Storia di Alfredo Castelli
Disegni di Cardinale e Orlandi
Scheda dell’albo
di Franco Villa
Nell’universo di Martin Mystére, è ormai pluridecennale e consolidata tradizione scoprire che un certo personaggio della letteratura (popolare o meno) sia esistito veramente.
Meno famosa e ricorrente, ma non per questo meno stimolante, è invece la riscoperta delle opere perdute di autori famosi: memorabile è, a questo proposito, il possibile finale che Alfredo Castelli ha ideato per “Il mistero di Edwin Drood” di Charles Dickens (negli albi della storia “Un enigma di nome Jaspar”, MM n. 77-78-79).
Nel caso de “Il leone del Transvaal”, il fumetto compie entrambe le operazioni: a partire da alcuni frammenti dell’opera perduta di Emilio Salgàri, gentilmente concessi da un esperto francese di letteratura (rimasto anonimo), Castelli intreccia una vicenda che apparentemente è quella di un romanzo di fantasia, ma finisce poi col narrare invece eventi accaduti realmente. Il confine tra immaginazione e storia è labile, e a volte non immediatamente discernibile, in quanto il fumetto intreccia tre piani temporali diversi: quello del presente, con Martin Mystére coinvolto nella ricostruzione della vita di Salgàri; quello di Salgàri intento a “costruire” il suo romanzo; e infine quello (solo leggermente antecedente) degli eventi della guerra anglo-boera svoltasi in Sudafrica alla fine del 1800.
L’opera di ricostruzione e di innesto è fascinosa, credibile e coinvolgente, soprattutto grazie allo stile salgariano che caratterizza i flashback, tanto da costituire la parte più valida e interessante del fumetto. Come ammette lo stesso Castelli nella sezione dei dossier, Martin Mystére funge infatti più che altro da spettatore in questa vicenda.
Il che di per sé non sarebbe stato una novità, visti i precedenti (altrettanto storici) in cui il detective dell’impossibile ha svolto la semplice (ma gradita) funzione di cronista. Purtroppo, però, questa volta si è deciso di coinvolgerlo inserendo “a forza” un piccolo mystero relativo proprio alla geografia del romanzo perduto in questione: le curiose sfere metalliche di Kreksdorp (o “sfere di Ottosdal”), ritrovate in Sudafrica negli anni 1980. Diciamo “purtroppo” perchè si tratta di un innesto poco convinto, eseguito solo per aggiungere una (inutile?) componente mysteriosa alla vicenda (e con noi concorda la stessa Ida Peruzzi, in una frase chiaramente messale in bocca da Castelli a mo’ di “ammissione di colpa”). Delle sfere, infatti, ci viene mostrato il bizzarro comportamento e il devastante potere, che mescola le suggestioni della musica delle sfere, degli angeli e del castigo divino, ma viene esposto in modo esclusivamente “intuitivo”. Nulla ci viene detto invece sulla loro origine, sul loro scopo, sulla loro natura: tre elementi che solitamente (insieme alla costruzione di affascinanti teorie esplicative) sono ciò che differenzia Martin Mystére da altre produzioni. Questa volta, invece, il detective dell’impossibile non viene a capo di nulla e, peggio ancora, spreca pagine cincischiando con ben tre finali “ironici” e citazionisti (c’è persino Rebo di “Saturno contro la Terra”) che restano di pura fantasia.
Non tutto va però perduto, in quanto il “vero” finale, dove ancora una volta il confine tra romanzo e storia si fa labile, apre la strada a un seguito molto particolare, agganciandosi a un’altra saga letteraria popolare dell’epoca, il cui centenario sarà festeggiato nell’Almanacco successivo (Almanacco del Mistero 2012, "L'ombra di Fantômas" (2011)). Guarda caso, si tratta di un personaggio di cui Alfredo Castelli è uno dei massimi esperti. Molto felice risulta quindi la sua idea di connettere queste due epopee, basandosi su elementi oggettivi delle stesse, come il fatto che il sadico Gurn abbia effettivamente combattuto nella guerra anglo-boera. Tra scene anticipatrici, allusioni e sinistre suggestioni, questo finale alla Wold Newton Family (Almanacco del Mistero 2009, "I segreti di Wold Newton" (2008)) è il secondo elemento più convincente del fumetto.
Per un approfondimento degli aspetti più entusiasmanti dell'albo, non possiamo esimerci dal segnalare questo intervento di Cristian DiBiase (sul forum di Agarthi).
La componente artistica di Cardinale e Orlandi è, come sempre, una boccata d’aria fresca nell’angusto panorama artistico di Martin Mystére, solitamente vincolato allo stile di Alessandrini, a imitazioni mal riuscite dello stesso, ad autori ormai sfioriti, a lavori affrettati e a un approccio astratto. Ovviamente i motivi sono noti e legati alla sopravvivenza della serie (o così o niente), ma è difficile che la cosa non “pesi” quando si riprende in mano un albo o si ripensa a esso.
Cardinale e Orlandi propongono tavole realistiche, quasi inquietanti nella loro crudezza, ma anche eleganti e moderne (con un particolare occhio alle tecnologie contemporanee). La ricchezza di dettagli si estende anche alle sequenze storiche, come testimonia l’accuratezza della resa dell’abbigliamento dei personaggi (dai soldati a Ida, passando per Sandokan): quanto siano storicamente corretti questi dettagli non lo sappiamo, onestamente; ciò che conta, per noi, è la suggestione fascinosa che queste tavole sanno evocare, in un efficace complemento alla prosa salgariana dei testi.
Nota a margine: i personaggi di Van Praat e Louis hanno facce che ci sembrano quasi note. Saranno mica ispirate a due attori come Brad Pitt e Shia LaBoeuf (purtroppo noto a chi scrive a causa della trilogia di The Transformers dell’Immenzionabile)?
I dossier propongono, com’era d’obbligo, un ampio excursus sulla vita di Salgàri (corredato di un “dietro le quinte” del fumetto appena commentato), a cui seguono due elementi non collegabili: l’Uomo Invisibile e la biografia di Clive Staples Lewis (autore de “Le cronache di Narnia”). Non c’è nulla di veramente mysterioso nella vita di Salgàri, ma ormai da tempo Martin Mystére ci ha abituati alle sue esplorazioni letterarie, per cui l’articolo è più che gradito. Non si riesce però a trovare un vero filo conduttore che lo colleghi gli altri dossier, se si esclude che C.L. Lewis sembra essere un esaltato un po’ squilibrato (stile Salgàri alla fine) e che lo scarsamente “morale” Uomo Invisibile è paragonabile a certi avventurieri Salgariani.
La copertina di Giancarlo Alessandrini propone una rappresentazione grafica del tema metafumettistico dell’albo, con i personaggi di Salgàri che escono dai romanzi del loro creatore per combattere in eterno le loro battaglie sullo scaffale di una libreria. Molto felice è la presenza della ipotetica copertina de “Il leone del Transvaal”, ideata da Cardinale e Orlandi. Piuttosto brutto risulta invece lo sfondo “in legno” dello scaffale, aggiunto ad arte con uno strumento grafico digitale.
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