo di Oz e la Terra (per non parlare dei rispettivi popoli e “valori”) è significativa e rappresentativa, non solo dell’universo Mysteriano con tutto il suo potenziale, ma anche del suo fandom.
Questo continuo parallelismo è parte programmatica della trama, e Castelli continua a tracciarlo in ogni aspetto affrontato: il tornando che solleva una casa senza sfasciarla, per esempio, passa dall’essere un elemento fantasticamente impossibile al venire spiegato in termini fantascientifici come un wormhole; Dortothy Gale diventa una agente di Altrove; le visite al Mondo di Oz, nel contempo, diventano possibili anche tramite altri metodi di fantasia, come l’esperienza onirica e il viaggio astrale.
In tutto ciò, si coglie l’essenza di altre avventure di Martin, che infatti modera il suo scetticismo di facciata con affermazioni che mescolano ironia e riconoscimento di tutte le esperienze impossibili oggettivamente vissute in trenta anni: il wormhole, ma anche l’accesso ad Altrove, sono descritti con le stesse caratteristiche dei “sentieri” basati sulle Ley Lines; il viaggio onirico corrisponde alle esperienze nell’Altierjinga (o Dreamtime, o Mondo dei Sogni, o comunque la si voglia chiamare); la letteratura che si rivela essere storia camuffata non è solo quella di Dorothy e Oz, bensì tutto o quasi l’immaginario noto, da Peter Pan a Sherlock Holmes. E tutto ciò sembra implicare che il mondo di Oz, alla pari di molti altri luoghi altrettanto pazzeschi visti in passato, sia classificabile come una regione di confine, un “luogo” a metà strada tra la nostra realtà e la dimensione dei sogni puri: un reame, quindi, dove le regole dei due mondi si mescolano, dando origine a un ibrido dove ogni bizzarria è consentita (e obbligatoria): dalle cadute vertiginose che non uccidono ai telecomandi al contrario.
Ulteriore elemento di contatto/fusione è una caratteristica del Martin Mystère storico, il primo e il migliore: il racconto di parte delle vicende a opera del “cliente di turno” (Martin non ne ha avuti tanti quanti Dylan Dog, ma di certo è molto più selettivo in quanto a originalità dei casi presentati). Non solo è giusto che la vicenda goda (in parte) della mediazione della narrazione intermedia, in quello stile squisitamente letterario che pone Martin Mystère (quello vero) una tacca al di sopra del resto dei prodotti di intrattenimento da edicola, ma soprattutto in questo caso, è neccessario e poetico che ciò avvenga, perchè la saga di Oz è una favola ed è quindi ovvio (e bello) che venga raccontata da due dei suoi personaggi.
Questo stesso approccio stilistico di fusione dei temi comuni, che credo sia splendidamente rappresentato dalla breve e programmatica sequenza in cui Martin rievoca le sue emozioni di bambino che scopriva il mondo di Oz, è presente anche nella risoluzione della vicenda, che è quanto di più pertinente e coerente si possa trovare. Un’adunanza delle forze del bene che sanno ancora sognare, una battaglia epica, degna tanto dei supereroi quanto del conflitto bene/male tipico della narrativa fantastica, ma anche un commovente tributo alla capacità di credere nei sogni che è tipica dei Real Life Superheroes (e di noi lettori, si spera). Insomma, è una favola e in quanto tale deve finire bene e in modo emozionalmente appagante per i fanciulli che noi siamo ancora “dentro” (o dovremmo essere, altrimenti andate a soddisfare il vostro adolescente interiore con Twilight).
La componente artistica di Alfredo Orlandi è la salvezza grafica di questo albo: dove altri autori inadeguati avrebbero affrontato il tema della favola disegnando tutti i personaggi come Popeye e Tiramolla, Orlandi mescola invece il realismo (si è documentato sui Real Life Super Heroes e li ha disegnati fedelmente, tanto che ho riconosciuto Dark Guardian per ben due volte) e la squisita iconografia classica di Oz (film e illustrazioni di libri e oggttistica: anche qui si è documentato). Il risultato è coerente con lo spirito della sceneggiatura, che ambisce con successo a mescolare realtà e fantasia, sfumandone i confini fino a farle sovrapporre per far trionfare la seconda.
Le citazioni del fantastico (e della realtà) sono numerosissime ed è difficile capire da chi siano state volute: di certo Orlandi è un esperto di comics, come dimostrato in passato, per cui è probabile che abbia contribuito in maniera molto ampia.
Ci limitiamo quindi a segnalare le più ovvie.
Il donnone nero che si fa chiamare “Red Tornado” e combatte con una padella sembra essere un omaggio a Ma’ Hunkel della DC Comics, famosa “tata” della Justice Society Of America che ebbe un passato di supereroina con quello stesso nome in codice (e con un pentolone come maschera).
Angelo (anzi Arcangelo) ricorda Warren Worthington III di X-Men, a sua volta un mutante chiamato prima Angelo e poi Arcangelo.
Libellula sembra basata su Wasp, la supereroina della Marvel che ha a lungo guidato gli Avengers, facendoli sopravvivere ad alcune delle loro crisi più grandi. Il costume, però, ha notevoli reminescenze di quello di Power Girl della DC Comics.
Uno dei Real Life Superheroes è niente meno che L’Asso di Picche!
I supercriminali dei fumetti citati qui sono Doctor Octopus (nemico di Spider-Man della Marvel Comics), Doomsday (nemico di Superman della DC Comics) e infine il dottor Sivana (sempre della DC Comics, nemico del Captain Marvel che compare sullo sfondo).
Nella scena (epica) della “chiamata” dei Real Life Superheroes, c’è spazio per una terrificante “papamobile” con tanto di pontefice mascherato, e anche per il veicolo usato da Dick Dastardly e Muttley nella serie animata Wacky Races.
Uno dei Real Life Superheroes ha un costume a metà tra quello del Green Lantern della Silver Age e quello di Ralph Super Maxieroe, ma la sua faccia ricorda l’attore Matthew Perry.
All’adunanza dei Real Life Superheroes in Kansas appare un tipo vestito come il malvagio Tarantula della Marvel.
Tra i volti delle creature inquietanti che compaiono durante la caduta di Martin e Java, segnaliamo il mostro di Frankenstein, l’Uomo Lupo e la curiosa presenza di Grimilde, la strega nemica di Biancaneve. (Curiosa? Ma non è tutta una favola questa storia?)
Lasciamo invece ai lettori il piacere di riconoscere le varie apparizioni di personaggi che sono legati al mondo di Oz, ma provengono da diverse continuità (romanzi, film, film d’animazione eccetera).
I dossier ci fanno la gradita sorpresa di essere tutti pertinenti.
A parte quello ovvio sul mondo di Oz, la visionarietà di Jorodowski ben si sposa con il tema del viaggio in mondi fantastici (per non parlare del paragrafo dedicato alla sostituzione delle teste, scena che ritorna anche nel fumetto).
In tema è anche l’argomento finale degli onironauti (se esiste questo termine), visto che il fumetto tratta anche di essi e di come Oz sia il mondo del sogno/immginazione per eccellenza. Un altro, sottilissimo collegamento tra quest’ultimo dossier e il fumetto è dato dalla figura guida di Little Nemo: al pari delle vicende di Oz, si tratta di un fumetto che ha avuto un fortissimo impatto sull’infanzia di Martin Mystère (e come se non bastasse, Castelli e Orlandi hanno lavorato insieme anche nel Gigante dedicato in parte a Little Nemo).
La copertina di Giancarlo Alessandrini non si segnala per nulla di particolare: la legnosità dei personaggi sembra dipendere abbastanza dal contesto e dal tipo di narrazione (sebbene Orlandi nel fumetto mostri che si può fare di più nel ricatturare la grafica dell’epoca e della serie in questione) e l’impostazione è davvero tipica dell’Almanacco.
Molto gradevole la colorazione: almeno qui si capisce che l’arcobaleno è tale. Quello semplicemente tratteggiato che si vede nel fumetto poteva essere qualunque cosa: sarebbe stato auspicabile dargli qualche sfumatura di grigio. O magari sarebbe stato peggio.
La nuova veste grafica degli Almanacchi, come ben noto, si ferma alla copertina.
Testi: Alfredo Castelli
Disegni: Giancarlo Alessandrini
Disegni: Giancarlo Alessandrini
Terzo episodio di quella che è ormai una serie spin-off: Martin Mystère Anni 30, infatti, è costruita con la tecnica delle strip stories, oltre che dei racconti pulp che omaggia e di cui si nutre l'immaginario proposto da Castelli. Ogni episodio incomincia dove era terminato il precedente, così l'ultima tavola de L'impero sottomarino (pubblicato nell'Almanacco Mistero 2014) viene ripresa e ampliata nelle prime due di Saturno contro la Terra, ove scopriamo che cosa aveva terrorizzato il redivivo Sergej Orloff, sfuggito alla cattura di Travey e Altrove: si tratta di una creatura aliena che, dopo averlo inghiottito, lo trasporta su Saturno.
La sceneggiatura "a strisce", in chiave rivisitata, aggiornata e mimetizzata, è sempre attuale, come da la produzione Disney dimostra grazie a storie memorabili di autori quali Romano Scarpa e Andrea “Casty” Castellan. Questa narrativa avventurosa è da sempre una delle predilette di Alfredo Castelli, che su di essa basò buona parte degli elementi migliori del Martin Mystère ("versione originale") dei primi anni, per poi riprenderla nelle avventure steampunk del Docteur Mystère, pubblicate proprio sugli Almanacchi invernali. Come Sergej Orloff prima del restyling degli anni '90 e il maresciallo Radetsky nelle storie quasi-immaginarie del Docteur, il Sergej Orloff versione Anni 30 si salva all'ultimo istante utile e in qualche modo riesce a ritornare nell'avventura successiva, magari trascinandosi qualche menomazione o generica novità che gli permetta di essere di nuovo appetibile al lettore abituale della serie.
Uno degli elementi di spicco di questa variante dieselpunk del BVZM è proprio Sergej Orloff. In quest'ultimo episodio in particolare, l'utilizzo che ne fa Castelli è l'elemento più intrigante della storia: dimostrando di essere ancora in grado di divertirsi e sorprendersi, Castelli sfrutta l'iconico Sergej Orloff mascherato, rancoroso e spietato prima per instillare dubbi nel lettore, mostrando il cadavere di una sua copia, e poi recuperandolo nel classico ruolo "alla Imperatore Ming", più che mai pertinente, dato che l'episodio vuole essere un omaggio a Flash Gordon. In più, lo dota di un esercito di robo-Orloff, il cui volto riprende quello di Sergej in chiave "cartoonizzata", trovata decisamente kitsch ma in linea con l'atmosfera alla “Barone di Munchhausen” della serie (possiamo considerare questi Anni 30 come il seguito ideale dei diari del Docteur). Lo stesso vale per le altre "follie" di cui la storia è costellata, da Angie alla spia Saturniana lunatica, con una particolare menzione per Guglielmo Bertone, "l'uomo più colto del mondo", il quale, a ben pensarci, non poteva non essere un collaboratore di Altrove (o del Governo).
Com'è noto (menzioniamo nuovamente i diari del Docteur Mystère), anche nelle storie più leggere Castelli non rinuncia mai a costruire un intreccio di una certa complessità. Ma se nell'avventura dello scorso anno (L'impero sottomarino) i fili erano stati districati soltanto con spiegazioni dettagliate e balloons piuttosto pesanti da leggere, in Saturno contro la Terra tutto torna con una puntualità quasi ammirevole (vedasi il tormentone delle caramelle, che nasconde la risoluzione decisiva) e con flashback della lunghezza necessaria.
Per quanto riguarda l'attinenza a quello che sembrava l'omaggio più rilevante dell'episodio, ovvero il fumetto Saturno contro la Terra, scritto da Federico Pedrocchi e Cesare Zavattini e disegnato da Giovanni Scolari, esso si riduce (come peraltro anticipato dallo stesso Castelli nella prefazione) al titolo e al look dei Saturniani. V'è forse un terzo omaggio, ma non è affatto esplicitato: nel fumetto originale i Saturniani (ma anche i terrestri, a dire il vero) si comportano sostanzialmente come dei babbei; i Saturniani di Castelli non sono da meno, ma è perché sono telepaticamente comandati dalla mente di Gorsamsa, un umano trasformato in alieno e dal carattere decisamente frustrato. Il consueto raziocinio di Castelli potrebbe aver risolto un altro mystero, ancorché di carattere ludico.
Lo stesso Sergej Orloff, che non crepa mai, è paragonabile al tenace capo saturniano Rebo, ma lo stesso paragone vale per ogni malvagio delle serie fantastiche dell’epoca. Castelli aveva inoltre già citato questa saga ne "Il leone del Transvaal" (Almanacco del Mistero 2011).
A parte questo, il vero Saturno contro la Terra viene offuscato, nella scala degli omaggi, da altri film e fumetti (ed è un peccato non vedere menzionata, da nessuna parte, la parodia/prosecuzione disneyana della saga di Rebo, realizzata da Carlo Chendi e Luciano Bottaro nel 1960 e negli anni 1990). I Saturniani vengono considerati i veri responsabili della Guerra dei Mondi del 1895, e vengono così fusi con i marziani di H.G.Wells; tale Guerra dei Mondi viene a sua volta fusa con quella inscenata da Orson Welles nel 1938. Quest'ultimo episodio viene meticolosamente ricostruito da Castelli, e inserito mysterianamente in una cospirazione governativa atta a salvare la popolazione a sua insaputa, sulla base di quelle già viste, ad esempio, nello Speciale Ultimatum alla Terra.
L'omaggio principe, ad ogni modo, è al fumetto Flash Gordon e al lavoro di Alex Raymond, cui sono dedicati anche il dossier principale firmato Graziano Frediani e Maurizio Colombo. Ma non sono pochi nemmeno gli echi di John Carter di Marte (di nuovo "fuso" con Saturno in questa rivisitazione).
Le citazioni, gli omaggi e i rimandi non si fermano qui. Senza avere la pretesa di vincere il "concorso" indetto da Castelli nella rubrica che anticipa il fumetto, ecco un elenco (in ordine di comparizione) di quelli che abbiamo identificato:
- l'ispettore Travey (a pagina 37), già apparso nei precedenti episodi, è modellato su Dick Tracy, creato da Chester Gould nel 1931.
- l'uniforme indossata da Martin (pag.39-43) ricorda quella di Adam Strange, noto fumetto della DC Comics.
- Il dottor Kopak menzionato da Martin (a pagina 40) è il dr. Kalla Kopak, scienziato amico di Brick Bradford.
- Il professor Zarkov (a pagina 42) è Hans Zarkov, lo scienziato che convinse Flash Gordon ad andare su Morgo.
- l'Overland Sedan (a pagona 43) è l'auto-tipo degli anni '30, prodotta dalla Willys.
- La battuta di Angie "Ho sposato un mostro venuto da Saturno" (a pagina 46) rimanda al film Ho sposato un mostro venuto dallo spazio (I married a monster from outer space, di Gene Fowler, 1958).
- Il "Buck" (a pagina 46) partner di Angie nel film è Buck Rogers. "Due facce" potrebbe essere un richiamo, oltre che alla natura dell'attore che interpreta il Saturniano, al celebre nemico di Batman.
- nel film i Saturniani hanno un terzo polmone (a pagina 47), come i Klingon di Star Trek.
- il regista del film cui lavora Angie, Wood D. Edwards (a pagina 48), è Edward D. Wood, considerato il peggiore regista di ogni tempo (o il regista del film più brutto di ogni tempo, Plan 9 from outer space). C’è anche un possibile richiamo a Blacke Edwards, regista fra l’altro de La pantera rosa.
- "Ramon Raquello e la sua orchestra", "La cumparsita", gli annunci e parte del testo di Whales (a pagina 52 e seguenti) provengono dal testo de La Guerra dei Mondi di Orson Welles, trasmesso il 30 Ottobre 1938.
- Orton Whales (a pagina 55) è ovviamente Orson Welles, regista di Quarto Potere (Citizen Kane, 1941) e monumento della cinematografia.
- la forma delle navi volanti (a pagina 57) ricorda quella degli scudi di Jeeg Robot d’Acciaio (Kotetsu Jeeg).
- la sconfitta dei Saturniani nella prima invasione (a pagina 61) richiama quella dei marziani in La Guerra dei Mondi di H.G.Wells (la causa è la stessa).
- Edison e Tesla (a pagina 67) erano effettivamente concorrenti.
- Wedison Eastinghouse (a pagina 71) è un incrocio tra Edison e Westinghouse, concorrenti nella Guerra delle Correnti del 1880.
- "Marvin Riddle" (a pagina 80) era un imprenditore del carbone, ma nel fumetto viene inteso come periodico stile National Enquirer (??)
- i pomodori Juanita (a pagina 81-82) sono una variante di pomodoro.
- la canzone cantata da Angie (a pagina 82) per i pomodori Juanita è il celebre jingle della banana Chiquita.
- il Filzlaus (a pagina 85) è il nome tedesco dello Pthirus pubis, ovvero il pidocchio da pube, più comunemente noto come la piattola.
- la prima invasione dei Saturniani è avvenuta nel 1897 (a pagina 89), anno di uscita del romanzo La guerra dei mondi di Wells.
- il rimando agli "alieni ad Hoboken", New Jersey, ci è sconosciuto. La località è nota per l'alto afflusso immigratorio, e la battuta potrebbe nascondere un qualche riferimento a qualche modo di dire del luogo ( alien” in inglese è usato comunemente per indicare lo “straniero”). Oppure potrebbe semplicemente essere un rimando a David Higgins, artist-abductee di Hoboken e ritrattista di alieni e "ufini" cui sono state dedicate più esposizioni.
- Guglielmo Bertone, "l'uomo più colto del mondo" (a pagina 94), interpretato da Alberto Sordi, è il celebre protagonista dell'episodio Guglielmo il dentone, terzo segmento del film I complessi di Dino Risi (1965).
- Il signor Vance, il capitano Chan, il signor Poirot e la signora Marple (a pagina 95) sono Philo Vance di S.S. Van Dine, Charlie Chan di Earl Derr Biggers, Hercule Poirot e Miss Marple di Agatha Christie, noti detective del mondo letterario.
- l’influenza del Wold Newton Universe da cui scaturisce l’intera saga porta a queste immancabili rivelazioni: Flash Gordon e Doc Savage (a pagina 97), come già Buck Rogers in precedenza, nell'universo creato da Castelli sono personaggi realmente esistenti, ma dalla fama così enorme da essere diventati anche eroi di fiction.
- John Carter di Marte (a pagina 98) è l'eroe creato da Edgar Rice Burroughs.
- Ritornano gli scienziati Kapok e Zarkov, già nominati in precedenza, e affiancati dal prof. Huer, comprimario dei fumetti di Buck Rogers.
- il robot scalciato da Martin a pagina 102 assomiglia molto a Bender di Futurama.
- "Gorsamsa" (pagine 104-107) assomiglia molto ai brain bugs di Starship Troopers.
- il nome Gorsamsa è una contrazione di Gregor Samsa, il nome del protagonista di Le metamorfosi di Franz Kafka. Entrambi sono uomini trasformati in insetti (alieno nel fumetto).
- a pagina 108, Orloff cita la "settima legge della fantascienza", che richiama le tre leggi della science fiction di Arthur C. Clarke (la wiki umoristica Uncyclopedia ne propone invece otto). Nel farlo, menziona Fanteria dallo spazio, la Morte Nera di Star Wars e Indipendence Day.
- lo Starmate 1.01 (pagine 112 e 116) è ovviamente lo Stargate, nella sua versione base.
- le caramelle Wham (a pagina 114) esistono realmente, anche se sono state introdotte negli anni 1980 e non sono a forma di salvagente.
- anche le Line Savers (a pagina 118) esistono realmente. Si chiamano Life Savers ("salvagenti") e non appartengono alla Wham.
- i rocket men (a pagina 121) richiamano il supereroe Rocketeer, creato nel 1982 da Dave Stevens in omaggio agli eroi pulp.
- la "Zona Esagonale" (a pagina 126) richiama la Zona Fantasma dei fumetti della DC Comics, la quale è però rappresentata di forma quadrata. La forma dell’esagono deriva invece dalla mytologia mysteriana.
- Orton Whales non ha poi diretto "La bella Ubalda" (a pagina 128). In compenso, Mariano Laurenti ha diretto "Quel gran pezzo dell'Ubalda..." (1972), ma senza Angie.
- Angie e Diana imitano le gemelle Kessler (a pagina 128) accompagnando Bertone come nel finale del già citato Guglielmo il dentone.
Arte
L'arte di Alessandrini rientra nei consueti canoni dell'autore, ormai contraddistinti da un'alternanza di vignette pressoché perfette e di altre più sciatte e meno rifinite. Particolarmente indovinato il volto dei robo-Orloff e simpatica ma inquietante (dunque riuscita) la riproduzione del volto di Sordi/Bertone. La Diana di Alessandrini sembra sempre più vecchia e imbolsita di quella di altri autori, come se altre mani si fossero sovrapposte a quella del disegnatore ufficiale (che per un certo periodo era assistito alle chine dalla moglie).
Attualità e Dossier
Le sezioni Libri e Film e i Dossier rientrano nella norma dei precedenti Almanacchi. La sezione Telefilm invece vacilla (di proposte mysteriose ve ne sono molte, ma non sono quelle menzionate) e la rubrica dedicata ai fumetti potrebbe essere ampliata, magari usando lo spazio di quella dedicata ai Film (in un Almanacco del Mistero è più pertinente leggere di fumetti mysteriosi che di film di supereroi).
Conclusioni
La cura e il divertimento che traspaiono da questo spin-off "immaginario" ideato, scritto e curato da Alfredo Castelli non possono non far rimpiangere un analogo trattamento per la serie bimestrale di Martin Mystère. Se non direttamente, almeno per interposta persona: Castelli sa ancora maneggiare benissimo la materia narrativa e la struttura seriale, ma se non ha più voglia di farlo sul bimestrale, che lo "insegni" agli altri autori e li coordini. Alla fine, per chi non è direttamente appassionato all'epoca in cui la serie è ambientata, questi Anni 30 possono offrire motivi di interesse soltanto per l'umorismo e per il ritmo da strip story, il quale non è solo sinonimo di nostalgia ma anche di profonda conoscenza del medium. Questo Almanacco dimostra da una parte che la classe del Maestro c'è ancora (gli ultimi due albi regolari scritti da Castelli non davano questa impressione), e dall'altra che è fondamentale che sia sfruttata nel modo giusto e non per operazioni fini a sé stesse.
Ottobre 2011
Soggetto di Alfredo Castelli e Carlo Recagno.
Sceneggiatura di Carlo Recagno.
Disegni di Sergio Giardo.
Come i lettori più fedeli sanno, la saga secolare di Altrove è da sempre caratterizzata dall’imprevedibilità dell’approccio narrativo: esistono certi capisaldi da cui gli autori teoricamente non possono distaccarsi, come il periodo temporale dell’azione principale (Altrove è nata alla fine del 1700 e non sembra aver avuto precursori, per ora), l’utilizzo di personaggi storici e letterari, un titolo lunghissimo che richiami gli albi precedenti (però senza citare Sherlock Holmes) e così via, ma resta il fatto che è arduo dedurre come sarà impostato l’albo a partire dalle anteprime diffuse nei mesi precedenti all’uscita.
In passato, la serie ha utilizzato l’orrore letterario (gotico e lovecraftiano), l’ironia paradossale alla Twain, la proto-fantascienza alla Wells, il giallo alla Doyle, il surreale alla Lynch e via elencando; e c'è una lunga lista degli ospiti illustri, sia in termini letterari che storici.
Con "La donna che cambiò la storia d’Italia", gli autori riassumono la storia della collana e creano una densa trama che da riepilogo passa a rilancio, con l’inaugurazione di nuove strade da percorrere forse in futuro (parlando di Martin Mystère n. 300, si era osservato che la presunta Altrove del 26esimo secolo si presta a una nuova avventura su un albo una tantum, oppure anche ad apparire in SdA, forzando i limiti degli obblighi ‘teorici’ sopra descritti).
Il racconto è una sintesi di generi: il tema principale è quello dei paradossi temporali, tratti dalla immancabile serie televisiva britannica del Doctor Who, come diversi omaggi testimoniano; a esso si intrecciano il feuilleton, la ricostruzione storica, l’orrore gotico, il melodramma, l’opera lirica, il romanzo di anticipazione e suggestioni delle produzioni nipponiche (dal dichiarato parallelo tra il conte di Cavour e Gendo Ikari di Neon Genesis Evangelion al surreale scontro musicale Svengali/Verdi, che non sfigurerebbe tra i migliori capitoli del recente manga Saint Seiya: Lost Canvas).
In questa articolata struttura, si inserisce anche una dose di continuità su più livelli, con agganci alla realtà storica: non parliamo solo di Aldous Morrigan (di cui finalmente viene narrato l’ingresso ad Altrove), ma anche e soprattutto del collegamento tra il romanzo Abrakadabra di Antonio Ghislanzoni e il fumetto breve Se a Milano ci fosse il mare di Alfredo Castelli. Chi mai si sarebbe sognato una connessione tra il librettista di Giuseppe Verdi e i “canali del tempo” che Leonardo da Vinci aveva lasciato in eredità nel sottosuolo di Cernusco sul Naviglio?
Ovviamente, questa non è che una parte del lavoro di ricerca dietro questo albo, come testimonia anche la leggenda urbana della “donna velata” di Torino. Oggidì è un lavoro ora facilitato dall’esistenza di internet, ma un conto è accumulare documentazione (e leggerla), un altro è rielaborarla per costruire quella nuova impalcatura narrativa (al contempo fantastica ma plausibile) che è uno dei marchio di fabbrica delle produzioni degne della serie di Martin Mystere.
Come si traduce questa premessa, in termini narrativi? La narrazione è robusta ma scorrevole. Nello sviluppo della storia, c’è una netta tensione narrativa verso la risoluzione finale, che però lascia anche spazio ai personaggi e al contesto, bilanciando la logica a incastro della spiegazione del mistero e le suggestioni culturali e storiche degli autori. Se ogni sequenza contribuisce in maniera determinante allo sviluppo della trama, è anche vero che in ognuna di esse trovano spazio ulteriori livelli di lettura.
A questo proposito, l'intervista Tutti i dietro le quinte di Carlo Recagno conferma il manifesto programmatico dell’albo. Chi si sarebbe mai aspettato di trovare Nathan Never (nonostante anche questa serie sia citazionista fino a sfiorare il plagio) fianco a fianco con i concetti mistico/magici della DC Comics?
Recagno ha invitato i lettori a riconoscere un ultimo omaggio relativo a un cantautore italiano: a differenza del tributo alla Rock Of Eternity di Captain Marvel,un motore di ricerca ci ha svelato che Svengali si presenta a Verdi citando la canzone Il Camionista Ghost Rider del cantautore Davide Van De Sfroos (presente nell’album Yanez).
Tornando alla costruzione narrativa dell’albo, la sua già citata scorrevolezza è data dalla struttura a rimando di ogni singola sequenza, che, come in un gioco di squadra, passa la palla al giocatore successivo.
Dalla (suggestiva e apocalittica) visione della Milano alternativa del 2011 si passa all’Altrove del 1860, dove Aldous e “Papà” ricostruiscono per noi futuro possibile, presente incerto e passato prossimo, unificando fantascienza, storia e narrativa popolare serializzata. Da qui, si passa a Torino, dove la coprotagonista Christina De Souza affronta una leggenda popolare e nello stesso tempo un ramo collaterale della trama portante. Ricevuto il testimone della narrazione, Christina lo porta metaforicamente a Giuseppe Verdi, che contribuisce a riannodare la narrazione con uno dei flashback forniti in precedenza da Aldous. Ciò è causa del primo scontro con l’antagonista della saga, che a sua volta fa confluire in un solo punto la vicenda di Napoleone III, Garibaldi, Christina e Verdi. Nello scontro finale, lo stesso Aldous ritorna in scena, contribuendo a completare il cerchio narrativo (in tutti i sensi, visto che c’è anche un paradosso temporale di mezzo). E, quando tutto sembra finalmente risolto, gli ultimi elementi sparsi quasi a caso nell’albo (le parole ambigue che Christina si è lasciata sfuggire in un paio di occasioni) proiettano l’intera narrazione in un remotissimo futuro, raggiungendo un ulteriore apice di continuità che collega questa particolare vicenda a tutto l’universo mysteriano (bonelliano?).
La copertina di Giancarlo Alessandrini è abbastanza anonima, mentre l’illustrazione interna (qual è il nome tecnico?) è decisamente più in sintonia con la storia, lasciando pensare che il disegnatore Sergio Giardo si sia sentito coinvolto nell’opera a un livello più alto di quello professionale del semplice illustratore.
Storie Da Altrove n. 14 - "La donna che cambiò la storia d’Italia"
Ottobre 2011
Soggetto di Alfredo Castelli e Carlo Recagno.
Sceneggiatura di Carlo Recagno.
Disegni di Sergio Giardo.
Come i lettori più fedeli sanno, la saga secolare di Altrove è da sempre caratterizzata dall’imprevedibilità dell’approccio narrativo: esistono certi capisaldi da cui gli autori teoricamente non possono distaccarsi, come il periodo temporale dell’azione principale (Altrove è nata alla fine del 1700 e non sembra aver avuto precursori, per ora), l’utilizzo di personaggi storici e letterari, un titolo lunghissimo che richiami gli albi precedenti (però senza citare Sherlock Holmes) e così via, ma resta il fatto che è arduo dedurre come sarà impostato l’albo a partire dalle anteprime diffuse nei mesi precedenti all’uscita.
In passato, la serie ha utilizzato l’orrore letterario (gotico e lovecraftiano), l’ironia paradossale alla Twain, la proto-fantascienza alla Wells, il giallo alla Doyle, il surreale alla Lynch e via elencando; e c'è una lunga lista degli ospiti illustri, sia in termini letterari che storici.
Con "La donna che cambiò la storia d’Italia", gli autori riassumono la storia della collana e creano una densa trama che da riepilogo passa a rilancio, con l’inaugurazione di nuove strade da percorrere forse in futuro (parlando di Martin Mystère n. 300, si era osservato che la presunta Altrove del 26esimo secolo si presta a una nuova avventura su un albo una tantum, oppure anche ad apparire in SdA, forzando i limiti degli obblighi ‘teorici’ sopra descritti).
Il racconto è una sintesi di generi: il tema principale è quello dei paradossi temporali, tratti dalla immancabile serie televisiva britannica del Doctor Who, come diversi omaggi testimoniano; a esso si intrecciano il feuilleton, la ricostruzione storica, l’orrore gotico, il melodramma, l’opera lirica, il romanzo di anticipazione e suggestioni delle produzioni nipponiche (dal dichiarato parallelo tra il conte di Cavour e Gendo Ikari di Neon Genesis Evangelion al surreale scontro musicale Svengali/Verdi, che non sfigurerebbe tra i migliori capitoli del recente manga Saint Seiya: Lost Canvas).
In questa articolata struttura, si inserisce anche una dose di continuità su più livelli, con agganci alla realtà storica: non parliamo solo di Aldous Morrigan (di cui finalmente viene narrato l’ingresso ad Altrove), ma anche e soprattutto del collegamento tra il romanzo Abrakadabra di Antonio Ghislanzoni e il fumetto breve Se a Milano ci fosse il mare di Alfredo Castelli. Chi mai si sarebbe sognato una connessione tra il librettista di Giuseppe Verdi e i “canali del tempo” che Leonardo da Vinci aveva lasciato in eredità nel sottosuolo di Cernusco sul Naviglio?
Ovviamente, questa non è che una parte del lavoro di ricerca dietro questo albo, come testimonia anche la leggenda urbana della “donna velata” di Torino. Oggidì è un lavoro ora facilitato dall’esistenza di internet, ma un conto è accumulare documentazione (e leggerla), un altro è rielaborarla per costruire quella nuova impalcatura narrativa (al contempo fantastica ma plausibile) che è uno dei marchio di fabbrica delle produzioni degne della serie di Martin Mystere.
Come si traduce questa premessa, in termini narrativi? La narrazione è robusta ma scorrevole. Nello sviluppo della storia, c’è una netta tensione narrativa verso la risoluzione finale, che però lascia anche spazio ai personaggi e al contesto, bilanciando la logica a incastro della spiegazione del mistero e le suggestioni culturali e storiche degli autori. Se ogni sequenza contribuisce in maniera determinante allo sviluppo della trama, è anche vero che in ognuna di esse trovano spazio ulteriori livelli di lettura.
A questo proposito, l'intervista Tutti i dietro le quinte di Carlo Recagno conferma il manifesto programmatico dell’albo. Chi si sarebbe mai aspettato di trovare Nathan Never (nonostante anche questa serie sia citazionista fino a sfiorare il plagio) fianco a fianco con i concetti mistico/magici della DC Comics?
Recagno ha invitato i lettori a riconoscere un ultimo omaggio relativo a un cantautore italiano: a differenza del tributo alla Rock Of Eternity di Captain Marvel,un motore di ricerca ci ha svelato che Svengali si presenta a Verdi citando la canzone Il Camionista Ghost Rider del cantautore Davide Van De Sfroos (presente nell’album Yanez).
Tornando alla costruzione narrativa dell’albo, la sua già citata scorrevolezza è data dalla struttura a rimando di ogni singola sequenza, che, come in un gioco di squadra, passa la palla al giocatore successivo.
Dalla (suggestiva e apocalittica) visione della Milano alternativa del 2011 si passa all’Altrove del 1860, dove Aldous e “Papà” ricostruiscono per noi futuro possibile, presente incerto e passato prossimo, unificando fantascienza, storia e narrativa popolare serializzata. Da qui, si passa a Torino, dove la coprotagonista Christina De Souza affronta una leggenda popolare e nello stesso tempo un ramo collaterale della trama portante. Ricevuto il testimone della narrazione, Christina lo porta metaforicamente a Giuseppe Verdi, che contribuisce a riannodare la narrazione con uno dei flashback forniti in precedenza da Aldous. Ciò è causa del primo scontro con l’antagonista della saga, che a sua volta fa confluire in un solo punto la vicenda di Napoleone III, Garibaldi, Christina e Verdi. Nello scontro finale, lo stesso Aldous ritorna in scena, contribuendo a completare il cerchio narrativo (in tutti i sensi, visto che c’è anche un paradosso temporale di mezzo). E, quando tutto sembra finalmente risolto, gli ultimi elementi sparsi quasi a caso nell’albo (le parole ambigue che Christina si è lasciata sfuggire in un paio di occasioni) proiettano l’intera narrazione in un remotissimo futuro, raggiungendo un ulteriore apice di continuità che collega questa particolare vicenda a tutto l’universo mysteriano (bonelliano?).
La copertina di Giancarlo Alessandrini è abbastanza anonima, mentre l’illustrazione interna (qual è il nome tecnico?) è decisamente più in sintonia con la storia, lasciando pensare che il disegnatore Sergio Giardo si sia sentito coinvolto nell’opera a un livello più alto di quello professionale del semplice illustratore.
Oltre
all’ottima prova grafica (sempre dettagliata e particolarmente
evocativa/efficace nell’arduo compito di illustrare la “nuova musica” di
Svengali e Verdi), segnaliamo alcune delle citazioni introdotte da
Giardo nei corridoi di Altrove:
- Chewbacca di Star Wars
- Asoka Tano di Clone Wars Animated
- Walter Bishop di Fringe
Annotazioni sparse
La figura di Aldous spiazza nella sua coerenza: abituati come siamo a vederlo in azione nel presente, ci aspetteremmo di vederlo anche ora in veste di mago saggio, onnipotente e onnoscente, mentre nella realtà l’Aldous di 150 anni fa deve per forza essere abbastanza impreparato agli orrori e alle “meraviglie” del nostro presente.
L’unica nota stonata potrebbe essere la sua incapacità di paragonare la tecnologia moderna agli strumenti magici più classici. Come già Alfredo Castelli osservava anni fa, cosa sono il telefono cellulare, internet e la televisione se non una versione riveduta e potenziata della sfera di cristallo e dello specchio magico? (Ma è anche vero che le visioni apparsegli sono state parecchio arbitrarie, come dimostra l’equivoco dell’aereo di linea).
E’ ironico che la Milano del 2011 sembri ad Aldous un trionfo di modernità: l’arbitrarietà della visione gli ha risparmiato cose come l’inquinamento soffocante, le periferie degradate, i quartieri dormitorio, le piazze dello spaccio, il terrore delle aggressioni diurne nella zona di Milano Centrale, il traffico congestionato, i treni costantemente guasti o in perenne ritardo, i cittadini in preda a esaurimenti nervosi.
A pagina 25, il “televisore” è animato con due pupazzi dalle fatture familiari, che però Recagno non cita nel suo “dietro le quinte”. Chi sono? Personaggi di Sesame Street?
Chissà se il futuro visitato da Ghislanzoni è apparentabile alla realtà del Jules Verne de La macchina pensante?
La caratterizzazione di "Papà" è molto diversa da quella del personaggio di SdA n. 6:sebbene il suo interesse romantico per Garibaldi rimanga, "Papà" è molto meno brusca e sicura di sé. Forse gli anni si sono fatti sentire.
L’Agente 26 ("Christina de Souza") è una felice creazione: nonostante venga da un futuro remoto e sappia compiere scelte difficili all’occorrenza, resta comunque umana nella sua timida interazione con personaggi storici leggendari come Giuseppe Verdi e Aldous Morrigan.
Settembre 2013
- Chewbacca di Star Wars
- Asoka Tano di Clone Wars Animated
- Walter Bishop di Fringe
Annotazioni sparse
La figura di Aldous spiazza nella sua coerenza: abituati come siamo a vederlo in azione nel presente, ci aspetteremmo di vederlo anche ora in veste di mago saggio, onnipotente e onnoscente, mentre nella realtà l’Aldous di 150 anni fa deve per forza essere abbastanza impreparato agli orrori e alle “meraviglie” del nostro presente.
L’unica nota stonata potrebbe essere la sua incapacità di paragonare la tecnologia moderna agli strumenti magici più classici. Come già Alfredo Castelli osservava anni fa, cosa sono il telefono cellulare, internet e la televisione se non una versione riveduta e potenziata della sfera di cristallo e dello specchio magico? (Ma è anche vero che le visioni apparsegli sono state parecchio arbitrarie, come dimostra l’equivoco dell’aereo di linea).
E’ ironico che la Milano del 2011 sembri ad Aldous un trionfo di modernità: l’arbitrarietà della visione gli ha risparmiato cose come l’inquinamento soffocante, le periferie degradate, i quartieri dormitorio, le piazze dello spaccio, il terrore delle aggressioni diurne nella zona di Milano Centrale, il traffico congestionato, i treni costantemente guasti o in perenne ritardo, i cittadini in preda a esaurimenti nervosi.
A pagina 25, il “televisore” è animato con due pupazzi dalle fatture familiari, che però Recagno non cita nel suo “dietro le quinte”. Chi sono? Personaggi di Sesame Street?
Chissà se il futuro visitato da Ghislanzoni è apparentabile alla realtà del Jules Verne de La macchina pensante?
La caratterizzazione di "Papà" è molto diversa da quella del personaggio di SdA n. 6:sebbene il suo interesse romantico per Garibaldi rimanga, "Papà" è molto meno brusca e sicura di sé. Forse gli anni si sono fatti sentire.
L’Agente 26 ("Christina de Souza") è una felice creazione: nonostante venga da un futuro remoto e sappia compiere scelte difficili all’occorrenza, resta comunque umana nella sua timida interazione con personaggi storici leggendari come Giuseppe Verdi e Aldous Morrigan.
Settembre 2013
Storia di Carlo Recagno
Arte di Alfredo Orlandi
TUTTE LE STORIE DI ALTROVE
Bruciando tutti sul tempo, il curatore e scrittore della collana annuale di Storie da Altrove ha rilasciato un’intervista in cui commenta tutti gli elementi narrativi salienti de “Il vampiro che fece la rivoluzione”, e senza troppe anticipazioni.
Di conseguenza, cosa resta da dire a noi recensori?
Per
prima cosa, ricorreremo al trucco della preterizione caro ad Alfredo
Castelli, e quindi parleremo comunque di ciò che è già stato detto,
fosse anche solo per sottolineare come questo albo sia una lettura
autonoma, nonostante le numerose connessioni col resto della saga di SdA.
Nello stile tipico del Chris Claremont dei tempi migliori, questo albo sviluppa una vicenda che era stata solo accennata in “La Creatura che venne dall’Inferno” (Storie da Altrove n. 7), dove si parlava delle conseguenze di un’avventura di Amanda Janosz e Jean-Louis Bientôt ai tempi della Rivoluzione Francese, ma senza scendere nello specifico (tranne che per la perdita subita da Amanda).
Se da questo punto di vista siamo quasi nel campo del preludio, allora lo stesso vale per la saga personale di Dracula, che cronologicamente compare qui prima della sua avventura d’esordio (se così si può dire), e cioè “Il principe che tornò dalle tenebre” (Storie da Altrove n. 9).
L’aver
citato il Principe delle Tenebre ci permette di sottolineare come
l’aspetto umano dei personaggi (anche dei “mostri”) e le motivazioni per
le loro azioni siano una chiave per la lettura di questo SdA: non c’è solo Dracula ad essere guidato dal dolore della perdita di una persona cara, infatti.
C’è anche un altro personaggio cruciale, e cioè il Generale Jarjayes, disperato per la perdita della figlia e
pronto a tutto per riaverla. Oltre che essere il motore della storia,
questo elemento è anche ciò che trasforma l’albo in un seguito di altre
vicende, sebbene si tratti di un aggancio inevitabilmente non
dichiarato: come spiegato nell’intervista, in termini storici l’omaggio
alla serie giapponese Versailles No Bara non può che restare implicito.
Ma se “Oscar”
può apparire nella presa della Bastiglia e poi in un dipinto, ma senza
essere chiamata per nome, il vincolo non vale invece per i personaggi
storici che sono anche personaggi portanti della sua saga. Ecco quindi
che la sensazione di seguito si rafforza, quando vediamo ritornare in scena il marchese Lafayette (a dire il vero un personaggio minore nell’anime), la contessa (o duchessa?) di Polignac (che ora rivela agganci con Cagliostro), il dissoluto e sprovveduto cardinale di Rohan (solo nei flashback), Nicolas La Motte e la ben più famosa moglie Jeanne Valois (con tanto di chioma corvina, neo in bella vista e espressioni rapaci molto fedeli alla sua versione dell’anime).
Piacevole
risulta la scelta di ampliare l’intreccio, senza complicarlo,
proponendo il coinvolgimento effettivo di Cagliostro con Jeanne, nonché
il raro duetto Jeanne/Polignac: quest’ultimo spiega come Jeanne sia
potuta fuggire impunemente dalla sua prigionia, e fa interagire due
potenti donne che in Versailles No Bara non si sono mai incontrate.
Con simili personaggi in zona, come poteva non trovare spazio nella trama il famigerato affare della collana?
Questo celebre fatto storico viene quindi dettagliatamente descritto,
ma, come le sequenze dedicate agli sviluppi della Rivoluzione Francese,
risulta fin troppo noto ai fan di Versailles No Bara: sarà per
questo che il riepilogo che ne fa Bientôt risulta un po’ noioso? Ma
rileggendo l’albo esso risulta già più scorrevole e agile che non a una
prima impressione, e l’intreccio e tra fatti storici e fatti di fantasia
acquisisce maggiore efficacia.
Tutti
i personaggi citati godono di una caratterizzazione netta, in parte “di
rendita” (in quanto personaggi storici già romanzati altrove in modo
incisivo). Lo stesso vale per Amanda, che mantiene la sua personalità
determinata degli esordi, mentre Bientôt esce dal confronto sconfitto,
niente più che una spalla non-comica col compito di documentare i fatti
storici. A voler guardare, neanche Dracula se la cava troppo bene,
impegnato com’è a recitare il ruolo di
nobiluomo-che-però-diventa-sanguinario: troppo legato agli stereotipi
del genere, finisce con il non avere nulla da offrire (e no, non
pensiamo che brillare se esposto al sole potrebbe essere una valida
innovazione).
Tornando
al tema iniziale dei collegamenti interni della collana, segnaliamo
infine un doppio riferimento stilistico/tematico, sottolineato dallo
stesso Recagno: quello con "La dama che incantò Arsenio Lupin" (Storie di Altrove n. 15),
non solo per la collocazione geografica (sempre la Francia), ma anche
per la presenza di Cagliostro, che non compare mai nelle sequenze
ambientate nel presente narrativo, ma funge da inquietante eminenza
grigia: in un caso c’è una sua discendente, nell’altro è in prigione,
pazzo, forse morto. Sono solo agganci utilizzati a vantaggio della trama
dei due albi, o si allude a una vicenda ad ampio respiro che emergerà
solo fra parecchi anni?
L’ARTE
L’arte di Alfredo Orlandi, da sempre piacevolmente atipica nel piatto panorama della monotona serie regolare di Martin Mystère, funziona molto bene anche su SdA,
soprattutto per i suoi abituali punti forti. Le figure umane molto
curate per composizione, posa, fisionomia (e per i volti realistici, a
volte anche troppo simili a celebrità varie); la documentazione visuale,
che per abbigliamento, architetture, antropologia ed epoca si dimostra
convincente; l’uso di ombre e luci; le suggestioni dei paesaggi
naturali; la spettacolarità delle scene in cui all’artista viene data
carta bianca, come il crescendo che porta all’apocalittica esplosione
finale.
Che differenza rispetto a un
certo albo di quest’anno, dove una scena altrettanto spettacolare si è
ridotta a ghirigori simili a molle di un fumetto umoristico!
Purtroppo,
Orlandi si dimostra avaro con gli sfondi, in alcune sequenze: nella
scena di apertura ciò è relativamente giustificabile (si tratta di un
sogno); in altre invece lo è meno. Viene il dubbio che l’autore si sia
concentrato sul completamento delle chine “chiave” della storia e abbia
lasciato per ultimi gli sfondi generici e anonimi, con lo scopo di
rispettare i tempi di consegna.
Se
questa ipotesi è vera, per il bene della collana, ci auguriamo che
l’anno prossimo gli venga dato più tempo. O un inchiostratore di
supporto.
Da segnalare, per la
particolare forza suggestiva della loro impostazione, ci sono almeno
altre due scene: il momento in cui Amanda sviene dopo la “visione”; la
sequenza di Amanda a bordo della carrozza, che guardando dal finestrino
si trova faccia a faccia col suo “mentore arcano”.
PUNTI DEBOLI
Lo scarso pathos che
scaturisce dalla prima lettura di questo albo è uno dei punti deboli
della storia, che ha una trama dallo sviluppo ben orchestrato, ma nello
stesso tempo risulta poco coinvolgente.
E’ anche vero che dalle collane di Martin Mystère
noi vorremmo quello che negli altri fumetti invece non c’è: più
interesse culturale/intellettuale, che non il disimpegno da film
d’azione con personaggi scolpiti con l’accetta. Ma forse la discrepanza
tra aspettative ed effettivo contenuto è da attribuire al titolo
dell’albo, che viene sistematicamente disatteso: Dracula non partecipa
alla Rivoluzione né tanto meno la “fa”, e alla prima lettura è
inevitabile restare delusi dalla piega presa dalla storia.
Un
altro punto debole della storia è quello che sta diventando ricorrente
nella produzione mysteriana degli ultimi tempi: la scarsa attenzione
riservata alle origini del mystero di turno. In questo caso, parliamo delle origini e della storia della Pietra di Sangue, naturalmente: comparsa quasi dal nulla, sembra destinata a cadere nel limbo, tra i tanti MacGuffin dimenticati della serie.
In
stile Castelliano antico, la Pietra viene proposta come elemento
ispiratore di ben quattro leggende diverse. Ma la saga di Martin Mystère
ci ha spesso mostrato come queste unificazioni vengano poi smentite da
storie successive, in quanto la fame di nuovi argomenti costringe gli
autori a compiere spesso e volentieri queste opere di rettifica
narrativa a posteriori.
La pietra caduta dalla fronte di Lucifero è già stata citata in storie di Martin Mystère relative ad altre pietre. L’ametista di Cleopatra (soltanto simile alla Pietra di Sangue) è invece comparso in Martin Mystère n. 300, "I Sette Signori dell'Iride" (2008).
Un
altro elemento tradizionale assente, a causa di esigenze narrative
piuttosto difficili se non impossibili da aggirare, è la classica
passeggiata nella base di Altrove, con tanto di carrellata di citazioni
da altre serie e situazioni paranormali suggestive. Siccome la base in
questione doveva ancora essere costruita, all’epoca in cui si svolge la
storia, c’era poco da fare (a meno che non si volesse inscenare
l’abituale circo in un museo di Filadelfia).
Come
detto in precedenza, Dracula risulta abbastanza convenzionale, ma i
vampiri in generale sono ormai inflazionati all’inverosimile, tra
romanzi, universi narrativi di nazioni vampire, telefilm, film atroci
per adolescenti e fumetti di ogni continente. E’ impossibile dire
qualcosa di nuovo al riguardo (anche se, per esempio, il telefilm Da Vinci’s Demons
è riuscito con Dracula a dire cose vecchie in modo nuovo), e anche
questo contribuisce all’effetto noia, perché la gamma di azioni
disponibili è fin troppo nota.
CITAZIONI
Dall’immaginario statunitense, l’albo propone due immagini veramente famose.
Una è quella del quadro “George Washington attraversa il Delaware” (presumo quello di Edward Gottlieb).
L’altra
è invece una rielaborazione (a mo’ di prefigurazione in anticipo di
qualche secolo) della celebre fotografia della Seconda Guerra mondiale
che mostra alcuni soldati statunitensi che innalzano la bandiera degli
USA sulla cima del monte Suribachi (in Giappone) durante la battaglia di
Iwo jima.
Il discorso di Thomas Jefferson per il matrimonio dei protagonisti ricalca quello che in Star Trek
viene tenuto da Jean Luc Picard al matrimonio di William Riker e Deanna
Troi: anche in quel caso, Picard perde (temporaneamente) due
collaboratori preziosi, in quanto si tratta del primo ufficiale e del
consigliere. La scena compare in uno dei film dedicati alla serie, Star Trek: Nemesis del 2002.
I “Lupi dell’Ontario” e il Comandante Mark
vengono citati (e mostrati in una vignetta), definendoli come un corpo
speciale equivalente ad Altrove (senza la competenza paranormale di
quest’ultimo). A quanto pare, erano i prediletti di George Washington,
mentre Jefferson ovviamente era più Altroviano.
Nella
descrizione dei fattori scatenanti della Rivoluzione Francese, si parla
di come i Nobili e il Clero godessero di privilegi di ogni genere e
vivessero fuori dal mondo, mentre sul Terzo Stato ricadeva il fardello
di tasse sempre più esose: ancora una volta, negli eventi storici su cui
si concentra Storie da Altrove non è difficile vedere un parallelo con situazioni contemporanee.
Nella sua esperienza “astrale” sulla Luna, Amanda visita la Città degli Angeli (quelli veri?) ampiamente illustrata ne “Il Re Rosso” (Martin Mystère Gigante n. 11).
Mentre
Dracula e la popolana si appartano nella locanda parigina, è possibile
riconoscere Recano, Castelli e Filippucci tra gli avventori.
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