Ottobre 2008
Storia di
Carlo Recagno
Arte di
Esposito Bros.
Se la signora
Rowling e i suoi ghost-writer leggessero Martin
Mystère, non potrebbero che applaudire confrontando il lavoro
che loro svolgono in gruppo e che Carlo Recagno invece ha realizzato
da solo. Sicuramente lui, da appassionato della saga di Harry
Potter, ricambierebbe con modestia, ma sicuramente questo tessuto
mysteriano di trame così immense e dense, dove ogni nuova storia va
al suo posto come un tassello di un mosaico infinito, surclassa
persino la complessità a orologeria della saga del popolare
maghetto.
Nella
migliore complessità narrativa della serie di Martin Mystère, Il
segreto di Giovanna d'Arco è il culmine di una epopea
nell’epopea, un virtuosismo di vortici narrativi che, come la
caduta di una sequenza di tessere di un domino dai disegni simili ad
arabeschi, giungono impeccabilmente a compimento dopo anni di
gestazione.
Il tutto
prende il via dalla remota vicenda di Roncisvalle (Martin
Mystère nn. 94-95-96), grandiosa e immensa storia incentrata
sulla figura di Orlando il Paladino, nella quale Alfredo Castelli
aveva inconsapevolmente dato inizio alla faida tra Sergej Orloff e
Morgana, evolvendo nel contempo Orloff da cattivaccio gambadilegnesco
ad antagonista degno di questo nome. Ma si può veramente dire che
esista un inizio assoluto? Non esattamente, ma quasi: la stessa
storia dava inizio anche alla base della mytologia degli
esagoni, che a sua volta si ripropone ne Il segreto di
Giovanna d'Arco, in forma di “compendio recagnesco della teoria
unificata del mystero.
La già
citata immensità torna in questo Martin Mystère n. 299 con
tale forza che non ho potuto fare a meno di cercare e
rileggere Orlando il paladino, Il segreto di San
Nicola (Martin Mystère Gigante n. 1) e La
spada di Re Artù (Martin Mystère nn. 15-16).
A dire il
vero, ho riletto anche Grendel! (Martin Mystère
n. 288), ed ero tentato di continuare con L'isola di
ghiaccio e di fuoco, L'Ira del cielo, La vendetta di
Loki, La città degli angeli e Il sole
nero. Ho resistito perché altrimenti non avrei scritto la
recensione, ma questo tipo di lettura a posteriori è sempre
allettante perché è un viaggio/esperienza inebriante, oltre che un
“segnale di stile”: gli albi veramente belli di MM sono quelli
che vale la pena rileggere, perché ogni volta hanno qualcosa di
nuovo da offrire.
Tornando
all’albo oggetto di questa recensione, la rilettura degli albi
precedenti non è stata stimolata solo da motivi banali, tipo cercare
i riferimenti di continuità (cosa che ho comunque fatto), ma
piuttosto dall’afflato epico che caratterizza questo arco narrativo
che dura da lustri. E’ anche da notare come l’albo stesso rifiuti
l’ossessione autoreferenziale della continuità: le note di rimando
(le famose “vedi Martin Mystère numero xxx”) sono
infatti state omesse, quasi a dichiarare che “i rimandi sono per i
rammolliti!”
E in effetti,
i veri lettori di Martin Mystère non ne hanno
bisogno perché sanno tutta la cronologia a memoria, mentre al
lettore occasionale non importa nulla di sapere quale evento sia
accaduto in quale albo e, infine, le nuove leve hanno Internet a
disposizione.
E’
probabilmente per questo stesso motivo che gli elementi fondamentali
della storia ci vengono presentati in maniera insolita e quasi
dissimulata da elementi di sfondo. Prima c'è il falso coinvolgimento
del mondo di Faerie: in apertura dell'albo, si parla di fate, il che
mi ha subito spinto a ipotesi del tutto sbagliate sul contenuto della
storia , ma sono già presenti indizi sottili che puntano alle Norne:
l'albero colossale, i terzetti di streghe giovani e vecchie. Poi ci
sono le vignette mute che si concentrano sulla presenza dell'Anello
dei Nibelungi nelle acque della fonte: molto cinematografiche, ma
nello stesso tempo completamente prive di didascalie, dialoghi
riepilogativi o riassunti contraffatti, sebbene si tratti di un
elemento chiave della storia. Infine, ci sono il riepilogo della vita
personale di Orloff, che sconfina nel riassunto onirico-simbolico, e
il ritorno di Hilda Schmesser e dei Fratelli Iniziati, presentati con
la naturalezza solitamente dedicata ai personaggi fissi, di cui tutti
sanno già tutto.
Tornando al
parallelo con la vicenda madre, Roncisvalle, in entrambi
i casi si tratta di opere che si possono definire solo come immense
(come già detto): una narrazione che cavalca i secoli, personaggi
memorabili, una visione cosmica della storia dell'umanità e del
pianeta su cui vive, immani forze mitologiche che si scontrano per
stabilire i destini della realtà, piccoli esseri umani che si
affannano nelle loro brevi vite e per pochi istanti riescono a
eguagliare lo splendore degli dei.
A pensarci
bene, è semplicemente fantastico che un racconto particolare come
quello di Roncisvalle abbia potuto raggiungere le
edicole, ed è ancor più appagante che, dopo tanti anni, l'eredità
di quella vicenda sia stata raccolta e portata avanti con altrettanta
intelligenza.
A mio avviso,
Alfredo Castelli dovrebbe sentirsi veramente gratificato dal fatto
che il suo lavoro abbia saputo ispirare a tal punto un altro autore.
Questo è ciò per cui vale la pena dedicarsi con passione alla
scrittura, probabilmente: molto meglio delle Ultimatizzazioni di
esordienti pretenziosi che detestano le caratteristiche del tuo
personaggi, e vogliono cambiarlo per renderlo più conforme ai loro
gusti e a quelli del pubblico “moderno”. E d'altra parte, dovrebbe essere ovvio: io
leggo Martin Mystère perché in questa serie trovo
ciò che negli altri fumetti non c'è. Se le caratteristiche che lo
rendono unico diventano un fardello di cui sbarazzarsi, se bisogna a
tutti i costi imitare gli altri fumetti, allora tanto vale smettere
di leggere Martin Mystère e passare invece
direttamente a uno dei fumetti (o degli sceneggiati televisivi più dozzinali ) che si vorrebbe imitare. Meglio
leggere direttamente l'originale, piuttosto che una brutta copia ottenuta cancellando,
stravolgendo e rinnegando un retroterra tanto ricco quanto peculiare.
E quindi,
cosa rende questo tipo di albo così meritevole per il Mysteriano
accanito? I “segnali di stile” già accennati in precedenza.
Per esempio,
la vicenda, che è più complessa che mai: se il suo predecessore
ideale, per quanto fluviale, risultava infine ragionevolmente
lineare, questa volta abbiamo due narrazioni che si svolgono in
parallelo, apparentemente l'una ignara dell'altra, con le Norne a
fungere da improbabile cerniera, almeno finché Martin stesso non le
fa convergere, nella ricostruzione storica che è il suo forte. E' a
questo punto che la storia si unifica e le numerose sottotrame
cominciano a confluire verso il tragico epilogo.
Ma
attenzione: non si può dire che la narrazione si banalizzi, perché
ogni singolo elemento messo in scena ha uno scopo ben preciso nella
trama: non ci sono colpi di spugna, morti di massa, omissioni
eclatanti o brutali cambiamenti di personalità a risolvere la
faccenda; c'è invece un impiego onesto, puntuale e soprattutto
ispirato di ogni filo narrativo disponibile.
La metafora
della tessitura dell'immenso arazzo narrativo è più adatta che mai
ed è una delle caratteristiche che rendono Martin
Mystère più interessante di altri prodotti: la sua lettura
è e deve essere una sfida alle capacità intellettive del lettore,
altrimenti vale quanto qualunque altra pubblicazione.
Altro
elemento di stile: l'ironia. Una delle Norne paragona la vicenda
personale di Orloff a una soap opera, cosa su cui
l'autore aveva già scherzato in precedenza, rispondendo alle
critiche dei lettori (in Grendel!, Monique rifiuta
apertamente gli stereotipi da soap opera).
Nello stesso
tempo, però, pur sottolineando l'epicità dell'intera faccenda in
contrapposizione al melodramma esagerato delle peripezie di
Christine, le Norne non possono esimersi di tanto in tanto
dall'uscirsene con battute dissacranti espresse in un linguaggio
quotidiano, in netto contrasto con il lessico aulico e ricercato
tipico degli dei: è ironia sulla risposta all'ironia, nello stile
del metafumetto esplorato anche da Castelli nel recente albetto
degli Eccentrici Visitatori dalla Seconda Dimensione (Martin
Mystère Speciale n. 27).
All'ironia si
accompagnano le riflessioni sugli aspetti paradossali della vita
moderna: in questo caso specifico, si tratta delle email di spam che
tutti noi abbiamo ricevuto (e letto) almeno una volta, probabilmente
chiedendoci se potesse davvero stare accadendo a noi (per poi
vergognarci della nostra credulità).
Torna anche
il racconto nel racconto, sebbene questa volta con uno spazio
abbastanza ridotto: è l'email di Hilda, scritta nel
tipico stile ponderato e signorile che caratterizza gran parte dei
personaggi della serie (persone vere, ma anche colte, mature, capaci
di dominare le emozioni in favore di una civile razionalità).
Non ultima
viene l'attenzione dedicata a Sergej Orloff, che in questo albo ruba
i riflettori a Martin e si contende con Morgana il ruolo di
protagonista. E' stato, di nuovo, Roncisvalle a far
sì che ai “cattivi” della serie venga riservata una certa
attenzione, di solito per rivelare lati inediti della loro storia,
che li rendano un po' più plausibili. Dopotutto, l'unico scrittore
che può permettersi il lusso di far agire da cattivi i suoi
personaggi “perché sì” è Shakespeare...
Come
in Roncisvalle Orloff si rivelò più complesso del
previsto, così fa ora Morgana, che parlando con Giovanna d'Arco si
lascia sfuggire finalmente il motivo dietro la sua cerca delle Spade:
riportare il mondo all'armonia che è andata perso. Guarda caso,
questo tema dell'Età Dell'Oro è a sua volta uno dei perni della
trama di Roncisvalle. Non ci deve stupire: l'intera
storia è costruita come un immenso castello di rimandi e simmetrie,
dalla semplice scelta di personaggi ed elementi (Orloff, Morgana,
Orlando, la Durlindana) alla scelta dei disegnatori (gli Esposito
Bros esordirono su Martin Mystère proprio
con Roncisvalle).
Da notare, a
questo proposito, come ci venga riproposta l'origine di Orloff,
specularmente alla solita storia-capostipite. Questa volta, però,
l'ottica è doppia: da un lato, c'è la narrazione abbastanza
asettica delle Norne; dall'altro, c'è la sequenza onirica di Martin
Mystère, che cita diversi scontri storici con Orloff (tra cui quello
assai celebre della copertina del secondo albo della sua collana).
Non si può
evitare di fermarsi a riflettere sull'ambiguità di Morgana, che pur
di raggiungere i suoi nobili (?) scopi non esita a torturare e
uccidere, godendosi lo spettacolo. Questa doppia natura richiama
chiaramente quella di Orloff, in un parallelo assai azzeccato, ma
cita anche la sua antica dualità con Merlino, che ci viene appunto
ribadita nella sequenza ambientata nel 1400.
E a questo
punto, è difficile non chiedersi chi sia effettivamente Morgana,
nelle intenzioni degli autori: giunge veramente dall'epoca di Uther
Pendragon, oppure esisteva già da prima? L'abbiamo vista come
“umana” in più di un flashback di quell'epoca,
ma era tutto qui? O è forse una reincarnazione, addirittura
antecedente ad Atlantide? Cos'è davvero la foresta di Broceliande?
In che modo Morgana è sopravvissuta alla sua morte
in Roncisvalle? Perché un tempo era alleata delle
forze dell'Annwn, che avrebbero portato sulla Terra la Desolazione
del Wasteland, mentre ora cerca di riportare l'armonia
primordiale? (Forse per lo stesso motivo per cui fu più volte
alleata di Loki: per convenienza?)
Di certo, la
Morgana dell'epoca moderna è molto diversa da quella più
“ingessata” dell'antichità (nel senso che era più calata nella
parte dello stereotipo della maga decaduta dedicatasi alla conquista
del mondo), come descritta nello Special Il cavaliere verde,
dove la ricostruzione degli eventi è lasciata alla parole di Viviana
(e potrebbe quindi essere falsa). La “prima” Morgana era
un'alleata di Merlino, che poi divenne corrotta per brama di potere e
si dedicò a un crescendo di macchinazioni: dal furto mancato
dell'Excaliburo all'edificazione di una fortezza zeppa di sortilegi,
per poi allearsi con le forze dell'Annwn (come già detto). Merlino
la fermò, ma al prezzo ben noto, sebbene mai raccontato nel
dettaglio: in questa duplice forma (ribadita appunto ne Il
segreto di Giovanna d'Arco) è giunta sino ai giorni nostri, per
poi “morire” per mano di Orloff, lasciando come suo epitaffio la
classica frase pomposa da super-villain sdegnato. Se
è morta ed è rinata (rinnovandosi) in questa occasione, non
potrebbe averlo già fatto all'epoca di Uther Pendragon?
Ci fermiamo
qui, ma la personale epopea di questo personaggio potrebbe continuare
a ispirare domande all'infinito, tanto è complessa e ramificata. E
ancora una volta, bisogna complimentarsi per la sua creazione: non
solo perché è stata tenuta traccia di ogni dettaglio della sua
ramificatissima vicenda , ma perché si tratta di una creazione
davvero felice, evolutasi nella scia dei villain supereroistici
statunitensi, che da macchiette cattive per esigenze narrative sono
diventate con gli anni esseri umani a tutto tondo, spinti da
motivazioni complesse e a volte condivisbili (Magneto di X-Men,
Lex Luthor di Superman e via dicendo, fino ad
arrivare al suo “doppio” di Sergej Orloff).
Ultima
caratteristica d'obbligo nella serie è quella dell'umanità dei
personaggi, sempre per distaccarsi dalle soap opera:
basti pensare a Monique nei confronti di Christine, o al tormento con
cui Martin ragiona sul “perduto” (?) amico, un classico di
analisi dettagliata stabilito dal celebrato Xanadu! (Martin
Mystère Gigante n. 2).
Non si può
comunque dire che questo sia un albo che vive nel passato, o che si
tratti di una reiterazione pedissequa del MM classico: non solo
perché si tratta di concetti “digeriti” e meditati, e quindi
personali, ma anche perché la continuità continua a evolversi in
maniera sistematica, lasciandoci tranquilli sulle risposte ancora in
sospeso.
Viene, per
esempio, data la lettura definitiva degli eventi del finale
de L'isola di ghiaccio e di fuoco (Martin Mystère Gigante n.
6), stabilendo una volta per tutte quali emozioni abbiano guidato
l'epico conflitto tra Martin e Orloff per l'utilizzo dell'Anello dei
Nibelunghi.
Viene anche
rivelato un dettaglio inedito sul Terzo Occhio: introdotto con
discrezione, quasi fosse solo un escamotage per
chiarire l'identità di Christine oltre ogni dubbio, diventa invece
un'altra rivelazione il cui potenziale potrebbe stravolge anche altri
personaggi. Per esempio, ci si può chiedere se anche Diana non
abbia...?
Fra
parentesi, tutti ricorderanno che la sventurata Christine aveva
mostrato aspetti paranormali inspiegabili in Grendel! (Martin
Mystère n. 288), albo che a tutti gli effetti è il preludio
de Il mistero di Giovanna d'Arco. Ora c'è una
risposta anche a quell'enigma.
Sebbene la
saga di Morgana sembri ancora lontana dal concludersi, questo Martin
Mystère n. 299 è comunque una pietra miliare su questa
lunga strada, perché, Come detto all'inizio, l'albo riannoda (in
modo alquanto inatteso) due fili narrativi che ai più scettici erano
sempre parsi scollegati: per nostra fortuna Recagno ci ha mostrato,
ancora una volta, quanto fossimo in errore.
Veniamo
infine all'elemento più esclusivo di Martin Mystère: la
fusione tra fatti storici e invenzioni di fantasia, ampiamente
corredati da documentazione e spiegazioni per i balzi
dell'immaginazione che sanno trovare inedite connessioni tra i
personaggi storici e letterari più improbabili.
In questo
caso, si tratta di Giovanna d'Arco, la cui spada sarebbe stata la
stessa di Orlando: anche lei, a modo suo, è quindi uno dei
“campioni” di questo mondo, come Artù, Sigfrido, Orlando e
altri,sebbene la sua missione non sia altrettanto definita, e
soprattutto le manchi un consigliere “magico” adeguato.
Giovanna è
poco più di un burattino, in balia delle trame del destino che lei
stessa riesce a scorgere. Ma neppure le incarnazioni del destino, le
Norne, sembrano poter fare qualcosa per lei, quasi come se la forza
che tutto decide fosse collocata persino al di sopra delle tre
divinità (lo è, in effetti: è lo scrittore del fumetto).
Il richiamo è
sottile, quasi occultato, ma sicuramente presente: la forza in azione
qui è la stessa di L'uomo programmato (Martin
Mystère nn. 123-124). Superiore a chiunque, dotata di agenti che
solo certi eletti (o sfortunati) come Giovanna e Frank Johnson
possono vedere. Nel caso di Giovanna, questi agenti sono le Norne
stesse! Un vero peccato che non ci fosse in zona anche Jaspar.
Come già in
passato, sorge spontanea la tentazione del parallelo con uno dei
romanzi del ciclo di Eymerich di Valerio
Evangelisti, visto che Giovanna d'Arco è comparsa anche in uno di
questi ultimi (Mater Terribilis): è interessante notare come,
in entrambi i casi, la Pulzella sia uno strumento di forze che non
comprende, sebbene lo scopo sia radicalmente diverso (ma altrettanto
cosmico). Nella versione di Evangelisti, Giovanna è raffigurata in
modo più ambiguo, un'adolescente dalla sessualità ancora non
definita, che turba le pulsioni della mente malata di Gilles de Rais;
in MM, invece, gli Esposito Bros la visualizzano come la solita
sventolona, togliendo un poco di credibilità al personaggio.
Gilles De
Rais è un altro elemento interessante: mi ha stupito che l'argomento
morboso delle sue passioni perverse sia stato toccato, ma nello
stesso tempo non si può non notare come l'autore abbia evitato di
esplicitare l'orrore di ciò che il Maresciallo di Francia faceva
effettivamente alle sue vittime.
Visto che
siamo in tema di continuità: nella saga delle sette spade donate dai
Tuatha De Danaan, Recagno trova il modo di sistemare indirettamente
anche un corpo estraneo come la spada di Carlo Magno, Joyeuse,
che fu ritrovata nel famoso team-up (Martin
Mystère/Nathan Never: "Prigioniero del futuro"), e che
si rivelò essere “solo” un'arma atlatidea.
Con Martin
Mystère n. 299, si chiarisce che la spada ritrovata da Giovanna
non era appartenuta a Carlo Magno, ma al nonno Carlo Martello. Non
viene detto, ma ciò serve implicitamente a impedire ogni ipotesi di
collegamento.
Chiudiamo con
un'osservazione sulle due sventurate co-protagoniste femminili della
storia: Giovanna e Christine.
L'autore
traccia un parallelo “tra le righe” della loro tragica vicenda.
Come già detto, le due infelici sono entrambe strumenti di una forza
superiore, condannate alla stessa sorte: Christine è manipolata da
Morgana, che vede in lei semplicemente un mezzo per un fine; Giovanna
è invece condannata al sacrificio dal destino stesso, che per amara
ironia lei può vedere ma non cambiare.
Nonostante la
simpatia delle Norne (qui particolarmente umanizzate, tanto che ci
ricordano l'Osservatore dei fumetti Marvel) e i loro deboli tentativi
di intervento, però, al destino non si può sfuggire: è qualcosa
che Martin Mystère e soprattutto Sergej Orloff sanno sin troppo
bene.
Martin Mystère n. 300, "I sette signori dell'iride"
Dicembre
2008
Storia di Carlo Recagno
Arte di Giancarlo Alessandrini, Bruno Brindisi, Daniele Caluri, Esposito Bros, Gianni Freghieri, Lucio Filippucci, Corrado Roi, Rodolfo Torti
Colori di
GFB Comics
L'albo
Nella ben
nota tradizione Bonelli, gli albi col doppio zero (nel senso dei
numeri cento e multipli) sono presentati eccezionalmente a colori. La
serie di Martin Mystère, nota per l' attenzione prestata alle
ricorrenze culturali e storiche, non si lascia sfuggire questo evento
per proporre una celebrazione elevata all'ennesima potenza.
Come è stato
giustamente fatto notare, gli albi a colori di Martin Mystère si distinguono
dagli altri perchè sono anche “sui colori”: il
numero 300 non solo rispetta questa tradizione, ma va oltre,
suddividendosi in otto storie che celebrano le numerose tematiche
della serie (mystero, avventura, giallo, fantascienza, storie
d'amore, storie di fantasmi, feuilletton ottocentesco, mitologia), i
personaggi del nutrito cast e, per finire, anche la
ricorrenza del Natale (un altro elemento caratteristico della serie è
proprio quello di avere solitamente un'uscita dicembrina a tema con
le festività).
L'autore di
questa vorticosa girandola narrativa, che spazia letteralmente nel
tempo, nello spazio e nell'intero universo narrativo di Martin Mystère (e della
Bonelli!), è Carlo Recagno, il degno erede di Alfredo Castelli (che
ha comunque avuto l'idea di base dell'albo: dedicare sette storie ai
sette colori dell'iride).
Oltre
all'elaborata serie di ricorrenze e celebrazioni, l'albo propone
quindi la classica struttura della raccolta di storie brevi (sette,
più una narrazione portante che funge da prologo, intermezzo ed
epilogo), disposte secondo un preciso ordine e caratterizzate da
sottili riferimenti/rimandi reciproci. Davanti a questa geometria
nella geometria, ce n'è abbastanza per sentirsi sopraffatti, nel
tentativo di ricostruire la progettazione e il lavoro profusi in
quest'opera decisamente ciclopica.
Ancora una
volta, Recagno dimostra di non limitarsi a conoscere didascalicamente
l'universo e la continuità di Martin Mystère: il suo lavoro ne è
una celebrazione (giustamente, vista la natura dell'albo),
un’esplorazione che conduce verso nuove mete, un ampliamento,
un’evoluzione e una miglioria. In poche parole, è un atto di
rispetto e passione: il miglior modo per onorare questi trecento albi
di serie regolare.
Può capitare
che le storie di Recagno non vengano ben accolte per la presunta
assenza del mystero nella storia: a parte il paradosso della
sfuggente definizione del termine “mystero” (che, come questo
numero 300 sottolinea, col tempo si è dilatata sino a includere
praticamente ogni genere narrativo), il punto di forza di Recagno è
proprio quello di saper andare oltre il semplice mistero del mese (o
del bimestre), evitando le trappole più ovvie (come il proporre un
elemento mysterioso perché è obbligatorio, ma poi scrivere una
storia che parla di tutt'altro, come se la si fosse semplicemente
riciclata camuffandola) e producendo infine storie sul “myto”, se
possiamo concederci questa invenzione linguistica (e se non è già
stata utilizzata): la mitologia complessiva di Martin Mystere, la
sintesi di personaggio, universo, filosofia, continuità e tematiche.
Cioé proprio
ciò che questo albo n. 300 incarna, nella sua celebrazione che è anche
rappresentativa in modo completo e dettagliato di ciò che Martin Mystère è
divenuto negli anni.
E' curioso
notare come la tematica dell'iride come “spettro emotivo” che
influenza e rappresenta le emozioni sia anche alla base di una delle
più importanti saghe del personaggio di Green
Lantern (Lanterna Verde) della DC Comics, concepita e
sviluppata in questi ultimi anni dall'apprezzato e talentuoso
scrittore USA Geoff Johns. Chi avrà avuto l'idea per primo: Johns o
Recagno? Per rispondere, è davvero opportuno citare Alfredo Castelli
e Martin Mystere, ricordando cosa accade quando le idee sono
nell'aria...
La selezione
artistica è a sua volta celebrativa: l’introduzione all’albo
spiega esattamente quali precedenti Mysteriani possano vantare gli
autori scelti. La selezione è rappresentativa e autorevole, ma a
volte un po’ forzata (Brindisi): è un vero peccato che siano stati
esclusi il certosino Franco DeVescovi e i relativamente nuovi
acquisti Cardinale & Orlandini, in quanto illustratori di storie
piuttosto importanti per la serie.
I singoli
racconti
VERDE. La
storia di apertura è la più generica, allo scopo di essere
introduttiva: sebbene ci sia un legame con la continuità (col
ritorno del Piccolo Popolo e la sua bizzarra regina), Martin Mystere
è poco più che il notaio dell'avventura di Wahlgren.
La trama è
azzeccata: folle, ironica, surreale e costellata di trovate e
sorprese.
Da notare
come Wahlgren sia in esilio da trecento anni esatti.
L'arte di
Freghieri, tanto classica quanto gradevole, si presta bene alla
colorazione. L'abbondanza di ombre e dettagli sopperisce alla
piattezza della tecnica cromatica utilizzata.
L'arcobaleno,
rappresentato con le chine nere a circoscriverlo, stona parecchio con
le potenzialità della moderna colorazione computerizzata.
BLU. Storia natalizia alla Charles Dickens, che coniuga la celebrazione festiva d'obbligo
per l'albo di dicembre con la continuità della serie
regolare (Maria) e dello Speciale (Angie, o
almeno una sua ottima simulazione). Sebbene il personaggio centrale
sia Java, è la falsa Angie a essere resa nel modo migliore, per la
freschezza dei dialoghi e la gradevolezza dei disegni. Le comparsate
di vari personaggi (Kawah, Tower, Brody, Aldous, Castelli) sono
tipiche tanto degli albi Doppio Zero quanto di quelli di Natale, in
una delle tante convergenze di tradizioni del numero 300.
In questa
storia spicca anche la caratteristica umanità dei personaggi della
serie (che spesso si estende anche ai malvagi): il cast non
è costituito da tizi cinici, sarcastici, egoisti e cattivi come esige la moda, ma da persone adulte ancora capaci di provare
empatia e di costruire legami solidi basati su un rispetto e
un’attenzione di fondo sempre presenti, anche durante le peggiori
crisi.
Il dottor
Spektor, che torna da Di tutti i colori! (Martin Mystère n. 100) inizia il suo ruolo di trait
d'union, in un intervento che sembra mirato proprio ad aiutare
Java ad affrontare il suo periodo blue: non sembra
un caso, viste le rivelazioni successive. Altri rimandi, anche se
molto generici, sono la presenza di un Coboldo (storia VERDE), il
riferimento all'Egitto (storia VIOLA), il prisma che scompone i
colori (storia ARANCIONE).
Citazione
da Star Trek accessibile ai non iniziati: “La
resistenza è inutile”.
L'arte di
Caluri, con i suoi neri decisi, fornisce autonomamente la profondità
che i colori non riescono a dare. I tratteggi tipici dell'artista,
però, poco si adattano alla sin troppo semplice tecnica di
colorazione utilizzata (avrebbero invece funzionato bene per
identificare gradazioni dello stesso colore).
INDACO. Una
classica storia di fantascienza, volutamente dal tono retrò,
con toni freddi e razionali come quelli dell'indaco secondo il popolo
di Tin Hinan, ha però un finale molto triste (che richiama quello
dell'albo Il sole nero) e una curiosa citazione Lovecraftiana
(apparentemente capovolta: per il Solitario Di Providence, un colore
venuto dallo spazio non porterebbe mai logica, ma solo follia… e in
effetti il guardiano fa una brutta fine, non sapendo apprezzare il
dono ricevuto).
La presenza
del Martin Mystere contemporaneo continua a ridursi (dalla storia
successiva non apparirà più), ma la narrazione continua a esistere
solo in sua funzione: i nuovi eventi non potrebbero avere luogo,
senza di lui, oppure Martin non potrebbe esistere senza certi eventi del
passato.
L'arte di
Roi, che combina curiosamente una capacità per il dettaglio e ampi
spazi vuoti, si rivela efficace anche con i colori, ancora una volta
grazie all'ottimo uso delle chine da parte del disegnatore.
ARANCIONE. E'
forse la storia cromaticamente meno convincente, nel senso che il
colore Arancione gioca un ruolo molto ridotto rispetto all'effettiva
vicenda. La trama, riprendendo i personaggi degli agenti temporali
dell'albo speciale Generazioni, a sua volta è quasi
uno spin-off delle Storie Di Altrove: un
ennesimo omaggio celebrativo, quindi.
Da notare
come, ancora una volta, i due Agenti Temporali restino senza nome.
La presenza
del Martin Mystère robotico del futuro è un omaggio alle Storie
Brevi.
Spektor,
ancora una volta in un ruolo benefico, si rivela essere un
viaggiatore temporale. Presentandosi come alchimista, allude
all'altro interesse di Newton, curiosamente antitetico alla scienza
moderna che egli contribuì a fondare.
L'arcobaleno
si ricollega alla storia VERDE.
Citazione
da Star Trek accessibile ai non iniziati: il Martin Mystère del
futuro predilige lo stesso tipo di tè del capitano Jean Luc Picard
della serie televisiva Star Trek:The Next Generation.
Ottima prova
di Brindisi, con arte elegante e posata. Peccato che lo sfondo
cosmico di apertura sia tutto tranne che cosmico. Dove sono le
stelle, le nebulose e le galassie e gli abissi del nero vuoto
interstellare?
GIALLO. Dopo
l'Intermezzo, la narrazione si sposta completamente nel passato: una
materia che Recagno gestisce sempre con grande competenza, inventiva
e ricchezza di riferimenti.
Nelle sue
storie, la narrazione di un flashback è sempre
garanzia di un evento, nel senso che si assiste sempre alla “prima
volta” di qualche aspetto storico della serie, da tutti dato per
scontato.
In questo
caso, si tratta della genesi del programma televisivo Mystere's
Mysteries, narrata in chiave gialla, e dove guarda caso Diana
gioca un ruolo cruciale in tempi ancora non sospetti (alla faccia di
chi la ritiene un comprimario ininfluente). Ovviamente, i tempi non
sono poi così “non sospetti”, visto che Diana dimostra un
interesse per Martin che capovolge la vecchia prospettiva della sua
relazione con Aldridge (secondo la versione nota, fu la tattica di
Martin ad allontanarla da Aldridge; ora scopriamo invece che Diana è
stata molto più autonoma nel decidere di quanto si credesse). L'idea
sviluppa ciò che Recagno stesso aveva solo brevemente accennato
in L'ira del cielo (Martin Mystère n. 245).
Spicca ancora
una volta la capacità di Recagno di connettere gli n-mila elementi
di continuità creati negli anni: chi avrebbe mai detto che Martin
fosse stato ospite del vituperato programma The Oink Oink
Family, tanto amato dai Morgan, i suoi terrificanti vicini di casa?
Aldridge è
raffigurato alla perfezione nel suo ruolo di finto antagonista di
Martin: come sempre, infatti, l'anziano professore finisce per
aiutare Martin Mystere, in un ruolo di figura paterna in incognito ,
ma non resiste alla tentazione di presentarsi invece come un
personaggio quasi perfido.
Nei rimandi
interni, si segnalano l'anno (1978) e il riferimento alla spedizione
di Orloff in Egitto (storia VIOLA).
Da notare
l'insegna “Alfredo's”, in omaggio a Castelli, cioè
l'autore che ha creato la rivalità Mystere/Orloff e la vicenda
Aldridge/Diana (qui fatte collidere da Recagno per la prima volta).
L'arte di
Torti risulta piatta e confusa anche a colori.
VIOLA. E'
l'altra faccia della medaglia rispetto al GIALLO: un bagno di
continuità, un evento fondamentale per Sergej Orloff, un incontro
guidato dal fato e dall'ironia (Kate sa? Sospetta? Allude?).
L'elaborato e
sfaccettato mosaico della vita di Orloff viene illustrato in una
sequenza che riunifica cronologicamente e coerentemente i vari
dettagli rivelati sinora (non stupisce che Recagno sia il biografo
ufficiale di Orloff!), regalandoci il suo inedito punto di vista
sulla storica inimicizia con Martin (cosa rara). Può darsi che alla fine
il murchadna abbia influito anche sulla personalità di Martin?
Nella vicenda
si innestato riflessioni e implicazioni ormai storiche: il murchadna
aveva influito su Orloff, incattivendolo, ma questi si era poi
pentito e si sarebbe forse redento, nel periodo in cui ne era stato
separato. Purtroppo, sua madre dovette salvargli la vita e, nel
farlo, lo trasformò definitivamente in un mostro (ah, che tragica
ironia!), sospingendolo di nuovo sulla strada del male e del
murchadna. Altro che il libero arbitrio, quindi: il fato ha
letteralmente fatto di tutto per instradare Orloff!
La storia si
concentra sul tema dell'archeologia avventurosa, ma nello stesso
tempo anticipa quello del feuilleton del ROSSO.
Il
collegamento narrativo alle vicende di Xanadu! (Martin Mystère Gigante n.2) permette di
includere anche la collana Martin Mystère Gigante nelle celebrazioni.
Nei rimandi
interni, bisogna notare che i due Agenti Temporali sono davvero poco
professionali. C'è mai stata una volta che non si siano fatti
scoprire?
Spektor
compare anche nell'antico Egitto: fu lui a donare a Cleopatra
l'anello di ametista dai grandi poteri.
Giulio Cesare
viene descritto come Orloff: sia buono che cattivo. Sarà forse una linea
di sangue?
L'arte degli
Esposito Bros spicca come sempre per la cura e l'evocatività (è
quasi un peccato che non sia toccato a loro illustrare la vicenda di
Loki, ma d'altra parte l'universo del Docteur Mystère è prerogativa
di Filippucci): le loro ombre nitide e gli studi sulle sorgenti di
luce sopperiscono ancora una volta alla fiacchezza dei colori
monotoni.
ROSSO. La
mytologia di MM compie un altro enorme balzo in avanti e l'albo
raggiunge il culmine della complessità, quando Recagno fonde la sua
personale saga Nordico-Arturiana con le vicende “novecentesche”
della famiglia Mystère, così come concepite da Alfredo Castelli.
Luke/Loki da un lato, impegnato nella sequenza che amplia i dettagli
della sua già narrata liberazione; Jaques/Cigale e Paul dall'altro,
in un preludio agli eventi che porteranno Martin a scoprire la storia del
suo “antenato” Docteur Mystère.
Il piano
narrativo di Recagno, che si rivela progressivamente con ogni albo da
lui scritto, continua a dipanarsi, proponendo ogni volta un nuovo
tassello di paralleli/simmetrie/connessioni (un gradito premio per
chi ha letto con attenzione gli albi in questione!): Loki è un
trovatello, come Cigale; ma potrebbe anche essere un soldato
statunitense, come il defunto figlio di Paul; la famiglia Mystere lo
accoglie, ma Loki (ri)cade in disgrazia come in futuro farà Orloff.
In un
bizzarro capovolgimento, il climax narrativo dell'albo viene
raggiunto non nel presente, ma nel passato. Con l'imprevedibile
incontro tra gli elementi scatenanti (o quasi) delle mitologie dei
due autori principali della serie, il cerchio si chiude, ma
innumerevoli altri si rivelano, in attesa del loro turno di essere
completati.
Il tema
dell'umanità dei Mystère torna anche qui, come in BLU: Cigale offre
a Loki un posto in famiglia, così come Martin lo offre idealmente a
Orloff (come già detto, Orloff è come il Dottor Destino per i
Fantastici Quattro). Recagno espande ulteriormente il concetto,
sottolineando come la famiglia Mystère sia per tradizione atipica: lo
sono Martin, Diana e Java (con Angie); lo erano il Docteur e Cigale,
lo è l'attuale famiglia di Cigale che è un settantenne con una
moglie giovanissima e un “trovatello” come figlio surrogato.
Il
riferimento al Docteur Mystère, che è stato per qualche anno
protagonista della storia a fumetti dell'Almanacco del Mistero,
consente un ulteriore collegamento celebrativo.
Gli stupendi
disegni di Filippucci, con i loro chiaroscuri fotografici, funzionano
alla perfezione anche con la piatta colorazione già citata.
PROLOGO/INTERMEZZO/EPILOGO. Le
sorprese finali della vicenda portante sono almeno due: una è
prevedibile per via della collocazione temporale di apertura (“non
molti anni fa”) ma pur sempre gradita (e ancora una volta ritorna
il tema della celebrazione degli eventi chiave del passato); mentre
l'altra è gustosamente inattesa.
Kut Humi
mantiene la sua caratteristica aura enigmatica e duplice: quante
volte in passato l'abbiamo visto agire in un certo modo, ma solo per
ottenere uno scopo completamente opposto? Interessante anche la
menzione del Re Del Mondo: esiste davvero, oppure Kut Humi sta
recitando?
L'arte di
Alessandrini, qui decisamente in forma, è titanica e fastosa: è
grazie ai sui disegni spettacolari che l'apertura della storia riesce
ad annunciare in poche immagini il tono epico della vicenda, con la
rapida carrellata di Lemuria, Atlantide, l'Egitto e Agarthi (che non
compaiono, se non l'Egitto, nelle altre storie, ma sono comunque
rappresentative dell'ennesima tematica portante della saga
mysteriana). E con questa nota sulle tavole di apertura, chiudiamo
anche noi il cerchio, terminando la recensione.
Giugno
2011
Storia di
Carlo Recagno
Arte di
Esposito Bros
“Non
so perchè, ma mi inquieta sottilmente”. Questa
battuta di Martin Mystère, sebbene compaia solo a pagina 88
dell'albo, è la chiave di lettura dell'intera storia, realizzata
come un ritorno alle origini (modernizzate) di Martin
Mystère.
Già, le
origini. Ma quali? Come ribadito e celebrato dal numero 300 della
collana, il nome di Martin Mystère è stato associato praticamente a
ogni genere letterario (e, quindi, ne ha anche creato uno).
In questo
caso specifico, non si tratta del Martin Mystère che affronta grandi
enigmi archeologici che svelano una storia alternativa, ma piuttosto del
Martin calato in un contesto urbano moderno, la cui continua evoluzione tecnologica cela un segreto
aspetto fantascientifico/cyberpunk. Possiamo dire che si
tratta di un filone codificato con la famosa storia Il fuoco
che uccide (Martin Mystère nn. 46-48) che vide l'esordio di Mister Jinx: tecnologie impossibili
che portano a inesplorati stati della realtà, un riferimento più o
meno velato a un'opera letteraria, uno scienziato pazzo che vede più
in là degli altri, un luogo comune che si realizza.
Certo,
mancherebbe il suddetto Mister Jinx, per il dispiacere dei suoi estimatori, ma
d’altra parte abusare di lui per questo ruolo significherebbe
fargli fare la fine di Orloff-Gambadilegno (e d'altra parte, Jinx ha i suoi problemi di continuità, di cui parliamo approfonditamente nelle note al nostro episodio Precursore postumano).
Come già
osservato in precedenza, Recagno non si limita a emulare il
maestro, ma ne espande ed evolve il lavoro, sfruttando gli anni di
esperienza e di conoscenze accumulati: ecco quindi che questo Martin
Mystère diventa più castelliano di quello dello stesso Alfredo
Castelli.
Sottili
inquietudini narrative; apparizioni degli inossidabili coniugi Morgan
(con evoluzione del loro rapporto, che si capovolge: adesso è Elmer
ad essere “amico” della vicina di casa Diana!); concetto del
“pensiero laterale” tradotto in un elemento estremamente concreto
della trama; recupero consistente e meditato di personaggi caduti nel
limbo come Von Eriksen (a differenza di quanto accaduto con Mister
Mind, oppure Beverly Howard Carter, per esempio, che con i dinosauri
c'azzeccava ben poco).
Si può
tranquillamente dire che questa storia non sarebbe mai esistita senza
il lavoro di Alfredo Castelli, ma nello stesso tempo il Martin
Mystère moderno non sarebbe più se stesso senza l'opera di Recagno.
Oltre alla
conoscenza, c'è l’approccio filologico al personaggio e al
suo mondo: scrivere un albo di Martin Mystère non significa solo di assemblare
alla meno peggio un po' di elementi mysteriosi, condendoli con abbondanti scene
di violenza e traumi atti a sconvolgere lo spettatore con l'effetto del “pugno
nello stomaco” (che, passati gli effetti immediati, scivola nel
dimenticatoio).
La conoscenza
sistematica della serie, nei suoi minimi dettagli, non si traduce
semplicemente un database imparato a memoria e
consultato all’occorrenza: si tratta invece di uno studio derivato
da un apprezzamento genuino, palpabile nella cura riservata alle
minime sfumature (per parafrasare lo stesso Martin in Affari
di famiglia, si vede che la materia in questione non è stata
solo sfogliata, ma letta e digerita).
Da qui, il
recupero e l’amalgama della mitologia, in un insieme articolato,
omogeneo, armonioso e moderno, accompagnato come sempre da
ispirazioni provenienti da altre fonti, che però non prendono il
sopravvento sulla storia (anche questo è un classico della sfida
lanciata da una vera storia di Martin Mystère: non basta
copiare & incollare testi dalla Wikipedia, come noi dilettanti
saremmo tentati di fare).
Le
ispirazioni esterne, in questo caso, sono ovviamente il romanzo Peter
Schlemihl e il Superspettro: questi due elementi, che nella
realtà non hanno alcuna relazione tra loro, sono risucchiati nel
bizantino gioco di intrecci tipico del Martin Mystère Castelliano, rivelandosi
ancora una volta come opere/concetti ispirati a fatti tanto
impossibili quanto reali. Anche in questo l'albo si distingue nel suo
ritorno alle origini, per via della creazione (o deduzione?) di
connessioni originali e argute, che coinvolgono naturalmente
anche Peter Pan (come tutti i fan della continuità
si sarebbero aspettati, e non solo per la faccenda dell'ombra, ma
anche perché Ritorno alla Terra Che Non C'è (Martin Mystère n. 280) è ancora una
volta un racconto di Recagno).
Tra le
influenze di questo albo sembra piuttosto netta quella di X-Files,
serie tv che è stata frequentemente citata in passato, ma che ora
viene lasciata nel “non detto”, probabilmente perchè ormai un
po’ datata (non che gli alieni siano una sua esclusiva, ma di certo
l'approccio alternativo lo è). Ma può anche darsi che invece l'idea
di base (la minaccia dell'ombra che invade il quotidiano, a causa
delle avventate manipolazioni di qualcuno) provenga da un altro
classico della fantascienza tv come Sapphire & Steel:
chi può dirlo?
Come sempre,
l’albo è articolato su più strati: all’enigma del mese (ormai enigma del
bimestre), tipico delle storie autoconclusive e mirato al lettore
occasionale o distratto, si sommano con discrezione altri livelli di
lettura, che lo discostano nettamente dal riempitivo ininfluente
commissionato ad autori esterni e che appagano quindi anche il
lettore storico. Come già detto per il numero 300, va bene inseguire a
tutti i costi la moda del momento in nome delle vendite, ma è bello
riuscire anche a premiare i lettori storici che hanno saputo
apprezzare la matrice radicalmente diversa del fumetto di Martin
Mystère.
Ecco quindi
che, in modo quasi sottotono e inosservato, che il cast si
espande: Travis ha ora una collega, Margaret Chase, che sembra avere
una certa confidenza per lui (o un interesse inconfessato? Sappiamo che questa è la sola apparizione di Margaret, e che
non la vedremo tornare per anni, per cui possiamo solo augurarci che non le accada all'improvviso solo per essere brutalmente trucidata e sprecata!).
Ed ecco anche
Diana, che riflette su come il suo rapporto con Martin abbia cambiato
la sua vita, anche nelle piccole cose relative al lavoro: se vogliamo
essere veramente ultra-citazionisti, possiamo pensare che questa
riflessione di Diana sia un ulteriore riferimento a Il fuoco
che uccide, storia nella quale la futura moglie di Martin ha
fatto sentire con forza le proprie opinioni.
Oltre alla
mytologia castelliana (da cui il ritorno di Travis e di Von Eriksen,
coinvolti a un livello più profondo di quanto capita solitamente ai
comprimari della serie), fanno capolino anche tre dei filoni che sono
praticamente una prerogativa dell’autore: il Piccolo Popolo, gli
Angeli e gli alieni creatori dell'umanità (vabbè, in questo caso
c'è la fila all'ingresso, ma gli Elohim sono sicuramente i più
rappresentativi).
La narrazione
corale dà voce e spazio a numerosi comprimari: Travis, Von Eriksen,
Diana, i cattivi di turno, lo stesso Schlemil. L’effetto è quello
di rendere Martin Mystère un ingranaggio che partecipa alla trama e
contribuisce a risolverla, ma senza essere per forza di cose il deus
ex machina della situazione: questo evita un trattamento
troppo supereroistico (il ricorso frequente al Terzo Occhio per
salvare la situazione ne è un esempio), ma nello stesso tempo
diventa anche l’ennesimo sottile e arguto rimando al lavoro di
Castelli (in certe storie, Martin
Mystère diventa un personaggio secondario rispetto alla complessa
vicenda che si sta svolgendo intorno a lui, e alla fine non ne viene
a capo, mentre il lettore finiscer per saperne più di lui: accade per esempio in nella vicenda di New York stories (Martin Mystère nn.182-183-184)).
La componente
artistica sembra essere stata scelta in maniera mirata (e se invece è
opera del caso, allora si tratta di un felice destino!): l'elegante e
incisivo bianco&nero degli Esposito Bros è semplicemente
l'ideale per narrare una vicenda che ha le ombre come protagoniste.
Chiudiamo
sottolineando ancora una volta il gusto dell'autore per la ricerca e
la citazione di opere letterarie che non sono esattamente
famosissime. E non è solo per quanto riguarda Peter
Schlemihl, ma anche per quanto riguarda la comparsata di The
Spirit (un'altra “ombra”!).
Novembre 2011
Storia di Alfredo Castelli
Arte di Giulio Camagni
Longitudine
zero segna l’esordio dell'artista Giulio Camagni, un nuovo illustratore (per questa testata, almeno) che sin dall’inizio si rivela a suo agio
nel gestire le complesse e sfaccettate sceneggiature di Alfredo
Castelli: il suo stile piuttosto versatile funziona molto bene sia
nelle scene movimentate (dall’azione delle battaglie aeree
all’orrore Stephenkinghiano che emerge dalle nebbie) sia in quelle più
“documentaristiche” (dove si alternano Martin Mystère seduto a un
tavolo e scene “iconiche” del passato).
Il
chiaroscuro evocativo e la composizione dinamica e armoniosa di ogni
scena (basta osservarne le inquadrature e gli elementi in gioco, per
capirlo) concorrono a creare una narrazione immediata, forte e
cinematografica, molto lineare ed elegante nel suo sviluppo.
Camagni è
anche adeguatamente e abilmente visionario, quando serve: prova ne
siano le elaborate forme del “cervello volante”, che a seconda di
come le si guarda divengono un ammasso di volti urlanti per poi
tornare a essere semplici (?) circonvoluzioni.
La padronanza
della narrazione per immagini e di tutti i classici del genere è
testimoniata dalla forza di illustrazioni che sono da immaginario
collettivo: per la capacità di riprodurre non solo le
angoscianti atmosfere nebbiose di The Mist, ma anche le scene fortemente rappresentative come la vignetta che mostra la
flotta di dischi volanti in formazione sopra l’oceano. In una sola
inquadratura, ci sono narrazione, regia e suggestioni che valgono
un’intera storia (una copertina mancata, insomma).
“Discepolo”
di Carlo Ambrosini, Camagni sembra essere influenzato anche da autori
come Caluri, Toffolo e Mattioli: stessa scuola? In ogni caso, è il
benvenuto!
E a proposito
di storia, la sceneggiatura stessa è un concentrato di idee e di
documentazione che la pongono già tra i classici della serie. Come è
tipico delle migliori idee di Castelli, la vicenda mescola il
classico mystero e gli aspetti della vita di tutti i
giorni, che ora però assumono una valenza diversa: ecco quindi che
la tendenza a straparlare non è più un sintomo di stress o di
disturbo o di senilità, ma piuttosto un effetto quantistico del
contatto temporaneo tra due universi paralleli!
A un livello
molto più circoscritto (e anche un po’ ironico), la teoria delle
stringhe, risucchiata nella faccenda della doppia teoria del
tutto, assume consistenza fisica: il Martin alternativo giunge
nella “nostra” realtà avvolto da un bozzolo di filamenti simili
a elastici, che si dissolvono dopo essere stati spezzati. In altre
parole, la transizione è stata compiuta da una tecnomagia a base di
“stringhe”.
Molto
suggestivo anche il paragone tra il mostro di Frankenstein e il
reattore nucleare fuori controllo di Chernobyl: in entrambi i casi,
una creatura sfuggita al controllo della scienza umana, non più
visibile (scomparsa tra i ghiacci o sepolta nel cemento) ma
tutt’altro che neutralizzata o resa innocua.
Ultima
annotazione: Ziegler ha imparato fin troppo bene la sua lezione di
storia; dopo le vicende dell’operazione Paperclip (riccamente
utilizzata anche in X-Files), per lui statunitensi e nazisti
non sono poi tanto diversi, quando si tratta di scrupoli e di armi
finali.
Nella
stratificazione di riferimenti, oltre al già citato film The
Mist (che non è oggetto di un plagio come di solito accade
altrove, ma di un dichiarato prequel, visto che si fanno
nomi e cognomi) segnaliamo anche Sliding Doors, film a
cui sembra alludere una vignetta di pagina 40.
Seguono a
ruota Dylan Dog (che a differenza di Martin non invecchia) e la
continuità interna della serie (la casa di Providence, il Teschio di
Cristallo e la Piramide-deposito di scorie radioattive). A proposito
di Dylan Dog: proprio di recente i lettori hanno votato a favore di
un nuovo team up con Martin Mystère. Coincidenza?
“Le idee sono nell’aria”? Di certo una storia simile sarebbe
interessante, se si trovasse il modo di spiegare perché Dylan è
ancora un trentacinquenne, mentre Martin è parecchio più anziano
(non che sia un caso isolato, ma sarebbe una vera sfida dare una
motivazione che funga anche da motore dell’incontro e della trama).
La rilettura
dell’albo, però, fa emergere anche alcuni punti dolenti: a dire il
vero, erano già stati brevemente visibili durante la prima lettura,
ma erano stati rapidamente accantonati per seguire lo sviluppo della
trama, in un susseguirsi di eventi e un accumularsi di dati… i
quali alla fine non tornano del tutto.
Come Castelli
ha raccontato più volte, il suo metodo narrativo consiste spesso
nell’iniziare una storia senza sapere esattamente dove andrà a
parare: o meglio, lo sa il suo inconscio, che lo soccorre quando non
gli riesce di elaborare un finale adeguato per l’intreccio
costruito.
Questa volta,
purtroppo, l’inconscio non ce l’ha fatta per tempo. Restano così
domande senza risposta, eventi cruciali mancanti, personaggi che
spariscono, tempi che non combaciano, fili che non si riannodano. Si può dire che la storia
funziona a livello di primo impatto (anche “emotivo”), ma
purtroppo non regge a un’analisi più meditata (a dire il vero, non
regge già alla prima lettura, perché come già detto i dubbi erano
emersi, ma erano stati trascinati via dalla narrazione fluviale).
La questione
irrisolta più evidente è quella di Ziegler e Peck.
Chi sono
costoro? Che “peso” hanno veramente nella narrazione?
Ziegler
sembra aver attivato un meccanismo di sdoppiamento degli universi.
Perché l’ha fatto? Come poteva saper fare una cosa del genere?
Quando lo ha fatto? Se aveva una tale capacità, perché poi in
entrambe le realtà ha fatto una fine tanto patetica?
La realtà
biforcata, in quanto tale, è un universo completo e a sé stante, ma
Java lo respinge, ritenendo che si tratti di una deviazione
temporanea. Se così è, perché Peck si comporta in modo tanto
diverso? E se è una realtà separata, perché il Martin alternativo
deve tornare nella nostra? In che senso questa azione chiude il
cerchio?
Nella nostra
realtà, Peck muore in modo assai banale tra i ghiacci: eppure,
nell’altra realtà si rivela essere nientemeno che uno scienziato
nazista sopravvissuto fino a oggi e in possesso di ogni genere di
segreto. Una contraddizione che sottolinea la separazione dei due
universi, e che pone ulteriori domande: come si sono conosciuti lui e
Ziegler? E’ stato un caso? Oppure Peck progettava di tradirlo anche
nella nostra realtà? E ancora, qual è esattamente lo scopo di Peck,
nell’altro universo? Re-impossessarsi della tecnologia del “doppio
tutto”? Per farne cosa? Dobbiamo concluderne che “di là” il
male ha vinto?
Suggestioni a
parte, la doppia teoria del tutto è stata a sua
volta dimenticata per strada: non solo non viene minimamente esposta
(eccetto l’esca gettata da Ziegler), ma non viene neppure esattamente
mostrata in azione. Quando Peck la torna finalmente a nominare,
sembra proprio che il nome sia stato introdotto in fretta e furia nei
dialoghi per rimediare a una falla della sceneggiatura. E in effetti,
sebbene si riveli capace di collegare universi interi, non unifica
nulla di quanto il suo stesso nome prevede, disattendendo le promesse fatte.
Di certo, i
mostri extradimensionali di The Mist e il disco
volante capace di varcare le realtà sono una conseguenza
dell’applicazione della doppia teoria, ma anche questo dettaglio
rimane fumoso e tutte le sue implicazioni non vengono nemmeno
menzionate (soldati nazisti ancora vivi? Come mai? E se i nazisti
possedevano una simile conoscenza, perché non l’hanno usata?
Oppure l’hanno usata in modi impensabili?).
L’impressione
è che la sceneggiatura non sia stata revisionata a sufficienza per
far quadrare la logica della trama. Di conseguenza, nel finale, fatti
e personaggi sembrano scivolare via come sabbia tra le dita di una
mano, lasciandoci con l’impressione di osservare un edificio
costruito a metà.
Se a inizio
storia Martin cerca di trovare una giornata perduta, perché non gli
sovviene di aver straparlato più e più volte riferendosi a
sensazioni e concetti e scene che non ricorda di aver vissuto?
Decisamente questi misteriosi eventi (che Diana gli ha fatto notare
con vigore) erano ciò che stava cercando: una giornata (o settimana)
perduta!
Purtroppo, il
personaggio di George McCardell non ricompare nel finale (e Martin lo
nomina frettolosamente, per rimediare), ma possiamo star certi che la nuova versione della conversazione tra lui e Martin sarebbe stata molto diversa da quella
iniziale, dopo aver letto come si è effettivamente svolta la storia.
Nel calderone
degli eventi sconnessi rientrano anche il falso ricordo del disco
volante tra i ghiacci: a Martin pare di riconoscerlo, a pagina 69, ma
non è possibile perché è la prima volta che lo vede. Una simile
frase, infatti, dovrebbe riguardare invece le pagine 33-34 (che si
svolgono nel futuro, rispetto a pagina 69; Martin dovrebbe quindi
vagamente rendersi conto che il suo alter ego ha
effettivamente visto quella foto in un’altra realtà).
Continuando
con le cose sfuggite alla revisione: la scena di pagina 113 sembra
collegarsi a quella di pagina 36, come se Martin e gli altri fossero
reduci dalla visione di Relatively Speaking. I tempi
dovrebbero essere quelli, ma il collegamento non viene menzionato.
Pur essendo
scritta splendidamente, quindi, questa storia si arena nel finale,
che non riesce a tirare le fila di tutte le idee, i concetti e le
trame di cui è intessuta.
La doppia
teoria del tutto e la suggestiva copertina sembravano
promettere non solo azione e avventura, ma anche una narrazione
unificante come quella de L'ultimo mistero (Martin Mystère n. 127bis) .
Invece il risultato è una vicenda disorientante, che sembra quasi
sgangherata, a causa delle “porte girevoli” con cui elementi e
personaggi sono gestiti.
Servirebbe
una “parte 2”, ma questa osservazione comincia a sembrare un po’
troppo abusata, quasi fosse una scusa d’ufficio. A posteriori, emerge che l'effettivo seguito, cioè Ritorno a Longitudine Zero (Martin Mystère n. 331), finisce per ingarbugliare ulteriormente la matassa, introducendo nuovi elementi incoerenti a raffica senza chiarire nulla del pasticcio esistente.
Forse sarebbe
servito un supervisore che suggerisse una serie di accorgimenti per
far quadrare l’idea di base, che resta comunque intrigante, e gli
sviluppi della storia, che è quantomeno affascinante (letteralmente,
è una storia che spalanca infiniti universi davanti alla nostra
mente).
Per esempio,
l’atto finale del piano di Peck avrebbe potuto coinvolgere non solo
Martin, ma Peck stesso. Se entrambi fossero saliti a bordo del disco
volante e avessero compiuto il balzo da una realtà all’altra,
allora sarebbe stato possibile spiegare il piano di Peck e dargli una
logica molto semplice ma funzionante: Peck e Ziegler avevano attivato
la deviazione quantistica della realtà per creare una derivazione
“temporanea” in cui utilizzare Mystère come “chiave” (sia per
giungere al laboratorio, sia per attivare il disco volante e tornare
quindi indietro). Il tradimento avrebbe tolto di scena Ziegler, come
da effettiva sceneggiatura.
Una volta
tornati nella nostra realtà, Peck e Martin si sarebbero riuniti ai
loro alter ego, fondendosi a livello subatomico e regalando loro
sconcertanti ricordi di eventi mai vissuti: Martin avrebbe dovuto
tirare le somme a casa propria, mentre Peck avrebbe usato queste
conoscenze in Antartide, per procedere da solo fino al laboratorio. E
qui avremmo avuto la sorpresa che è anche quella del finale
dell’albo: Peck non aveva previsto di poter morire in QUESTA realtà
e la sua mente si sarebbe riunita a un cadavere, solo per essere
definitivamente sconfitta.
Altra cosa da
sistemare: il colloquio con George McCardell, che già ora non
funziona e che, con questo nuovo finale, avrebbe costretto Martin a
rievocare ricordi non suoi, ma già presenti.
Accorciando
questo colloquio, sarebbe stato possibile dare più spazio a Peck,
che attualmente stona anche perché è un personaggio che viola una
delle regole più importanti del giallo. Infatti, pur comparendo solo
a pagina 111, è il colpevole!
Dare un
retroterra a questo misterioso scienziato così longevo avrebbe reso
più sensata la storia e avrebbe per esempio permesso di coinvolgere
Agarthi e Kut Humi: ciò avrebbe dato più sostanza a quel vago
accenno di Martin alla propria iniziazione (altro elemento citato in
fretta e furia per giustificare i suoi improvvisi “superpoteri”)
e, soprattutto, si sarebbe collegato alla familiarità che Kut Humi
ha con i suoi ex colleghi nazisti.
Per impedire
che Agarthi divenisse la chiave risolutiva della vicenda, si sarebbe
potuto aggiungere il classico tema della scelta personale di Martin
Mystère o della risoluzione “scritta nel libro del destino”.
Kut Humi
avrebbe potuto decidere di non dover agire, perché un suo intervento
non avrebbe risolto le cose, ma avrebbe innescato una eco
multiversale che avrebbe dato origine a un’infinità di
derivazioni, invece che ricondurre la singola deviazione attuale alla
nostra.
Per evitare
la solita gag di Kut Humi che spiega al discepolo che non bisogna
muovere un dito, si sarebbe potuta coinvolgere anche Altrove: Kut
Humi avrebbe provveduto a “bloccare” ogni intervento di Altrove,
magari entrando in scena per spiegare a Tower ed Aldous quanto
ipotizzato sinora (e cioè che per contratto Martin deve essere
sempre il fulcro di ogni evento cruciale della realtà).
Agosto 2012
Storia di Carlo Recagno
Arte di Esposito Bros
Nell’ambito
delle celebrazioni dei trentennale, la collana regolare di Martin
Mystére dedica un albo ai nemici storici per eccellenza
(escluso Sergej Orloff) e alla loro evoluzione nel corso degli anni:
si tratta degli Uomini In Nero, nella loro versione "moderna"
in cui la fazione delle Colombe sembra finalmente aver
avuto il sopravvento su quella violenta e spietata dei Falchi.
Non che ci sia da farsi illusioni, ovviamente: sebbene si tratti di
un’anima più intellettuale degli UiN, la fazione delle Colombe
persegue comunque lo scopo di mantenere l’umanità nell’ignoranza
della storia, per cui non esita a ingannare, rubare e uccidere, pur
di garantire lo status quo del sonno della ragione.
A dire il
vero, gli UiN in versione filosofica sono già apparsi durante le
celebrazioni dell’anniversario, ne Gli enigmi del giovane
Martin (Speciale Martin Mystère n. 29), ma in quel caso si
trattava della loro versione antecedente al 1984, e la trama non era
focalizzata sulle dinamiche del gruppo.
In questo
albo n. 322, invece, la famigerata "organizzazione dei
distruttori della conoscenza" gioca un ruolo di primo piano e
ciò offre l’occasione di ridefinirne posizione e situazione nella
continuità mysteriana contemporanea, facendo il punto del passato e
anticipando il futuro.
Per quanto
riguarda la storia relativamente recente degli UiN, si parla di come
Erickson (un Uomo In Nero "illuminato" creato da Vincenzo
Beretta e poi rilanciato da Alessandro Russo) cerchi di riformare
l’organizzazione: si vede che l’incontro con Martin, che sembrava
aver portato quest’ultimo a condividere una certa parte della
mentalità degli UiN, ha invece avuto l’effetto opposto di aprire
gli occhi a Erickson. Per la storia più antica, si allude al
tentativo di reclutare Martin, visto nel succitato Speciale n. 29.
Non manca un
altro riferimento alla continuità che sembrava ormai dimenticato: il
misterioso "grande capo massimo" degli UiN, chiunque egli
sia (Mark Mystére? Zio Paul?), ha dato ordine di non torcere un capello a
Martin, del quale parla sempre di un certo affetto: lo sappiamo sin
da La città dei maghi (Martin Mystère Gigante n. 9).
Il nuovo Uomo
In Nero qui introdotto, il signor Mallory, specifica che le Colombe
non considerano Martin un pericolo: eppure, nello stesso tempo, le
sue parole sembrano presagire uno scontro futuro.
Che Martin
non sia stato influenzato dai suoi contatti con gli UiN, però, è
improbabile: più di una volta, infatti, gli è capitato di
distruggere oggetti provenienti da un passato sconosciuto,
solitamente dopo che questi ultimi erano stati utilizzati da
personaggi senza scrupoli che erano giunti a causare una qualche
catastrofe.
In questa
nuova storia non ci sono oggetti del genere, ma durante la puntata
di “I mysteri di Mystére” compare un aspetto di
Martin vista solo di rado, ma non sconosciuto: quella dello scettico
implacabile, che smantella con rigore ferreo (e fanatismo quasi crudele) le
teorie del povero complottista di turno.
E’
veramente così, quindi? Con l’età, Martin è praticamente
diventato un Uomo In Nero, che zittisce chiunque offra
“interpretazioni alternative” della realtà? Sembrerebbe di sì,
soprattutto alla luce dei discorsi di scherno che, anche in privato,
porta avanti riguardo al complotto delle scie chimiche.
Eppure,
questa è una lettura superficiale: quelle che Martin sta demolendo,
infatti, sono le affermazioni menzognere di un cialtrone che sta
deliberatamente e con malizia facendo leva sulle paure della gente
comune, per seminare il panico e distrarla dai veri problemi. E
Sebastian Holtz non è solo uno sciacallo che specula su teorie
assurde a scopo di lucro, è anche e soprattutto un agente (ignaro)
degli Uomini In Nero, dedito a propagare una menzogna creata da
questi ultimi.
In altre
parole, e per usare proprio le sue, Martin ha “annusato” istantaneamente la
natura (telefonata dalla sceneggiatura) di imbroglione di Holtz (come già gli è
accaduto in passato, e dopotutto ha un’esperienza trentennale con
questi personaggi, ormai li saprà distinguere!); contestandone le
teoria, ha a tutti gli effetti combattuto contro l’ennesimo inganno
degli Uomini In Nero.
Nonostante le
apparenze di oscurantista, quindi, Martin ha ancora una volta cercato
di opporsi ai suoi eterni nemici (che comunque dicono di non essere
tali, ma a parole siamo bravi tutti). La differenza rispetto ai
conflitti tradizionali è che qui la battaglia si gioca su un piano
più “intellettuale”, in cui la presunta “verità scomoda” è
invece uno strumento degli UiN (come nel famoso adagio sul diavolo
che cita le sacre scritture a proprio vantaggio).
Purtroppo,
anche questa volta gli UiN hanno vinto; come sempre, visto che
Atlantide e compagnia sono ancora considerati fole per bambini, dalla
società contemporanea dell’universo di MM. A pensarci bene, la
sola “sconfitta sul campo” riportata dagli UiN è sempre stata
solo quella di non riuscire a uccidere Martin nei vari scontri a
fuoco: per il resto, se si eccettuano le schermaglie in chiave
supereroistica con Altrove su Zona X, purtroppo è sempre
riuscito loro di far sparire in qualche modo le prove scomode di
qualunque realtà volessero tenere segreta al pubblico.
Torna quindi
anche un elemento degli UiN che è stato evidenziato anche da Alfredo
Castelli e da Russo, il primo in occasioni relative soprattutto alla
ideazione dell’ideologia del gruppo, il secondo su Zona X.
Si tratta
della manipolazione dell’opinione pubblica, ottenuta facendo leva
sul paure e pregiudizi: non a caso, si tratta di due elementi che
nascono dall’ignoranza, che gli UiN sono maestri nell’alimentare.
Nel fumetto, la paura è quella di “un pericolo da complotto”,
come appunto le scie chimiche, ma non è difficile cogliere
un’affinità, per esempio, con il “pericolo dello straniero che
viene qui a stuprare e rubare il lavoro” oppure il “pericolo dei
comunisti”.
A proposito
della congiura del titolo, per risolvere questa trama è stata scelta
una soluzione “al contrario” che è già comparsa almeno una
volta nella serie. E non a caso, Cospirazione Luna (Martin
Mystére n. 295) è proprio l’unico albo di cui viene
fornito il rimando in una nota interna.
Non è solo
per quello che la trama ci risulta familiare, però: l’idea di uno
sceneggiatore che viene assunto perché usi inconsapevolmente la sua
fantasia per gli scopi di una qualche sinistra organizzazione segreta
non è esattamente nuova.
Dove
l’abbiamo già sentita? Al momento mi sfugge, ma sembrerebbe una
trama da Zona X prima maniera, oppure da antologia
dei “racconti impossibili” di Martin, o addirittura da Topolino.
Presumibilmente, si tratterebbe di una storia scritta da Castelli,
spiegando così le numerose somiglianze fisiche e professionali tra
lui e il personaggio di Canton Everett Delaware III (che anche il
nome nasconda un qualche gioco di parole?).
Congiura nei cieli può essere diviso grossolanamente in tre parti e la terza, che
comprende la rivelazione della verità sul non-complotto fornita da
Canton Everett e l’incontro di Martin con gli UiN, costituisce la
parte più interessante.
La prima
parte riguarda in linea di massima la caduta di Fred Morton nella
spirale della paranoia e risulta un po’ scontata e ridondante (come
è ovvio che sia, visto che sta dipingendo le fantasie ossessive di
una persona vittima della paranoia).
La seconda
parte, che coinvolge Martin (lo scontro televisivo con Holtz e le
“indagini” sulla morte di Morton) è la più verbosa e lenta:
sebbene la documentazione sull’argomento (pro e contro) sia
estremamente benvenuta, l’impressione è che l’esposizione della
stessa sia stata fortemente dilatata per compensare la semplicità
della trama e raggiungere così la quota obbligatoria delle 160
pagine.
Questo albo è
uno di quelli che avrebbe forse beneficiato di una composizione a doppia storia: una prima storia da un centinaio di pagine per la vicenda delle scie chimiche;
un’altra storia di una sessantina (sullo stile di quello che era il
formato originale pensato per MM) con un argomento completamente
diverso e di soluzione più rapida (magari una storia d’azione, per
bilanciare la precedente). Così non è
stato e ben vengano quindi le argomentazioni abbondanti, che per
fortuna sfuggono al rischio di essere ridondanti (e già questo da
solo è un conseguimento assai notevole).
Benvenuto è
stato anche l’esito dello scontro verbale tra Martin e Holtz nella
diretta tv: in mano a sceneggiatori mediocri, per riuscire a far
comprendere al lettore chi è il “cattivo” della situazione,
Holtz avrebbe alzato le mani su Martin, scatenando una rissa conclusa
da Martin che avrebbe sferrato un indignato pugno finale “da giusto
castigatore” all’imbroglione spregevole. Questa soluzione, tanto
volgare quanto abusata, ci è stata risparmiata, nonostante l'attuale direzione artistica della serie indulga con persistenza in simili scelte stilistiche dozzinali e tanto simili all'imperante mediocrità della televisione targata Mediaset.
Anche la
sequenza con i coniugi Morgan (che non si chiamano più Jones, e se
volete sapere perché dovete leggere La vendetta dellampadario) sembra svolgere il ruolo di riempitivo, sebbene sia
divertente che almeno in queste pagine il compito di tirarla lunga venga affidato a elementi noti della
continuità.
Stesso
discorso per il pedinamento degli UiN ai danni di Martin, con
relativo pestaggio: ai vecchi tempi sarebbe stata una scena d’azione
obbligatoria (quanto inutile e noiosa); al giorno d’oggi, sembra
solo improbabile.
Altre
sequenze che sanno di riempitivo sono quelle relative alle
conversazioni del pilota aereo Hal.
La stessa
caratterizzazione piuttosto manichea dei due “cattivi” (cioè il
fanatico della cospirazione Morton e il populista Holtz), reiterata
da diverse angolazioni, stanca in fretta per la sua ovvietà grossolana. Forse sarebbe stata meno
noiosa (e meno riempitiva) se i due personaggi non avessero ricevuto
connotazioni da “malvagio” così grezzamente esplicite, sia nei dialoghi che
nei disegni: coi loro vaneggiamenti, dozzinali e palesemente
infondati, porgono entrambi i fianchi a Martin per essere sbugiardati
e derisi all'istante; e non parliamo delle smorfie da “vero cattivo” di
Morton, veramente fuori luogo per un personaggio che a rigor di logica dovrebbe vedere
se stesso come l’eroe della situazione. Al lettore viene il sospetto di stare perdendo tempo, nel seguire le vicende private
di due simili poveracci tanto impegnati a darsi la zappa sui piedi a
ogni passo. Certo, non siamo ancora al livello del poliziotto
razzista cattivissimo che si esibisce in deliri auto-accusatori nel
bel mezzo di un processo (neanche soffrisse della sindrome di
Tourette), ma l'andazzo è desolantemente lo stesso.
La presenza
di Travis e Diana, la coppia di autori e il periodo estivo della
pubblicazione di questo albo sono elementi che lo accomunano (per
caso) a Con la coda dell'occhio (Martin Mystére n. 315),
uscito nel 2011. E anche là c’era un famoso fanatico dell’ipotesi
ufologia, cioè il povero Eriksen. Diventerà mica un’altra
tradizione della collana?
Il pilota di
aerei si chiama Hal: sarà un riferimento ad Hal Jordan, cioè la
“Lanterna Verde” per eccellenza del fumetto DC Comics di Green
Lantern?
Da notare
l’ennesima ragazza che fa la svenevole con Martin: un altro esempio
della formula di elementi ricorrenti per sradicare il personaggio dalla sua costruzione narrativa unica e incastrarlo in un eterno presente alla Dylan Dog.
L’intreccio di Cospirazione nei cieli è particolarmente lineare, così banale nella sua semplicità da sfiorare spesso la noia durante la lettura, nonostante i
contenuti validi. Il cambiamento di stile di Recagno è
particolarmente netto, se lo si confronta con certe sue opere
precedenti che dimostrano la capacità di gestire narrazioni molto
più complesse (le famose “sfide” al lettore, che ripagano
effettivamente dell’acquisto dell’albo). Non è chiaro se si
tratti di una fase di stanca, di una storia poco ispirata, di una
nuova linea per la serie o di un tentativo di omaggio: la struttura
con scene che fanno pensare continuamente a situazioni da
cospirazione, ma si risolvono in cose più “ordinarie”, richiama
con forza Affari di famiglia (Martin Mystère nn. 174-175), nel quale sembrava che
ogni angolo della storia della famiglia Mystére nascondesse chissà
quali misteri, mentre in realtà si trattava sempre di equivoci ed
esagerazioni.
Le
fondamenta di una leggenda metropolitana: “ci credo perché è già
successo”
Gli articoli
finali di approfondimento dell'albo non possono approfondire più di tanto,
visto che la storia ha avuto modo di sviscerare l’argomento assai
più dettagliatamente di quanto possano fare tre semplici pagine, ma
c’è una osservazione di Alfredo Castelli che vale l’intero albo:
nella nostra realtà, numerosi analisti sapevano della crisi
finanziaria che stava per abbattersi sull’USA e l’Europa, ma
hanno taciuto, per vari motivi; non è quindi impossibile che alcune
leggende metropolitane sulle congiure siano vere, perché il
ragionamento del “coinvolge troppe persone, e qualcuno parlerebbe”
non ha funzionato nella realtà dei fatti. Esiste un
precedente, insomma, ed è abbastanza triste notare come il curatore della serie sia costretto a smentire le prese di posizione ingenuamente assolutistiche dello stesso fumetto che sta documentando a favore dei lettori.
Da qui, ci si
sposta a un altro ragionamento che non regge: “se le scie fossero
dannose, come farebbero i cospiratori a proteggersi?”. La risposta
potrebbe essere la stessa di poco fa: la crisi finanziaria, nata
dalla bolla speculativa che scommetteva sull’insolvenza di sempre
più gente che si indebita per vivere al di sopra dei propri mezzi
(come accade anche da noi), non ha colpito che i “poveracci”; i
principali attori di questo disastro sono spesso e volentieri
diventati più ricchi, e anche se qualcuno (pochissimi) ha pagato
(relativamente), molti altri ne sono usciti indenni perché i governi
stessi sono intervenuti per salvarli. E gli “aiuti” sono stati
trasformati in premi personali.
Insomma, chi
causa scientemente un disastro per trarne vantaggio, probabilmente è
così astuto da procurarsi i mezzi per proteggersi dallo stesso.
Se vogliamo
un altro, esempio, consideriamo come i grandi industriali dell’auto
e del petrolio non siano esattamente esposti alla stessa atmosfera
inquinata che respiriamo noi: usano elicotteri mentre noi soffochiamo
nel traffico, fanno costruire eliporti ovunque in barba alla
devastazione ambientale, dispongono di uffici in cima a grattacieli
sempre più nuovi, hanno la climatizzazione artificiale dell'ambiente ovunque si spostino, vivono in
ville circondate dal verde in bellissime zone scarsamente popolate, passano tutti i periodi che vogliono in
paradisi turistici elitari e incontaminati…
Oppure,
possiamo parlare di Quirra, in Sardegna, o delle discariche di
materiali radioattivi che infettano sia quell’isola che il resto
del nostro territorio. Che si tratti “dell’esercito” che compie
esercitazioni/sperimentazioni con armi “sporche” o “del
governo” che deve compiacere i privati che vogliono arricchirsi
subito con la produzione energia, poco importa (e visto com’è
facile trasformare una denuncia in uno scherno di delirio paranoico,
virgolettando le parole chiave che screditano automaticamente il
testo?).
Il risultato è sempre lo stesso: non sarà un complotto per ottenere qualche risultato da film di fantascienza (o da fumetto del mystero), ma comunque siamo davanti al frutto dell’irresponsabilità, dell’avidità e della dissennatezza inconfessabile di rappresentati di interessi privati che non si sono fatti scrupoli a perseguire i propri scopi con qualunque mezzo, incuranti delle conseguenze che ricadono su altri.
Il risultato è sempre lo stesso: non sarà un complotto per ottenere qualche risultato da film di fantascienza (o da fumetto del mystero), ma comunque siamo davanti al frutto dell’irresponsabilità, dell’avidità e della dissennatezza inconfessabile di rappresentati di interessi privati che non si sono fatti scrupoli a perseguire i propri scopi con qualunque mezzo, incuranti delle conseguenze che ricadono su altri.
In
conclusione, dopo questa edificante carrellata di esempi “paranoici”:
la credibilità di cui godono certe “teorie paranoiche del
complotto” non sta nella forza oggettiva delle prove addotte, ma
nel fatto che ogni giorno, intorno a noi, vediamo i risultati
dell’incoscienza di amministratori delegati e compagnia che
avvelenano irresponsabilmente ogni angolo del mondo al solo scopo di
pompare le loro stock options e simili, solitamente
dopo che il politico di turno si è riempito le tasche di tangenti
concedendo non solo favolosi appalti, ma anche permessi per svolgere
attività illegali con un effetto devastante sulla salute dei comuni
cittadini (come lo sversamento di materiali tossici nelle fondamenta
di una nuova linea ferroviaria dedicata a un trasporto merci
inesistente; o la costruzione di centri commerciali sopra terreni non
bonificati che avevano ospitato per decenni industrie chimiche che
producevano scarti letali; casi concreti che hanno visto interventi
dei Carabinieri, della Magistratura e dell’Unione Europea,
purtroppo a disastro fatto).
A fronte di
ciò che esperiamo personalmente, sentirci raccontare che “il
governo” (o le aziende private che controllano gli enti statali
tramite persone chiave che intrecciano gli interessi più disparati,
sedendo in n-mila consigli di amministrazione) sta favorendo attività
a noi dannose nei cieli per motivi che ci vengono tenuti nascosti, ci
sembra non solo credibile, ma estremamente probabile. Perché è un
comportamento che viviamo sulla nostra pelle ogni giorno, solo in
altri ambiti.
Lungi da noi
sostenere che questa particolare teoria del complotto abbia qualcosa
di credibile, sia chiaro. Quello che manca nella teoria della cospirazione delle scie
chimiche, ovviamente, sono le prove concrete: analisi dei gas,
campioni di questi “veleni”, letteratura medica sugli effetti che
avrebbero (ma come si fa a pretendere di correlare ciò che accade al
suolo con quello che viene disperso in cielo e ad alta quota? Con tutte le più
disparate forme di inquinamento che già ci stanno avvelenando e che
provengono da luoghi molto più a portata di mano, ma che nessuno si
preoccupa di controllare?).
E’ un
peccato però che Martin Mystère, fautore del pensiero laterale
(come ci ricorda bene Cristian Di Biase nell’articolo che segue), si sia
fatto sfuggire l’occasione per riflettere su questa componente
psicologica/sociologica di una certa attualità (però c’è una
vignetta in cui usa la parola “inquinamento”): da come persegue
con ostinazione maniacale solamente lo smantellamento di questa
teoria del complotto, sembra quasi che abbia un accanimento personale
verso l’argomento (di cui però non c’è traccia nel fumetto o
nella sua storia persona). Forse sarebbe stato più efficace mostrare
un Martin Mystère vagamente possibilista all’inizio, ma che è
costretto a divenire uno scettico implacabile davanti ai ragionamenti
insensati e all’arroganza infantile manifestati da Holtz e Morton
nell’esporre/imporre le loro Verità: per come è presentata la
storia, invece, sembra che Martin li
abbia giudicati a priori. Non è nella psicologia del personaggio, ma la storia non si degna minimamente di dare spazio a
questa fase, nonostante l'ampia quantità di pagine a disposizione.
In
conclusione: una definitiva pietra tombale su qualunque remota
possibilità di parvenza di credibilità di questa congiura è stata
comunque posta dalla nota relativa all’interrogazione parlamentare
sul tema presentata dall’onorevole “Responsabile” Scilipoti.
Il punto
della situazione: Martin Mystére ieri e oggi. E domani?
di Cristian
Di Biase
Martin
Mystére n.322 è l'esemplificazione delle profonde
contraddizioni che regolano il mondo, anzi, i mondi: quello reale e
quello "mysteriano".
Abbiamo già
spiegato abbondantemente la prima contraddizione: le menzogne
quotidianamente perpetrate ad ogni livello sociale e mediatico,
illusoria speranza e spesso unico rifugio esistenziale di molte
(troppe) persone, sono l'unica via per tirare avanti quella complessa
carretta che è la nostra società.
La seconda
contraddizione non è del tutto slegata dalla prima, ma, meno
pretenziosamente, si limita ad influenzare il percorso narrativo ed
editoriale del nostro personaggio preferito. Detto in parole
semplici: Martin Mystére, oggi, è un fumetto pieno di
contraddizioni.
Il detective
dell'impossibile, che sempre si è (giustamente) vantato, e
nell'albo in edicola di nuovo se ne vanta, di possedere una mente
aperta e scevra di pregiudizi, ma mai freddamente cinica, spesso e
volentieri ha dimostrato il contrario. Il celebre Xanadu
(Martin Mystère Gigante n. 2), il primo team-up con
il quasi intollerato Dylan Dog o la gran parte delle storie scritte
da Morales sono alcuni esempi di queste cadute di stile dell'uomo
Martin. Una lista, questa, a cui va ora aggiunto il nuovo Congiura
nei cieli, sul quale, però, grava un ulteriore fardello. Chi
scrive ha iniziato a leggere Martin Mystére esattamente
dieci anni fa, nell'Agosto del 2002: l'albo era il n. 245,
seconda parte di una trilogia a sua volta tassello di una saga dai
toni fantastici, avventurosi e soap. Fosse in edicola oggi,
probabilmente strali d'ogni forma e tipologia colpirebbero quella
storia marvelliana e fantasiosa, per di più monca e
completamente immersa nella continuità. Orrore!
Ci si
domanderebbe, credo, come un albo del genere possa interessare un
quattordicenne ed invogliarlo a recuperare in fretta e furia gli
arretrati. Dieci anni più tardi, lo stesso trio d'autori
responsabile di quell'eresia (ma allora era più o meno la norma)
imbastisce una storia in cui Martin pare aver completamente
dimenticato che alla mente aperta e ai pensieri laterali ha sempre
affiancato una buona dose di fantasia (infantile fantasia, perchè
no?).
Nella
sequenza - destinata a divenire celebre al pari di altri storici
momenti mysteriani - di Congiura nei cieli in cui
Martin sbugiarda in diretta tv Sebastian Holtz è ravvisabile la
contraddizione umana del nostro eroe (o antieroe? Né l'uno né
l'altro, in realtà). Martin fa cosa buona e giusta nello screditare
bufale e menzogne e fa cosa ancora più giusta nel ridimensionare il
populismo mediatico di cui si fa forza Holtz (ma va detto che molto
lo aiuta la configurazione stereotipata e isterica dello
stesso Holtz). A mio avviso, però, sbaglia nel non lasciare
assolutamente e inequivocabilmente aperto alcuno spiraglio di
possibilità a favore della tesi, per quanto assurda possa essere. La
questione non riguarda nello specifico le scie chimiche, che fungono
da casus belli: è l'atteggiamento di Martin nei
confronti del mystero di turno che qui si vuole analizzare.
Nel 1982
Martin era assolutamente convinto dell'esistenza di Atlantide e Mu,
pur essendo totalmente sprovvisto di prove concrete (com'è noto, le
troverà solo nel n. 1). Non godeva nemmeno di molto
credito, e "Mystère's Mysteries of the
past" e "Mystère's mysteries" (il
suo libro e la sua trasmissione televisiva) avevano la stessa valenza
che hanno oggi i libri e i programmi tv di Roberto Giacobbo (con
l'ovvio distinguo: Martin è arrivato prima). Si dava, però, da
fare, si poneva domande anche razionalmente "assurde" ed
otteneva, così, qualche risultato. Trent'anni dopo, Martin scredita
il complottista, ma non contribuisce attivamente al discorso. Si
potrebbe obiettare, e non a torto, che sia il complottista a dover
dimostrare la propria tesi, e/o che la tesi sia, in ogni caso,
abbastanza assurda da poter essere ridimensionata senza troppi
patemi. Eppure chi scrive è convinto che un tempo Martin i patemi li
avrebbe avuti.
Nell'intervista
del 15 Agosto pubblicata su l'Unità, Castelli ripropone un suo
cavallo di battaglia: il mistero non sta sepolto in qualche isola
sommersa ma lo si trova anche dietro l’angolo di casa. Martin resta
sempre un incurabile curioso, in grado di trovare qualcosa di
affascinante in ogni posto, in ogni oggetto. Mi piace ripetere spesso
una frase di Maupassant: “La cosa più insignificante nasconde un
po’ di mistero: troviamolo”. Evidentemente in Congiura nei
cieli Martin si dimentica dell'insegnamento di Maupassant ed
eccede in scetticismo nei confronti dell’inspiegabile come Piero
Angela e il Cipac (il Comitato per il Controllo delle Affermazioni
sul Paranormale) (ovvero il Cicap, a proposito di informazione
corretta...) cui Castelli si "sente più vicino" rispetto
al Giacobbo emulo del suo personaggio. Nulla di male, i tempi
cambiano, e l'evoluzione di personaggio e autore è uno dei punti di
forza e di vanto della serie. Tuttavia, è una serie che non ha
ancora ritrovato quell'equilibrio ben sintetizzato da Castelli nella
succitata intervista: Penso che uccidere la fantasia sia una grave
colpa, anche se è molto peggio trattare le persone come boccaloni...
forse c’è una via di mezzo. Eppure, la serie di Martin Mystère ha festeggiato
trent'anni di onorata carriera con una storia di pura fantasia che ha
dovuto giustificare l'essere di fantasia, ed ora con una storia
ultrarazionale che cerca di giustificare l'essere ultrarazionale. Nel
mezzo, due storie paradossalmente troppo equilibrate, prive di
particolari guizzi.
Come mai una
serie così contraddittoria, quasi che fosse intimorita da se stessa
e dalle proprie potenzialità? Viene da pensare che anche la
bimestralità - al pari di altre formule editoriali sperimentate in
passato - abbia imbrigliato autori e personaggi in una gabbia che,
terminato l'entusiasmo "caciarone" iniziale, si sta
rivelando meno dorata di quel che poteva apparire qualche anno fa.
Eppure è questa la via che da tempo Castelli pare aver scelto: non è
sconosciuta ai più la voglia del creatore di Martin di trasformare
il suo fumetto "italiano", dal paratesto economico e dalle
uscite ravvicinate, in un fumetto "francese", dal paratesto
particolarmente curato e dalle uscite sporadiche, o comunque molto
diluite nel tempo. Il personaggio Martin, essendo di carta,
sopravvivrebbe benissimo alla transizione, anzi, azzardo una
previsione: sopravvivrà senza dubbio. Morirebbe, invece, la serie,
nel senso più stretto del termine, ovvero nell'accezione di opera
seriale o serializzata, costituita da storie concatenate, dalla
doppia valenza di singole avventure e tasselli di un mosaico più
grande (la chiameremmo continuità, se non fosse che
quella parola pare essere divenuta una parolaccia); morirebbe il
Martin Mystère fumetto seriale, per capirci.
Sono
due strade, quella tradizionale bonellide e quella più ingenua ed
autoconclusiva, entrambe legittime e fruttuose, se ogni potenzialità
ne viene sfruttata appieno. Per ora Martin Mystére è ancora in
Bonelli ed è, formalmente, ancora un'opera seriale, ma si presenta
come una Ferrari utilizzata a mo' di utilitaria. Per sfruttare
appieno le potenzialità del fumetto, occorrerebbe, a mio avviso,
renderlo per l'appunto più "seriale" e fare in modo che
finito un albo si abbia già voglia di leggere il successivo. Per
fare questo occorre che Martin "ritrovi uno scopo",
come già lo
stesso Castelli si riprometteva più di dieci anni fa sulla mailing
list BVZM. Occorrerebbe, credo, un leitmotiv che ad ogni storia
dia l'impressione di aver letto, oltre alla storia, una parte di una
Storia più grande. Di nuovo, per fare questo occorrerebbe che Martin
per primo recuperi la voglia di trovare il mystero anche nella cosa
più assurda ed insignificante. Anche in una scia chimica, perchè
no?
E se Castelli
non ha voglia di impelagarsi in un'iniziativa simile, beh, lui stesso
fornisce una soluzione: Nel 2015 saranno cinquant'anni che faccio
questo lavoro e un po' mi sono rotto. Le singole storie mi annoiano e
m'interessa di più la progettualità, le sfide divertenti, mescolare
le cose. Ecco, rilanciare Martin sarebbe una sfida degna di questo
nome. Antonio Serra, su Nathan Never, sta provando a
farlo con il proprio personaggio. Sarebbe interessante vedere una cosa
simile su Martin Mystère: Castelli progetti un rilancio,
tessendo e architettando dietro le quinte, ed affidi alla squadra di
sceneggiatori il compito più gramo, quello di scrivere materialmente
le storie. Ne risulterebbe, credo, un lavoro di squadra che potrebbe
portare a buoni frutti.
Martin ne ha
bisogno, se vuole sopravvivere nella veste che si è cucito addosso.
D'altro canto, è vero che a settant'anni non si può essere come a
trenta. Ma, applicando il pensiero laterale, è altrettanto vero che
a trent'anni appena compiuti non si può essere come a settanta.
p.s.:
Ultimamente su Martin Mystère si commettono errori grossolani (vedere il pur
brillante L'ombra di Fantômas, Almanacco del Mistero 2012).
A pag.57 di Congiura nei cieli Martin, in tv!, dice:
Da qui l'appellativo di "scie chimiche", in inglese
"chemtrails"... in quale lingua parla, di solito, il
Nostro americano preferito?
Un altro
esempio di contraddizione: errori banali nel fumetto più colto e
curato di Casa Bonelli.
Martin Mystère n.325, “Voci dal passato”
Febbraio 2012
Martin Mystère n.325, “Voci dal passato”
Storia di Alfredo Castelli
Arte di Giulio Camagni
La trasformazione a cui viene sottoposto Martin Mystère da qualche tempo (ai fini di garantire la sua sopravvivenza in edicola) comporta una standardizzazione della struttura delle storie, riconoscibile in certi elementi obbligatoriamente ricorrenti che risultano essere abbastanza noiosi per il Mysteriano medio, specialmente in un albo di 160 pagine, perché si distaccano dalle caratteristiche culturali di Martin Mystère e riconducono la serie al livello di un qualunque altro prodotto da edicola. Chiaramente ciò garantisce l’aspetto economico e la continuità della pubblicazione, ma così si perde anche quell’unicità che rendeva interessante Martin Mystère.
Preso atto di
ciò, senza che sia da intendersi come critica, ma come banale
constatazione di un dato di fatto, non resta che sperare che lo
sceneggiatore di turno sia abbastanza abile da riuscire a infilare i
propri stilemi in questa gabbia commerciale: dopotutto, 160 pagine
sono tante e le occasioni ci sono.
Con Alfredo
Castelli ai testi, è inevitabile che ciò accada, forse anche perché
è il creatore della serie e quindi può concedersi una deroga alle
sue stesse regole. Ecco quindi che Voci dal passato si rivela
essere un albo squisitamente mysteriano, capace di proporre
i letimotiv più affascinanti e stimolanti della
serie: la ricostruzione (in una sequenza non lineare) di eventi di
diverse epoche storiche in una chiave “impossibile”, l’indagine
nel presente che connette e spiega il quadro d’insieme di questi
eventi, il manufatto “impossibile” intorno a cui ruota ogni cosa,
la mytologia della serie (in chiave minimalista) e le raffinate
strutture narrative del “racconto nel racconto” (come sempre,
ricordiamo che è una tecnica assai utilizzata dai romanzieri, che
spesso e volentieri presentano la loro storia come raccontata da
altri; si veda lo stra-citato Il nome della rosadi Umberto
Eco, ma anche I promessi sposi).
Ma
soprattutto, questo albo si caratterizza per un viaggio nel viale dei
ricordi che trasmette una struggente sensazione di nostalgia, pur
raccontandoci un aspetto intimo della giovinezza di Martin Mystère
che è del tutto inedito: solo Castelli poteva darci l’impressione
di “ripensare” con piacere a eventi passati che in realtà non
conoscevamo.
L’emozione generazionale davvero intensa che accompagna l’intera storia
(ben sintetizzata dalle parole di Diana e Java: Martin sta
letteralmente conducendo un’indagine mysteriosa insieme al padre) è
gestita con classe, sobrietà e intelligenza, nello stile tipico di
Castelli, fortunatamente lontano dalle esposizioni isteriche,
sguaiate e urlate a cui ci hanno purtroppo abituato certi pessimi
esempi televisivi (che purtroppo il mondo del fumetto si sente spesso
obbligato a inseguire per compiacere la “pancia” dei lettori).
Il viaggio
nel passato di questo albo ha una forza narrativa notevole anche
grazie a un altro aspetto di cui Castelli è maestro incontrastato.
Si tratta dell’efficacia della ricostruzione di un’epoca (in
questo caso, gli anni 1950), che si impone con naturalezza in ogni
minimo dettaglio: le riviste dell’epoca, l’apparecchio (simil?)
“Geloso”, le traversie della realizzazione e proiezione dei film
a 8 mm eccetera. Sono apparenti minuzie come queste che distinguono
il vero Martin Mystère (quello accuratamente documentato, in cui le
scene storiche trasmettono una sensazione di vita vissuta, invece che
di imitazione superficiale dei telefilm alla moda del momento).
Lo stile
della narrazione si adegua al tono della storia, e procede in modo
accorto e meditato, quasi come se stesse camminando in punta di piedi
per non disturbare qualcuno: la sensazione, assai felice, è quella
di muoversi in un solenne museo della memoria dove il nostro silenzio
ammirato è la migliore manifestazione di rispetto per ciò che
stiamo osservando. Nello stesso tempo, però, la progressione
narrativa è anche incessante: ogni sequenza espande il quadro
generale della trama, sviluppando le vicende dei numerosi personaggi
(oppure oggetti) coinvolti in questa storia a incastro (Ipazia,
Kircher, Mark, Robert, Martin, gli Uomini in Nero, i macchinari e i
rotoli); ogni sequenza contiene inoltre rimandi e collegamenti alle
altre, in modo che ogni personaggio abbia il piacere e il dovere di
completare le vicende altrui, creando così le appaganti connessioni
narrative che il mysteriano ama ricostruire (lo ribadiamo ancora:
leggere un albo di Martin Mystère deve essere una sfida
intellettiva, altrimenti non serve a nulla scegliere proprio questo
fumetto invece che altri). E' un viaggio nella storia, da intendersi
in senso letterale e letterario, una scoperta del passato sia nel
senso ampio del termine (Ipazia, Kircher) che in quello "stretto"
(Mark e Martin), dove ogni pagina rivela nuovi dettagli sempre capaci
di comunicare una malinconica sensazione di perdita che diventa
tragica in certi casi (come per la fine di Ipazia) o struggentemente
bella in altri.
Un altro
paragone letterario che sembra molto pertinente è quello dei
“romanzi fiume” generazionali, che appunto si comportano come
quegli immensi fiumi che in apparenza scorrono lenti, ma intanto
attraversano la storia: la vastità della saga dei Mystère, sebbene
circoscritta per ora al solo ambito padre-figlio, è anche questo. Da
qui l’approccio di Castelli, decisamente impegnativo e poco
commerciale, specie per le generazioni abituate alla narrazione “a
videoclip”: una benedizione per noi esigenti lettori della vecchia
guardia.
(Nota a
margine: l’idea Generazionale sembra richiamare l’albo
Generazioni di Carlo Recagno che uscì per il ventennale: sarà
un caso che il trentennale si chiuda proprio con questa storia?)
Il versante
storico dell’albo mescola eventi documentati, come il naufragio di
Athanasius Kircher o la tragica storia di Ipazia, a elementi di
fantasia che, almeno a parole, richiedono una certa “sospensione
dell’incredulità”. A rifletterci un attimo, non è per nulla
vero: la richiederebbero se si trattasse di un film o di un romanzo a
se stanti, ma fino a prova contraria e nonostante il maquillage in
atto, Martin Mystère ha ancora una continuità, che
permette in maniera elementare di spiegare come possa Ipazia aver
costruito un congegno così elaborato, oppure da dove sia giunta
l’idea originale al saggio greco senza nome vissuto nel 1000 a.C.
Veramente, noi lettori ci ricordiamo o no delle altre storie della serie? Specialmente di quelle belle, significative, creative e degne di essere ricordate?
Veramente, noi lettori ci ricordiamo o no delle altre storie della serie? Specialmente di quelle belle, significative, creative e degne di essere ricordate?
Come da motto “una apparente
contraddizione di MM è in realtà una storia che aspetta di essere
raccontata”, ed ecco le storie in questione, che rispondono alle domande dehli ingenuotti che pensano di vanificare tutto il lavoro di Castelli per simili quisquilie.
Ipazia è davvero stata ispirata da qualcuno il cui lavoro è dare grandi idee ai grandi pensatori, in Nascita di una nozione.
E Mark Mystère è stato irretito dagli Uomini in Nero più di una volta, grazie all'intervento di una creatura artificiale vecchia di diecimila anni, e molto legata a suo figlio Martin, in La prima volta di Martin.
Nient'altro?
Ipazia è davvero stata ispirata da qualcuno il cui lavoro è dare grandi idee ai grandi pensatori, in Nascita di una nozione.
E Mark Mystère è stato irretito dagli Uomini in Nero più di una volta, grazie all'intervento di una creatura artificiale vecchia di diecimila anni, e molto legata a suo figlio Martin, in La prima volta di Martin.
Nient'altro?
Sul
versante artistico, non possiamo che elogiare un’altra eccellente
prova di Giulio
Camagni,
illustratore impareggiabile nel creare un’atmosfera intensa e
avvolgente, oltre che mantenere uno stile personale e unico nel
caratterizzare i personaggi storici della serie. In altre parole: la
redazione di MM, dopo il massacro dell’albo precedente, questa
volta sembra essersi astenuta dalla malsana tentazione di
“correggere” le facce dei protagonisti. Ed è un bene, perché a
nostro avviso mescolare più stili su una tavola non funziona per
nulla.
Martin Mystère n.328, “Protocollo Leviathan”
Agosto 2012
Storia di Sergio Badino
Arte di Giancarlo Alessandrini
Agosto 2012
Storia di Sergio Badino
Arte di Giancarlo Alessandrini
Storia di Sergio Badino
Arte di Giancarlo Alessandrini
Qualcuno che
amasse Martin Mystère così come Alfredo Castelli l'ha creato, e che
volesse condurlo nell'epoca moderna non distruggendolo, ma
valorizzandone tutte le caratteristiche che lo rendono unico. Lo
ricordiamo per l'ennesima volta: non ce ne facciamo nulla di
un Martin Mystère che copia film d'azione o fumetti
di scazzottate e inseguimenti e pruriginosi fanservice: per
questo, esistono i prodotti originali, che sicuramente funzionano
meglio di un tentativo di imitazione. Da Martin Mystère noi
ci aspettiamo quello che negli altri fumetti non c'è.
Ed ecco che,
pochi giorni dopo, nelle edicole compare Protocollo
Leviathan, che sembra rispondere a questi requisiti.
Lo
sceneggiatore Sergio Badino esordisce sulla serie con un'avventura
riemptiva che è un discreto biglietto di presentazione, in quanto
non dice nulla di importante ma lo fa con ricchezza di Castellismi e
Mysterismi di ogni genere: con una sola svista (relativa a Java),
Badino dimostra di avere analizzato l'universo Mysteriano e le
caratteristiche stilistiche di Castelli, che amalgama con altri stili narrativi più
moderni.
E anche qui
c'è una lieta sorpresa: come Castelli ha sempre amato
esplorare le novità e integrarle armoniosamente in Martin Mystère,
così fa Badino con le tecniche narrative. Questo sceneggiatore
dimostra di conoscere i "trucchi del mestiere"
impiegati nei telefilm e fumetti più alla moda, ma non permette che essi abbiano la meglio sul
fumetto: il Martin Mystère di Badino non è una
grossolana imitazione di un film d'azione maleodorante di cargo
cult, ma un fumetto che sa di esserlo e soprattutto vuole essere
tale, pur inseguendo anche gli approcci di altre produzioni.
Ecco quindi
che l'amatissima tecnica Castelliana dei flashback, che spazia da
quelli storici autonomi a quelli relativamente recenti delineati da
una voce narrante (solitamente una lettera o i ricordi di un
pensionato scorbutico), si fonde con tecniche di narrazione da
telefilm "moderno" come può essere Lost. La
narrazione balza improvvisamente in avanti, con stacchi da regia
cinematografica, ma poi recupera i pezzi mancanti tramite flashback
alla Castelli. Da notare anche come Martin non se ne stia mai seduto
ad attendere, in queste situazioni: mentre la narrazione si dedica al
contenuto di una lettera o a speculazioni su certe fotografie, le
immagini mostrano un qualche tipo d'azione (Martin che guida
attraverso territori sconosciuti): può sembrare una sciocchezza, ma
qualunque sceneggiatore competente ci può spiegare come questo sia
un trucco abituale per tenere avvinto lo spettatore. Che Badino
riesca a farlo utilizzando gli stilemi di Castelli dimostra solo
quanto siano attuali e validi questi ultimi, alla faccia di chi li
vorrebbe seppellire.
Lo stile
narrativo di Badino è genre savvy, cioè consapevole
della elefantiaca produzione di fumetti mondiali: ecco quindi che,
pur rispettando la classica gabbia bonelliana, Badino finisce con
l'infrangerla silenziosamente, prendendo in prestito l'approccio dei
comics USA per le scene più spettacolari. Splash pages,
oppure vignette di due terzi della pagina, vengono dedicate ai
momenti visivi più importanti della vicenda, e soprattutto compaiono
sempre nel punto giusto della pagina (o della sequenza): la prima
nave da crociera distrutta, Pueblo Escondido, la comparsa del
Leviatano, la piattaforma... Badino sa quanto sia importante
l'impatto visivo sul lettore, e lo serve in un formato fumettistico. Come dicevamo prima, non imita i film, ma ne prende in
prestito solo ciò che serve; in caso di suggestioni
"paesaggistiche", Badino torna a ricordarci
che questo è un fumetto e deve essere narrato come tale, perchè
mantenga un'identità. Non abbiamo usato il termine
"paesaggistico" a caso: Badino riserva al mostro di turno
la stessa attenzione che va riservata a luoghi storico-archeologici
come Pueblo Escondido, e in questo modo recupera (su due versanti) un
altro Castellismo, cioè quello dell'amore e della curiosità per i
luoghi, le architetture, le geografie e la storia, amore che era uno
degli aspetti più efficaci del Martin Mystère dei
tempi d'oro.
Questa
operazione, unita alla scansione narrativa di cui
abbiamo appena parlato, ci porta a notare un altro aspetto: la sceneggiatura è stata costruita dalla prima
all'ultima pagina, e solo dopo consegnata al
disegnatore. Niente improvvisazioni, niente scene inutili, niente
divagazioni incerte che poi vengono abbandonate: sa da dove
parte, sa dove vuole arrivare e ci giunge a passo di marcia, in modo
quasi implacabile. Già questo sarebbe bello per un fumetto
qualsiasi, ma per essere Martin Mystère, non basta:
bisogna sfidare il lettore. E infatti non si arriva alla meta in
modo lineare, ma tramite i già citati flashback (di ogni genere),
che compaiono nella storia sempre al momento giusto per chiarire le
premesse di un evento cruciale (e questa è una tecnica tanto
Mysteriana quanto da telefilm alla moda, come dicevamo).
Questa
chiarezza di idee si traduce in una organizzazione della
sceneggiatura che è preziosa per l'artista di turno:
da quanto tempo non vedevamo un Alessandrini così partecipe della
storia, e con un supporto alle matite/chine così contenuto? Il suo
stile si riconosce nelle scene apocalittiche e in quelle
paesaggistiche: la portaerei che affonda per opera dei tentacoli del
Leviatano, il Pueblo Escondido, la mostruosità negli abissi... o
anche solo nella apparente banalità dei tentacoli che delineano
archi geometrici nei loro movimenti. Dietro queste vignette
si riconosce l'occhio unico di Alessandrini, che i suoi imitatori
possono ricalcare, ma non ricreare. E ancora, sono sicuramente sue le
chine, quando spesso e volentieri il tratto diventa pulitissimo, ma
ricco di particolari nitidi e limpidi, tanto numerosi quanto
armoniosi. Che differenza tra queste vignette e quelle in cui le
chine sono un ghirigori continuo, oppure tutto annega in improbabili
ombre che sembrano nascondere invece che illustrare. Altro esempio di
stile riconoscibile: i capelli di Karen, quando si sollevano e si
separano in curve eleganti e regolari che danno la sensazione del
vento che vi passa attraverso.
Il grande
fascino visivo e mysteriano delle immagini e degli elementi di questa
storia non si limita a dare di nuovo un senso alle 160 pagine
dell'albo, colmandole come non succedeva da tempo con fatti
interessanti (invece che lunghe e inutili sequenze riempitive clonate
di scazzottamenti e sparatorie e urla e scene isteriche), ma fa di
più: mysteriosamente, sembra contagiare lo stesso Martin Mystère.
Sebbene
nelle prime scene Martin sembri essere quello strano personaggio
acido e spocchioso degli ultimi tempi, improvvisamente si ritrasforma
nel vecchio se stesso: curioso, impaziente, attivo e scattante. Di
nuovo un indagatore dell'impossibile, programmaticamente identificato
anche dal recupero del relativo abbigliamento. E così, per la nostra
gioia, basta un nonnulla perchè Martin creda ai vaneggiamenti di un
pensionato burbero che gli ha scritto un'educata lettera
(Castellismo), come niente si precipita in New Mexico (Castellismo:
geografia; il mistero degli Anasazi; la faccenda dei Code-Talker; The X-Files), da lì parte per il Giappone insieme a uno sciamano
decrepito, finisce nella fossa delle Marianne con un'oceanografa
non-arrapata, incontra il Leviatano, sfida una setta giapponese, vede
andare a pezzi una piattaforma marina come se niente fosse e ne esce
vivo. Dove abbiamo già visto una simile frenesia lucida e ragionata,
in cui ogni passaggio è accuratamente calcolato e giustificato? Ah,
certo. A parte Topolino, era Martin
Mystère n. 279, "Il destino di Atlantide", il primo
albo bimestrale: col declino degli ultimi tempi, è già equiparabile
a un classico da tempi d'oro.
Abbiamo
continuato a parlare di Castellismi, per cui cerchiamo di citarli (oppure aiutateci voi).
Il primo è
anche il più vistoso, perchè con esso si apre l'albo: la
riflessione sullo Yin e sullo Yang, che usa Martin/Diana e
Martin/Sergej come archetipi del dualismo del mondo. Non c'è solo
l'elemento Yin/Yang, ricorrente nel Castelli classico, non c'è solo
Diana in un ruolo non-fanservice, non c'è solo il Sergej Orlof
tamarro degli anni 1980. C'è proprio una dichiarazione programmatica
di una concezione narrativa che ambisce a cercare costantemente di
definire una struttura, un ordine e un senso al mondo e all'universo.
C'è
l'ironia, con personaggi grottescamente comici come il cialtronesco
capitano-guida turistica.
C'è
l'omaggio a Star Trek. Ah, no, scusate: questo è un Recagnismo.
C'è il
riferimento all'attualità, non relegato alle note della rubrica
finale.
C'è l'eterno
"conflitto" Aaron/Martin su come impostare Mystere's
Mysteries.
C'è la
Ferrari di Martin: non ama usarla, ma ogni tanto deve. E intimamente
si vergogna di possederla. Se non è signorile il modo in cui Bardino
propone questo tema!
C'è la
variegata documentazione che corrobora tutto l'albo: Badino non è
Castelli e non ama approfondire troppo le singole citazioni, che
infatti sono molto stringate... ma sono anche tante. La mitologia e
la storia dei mostri di mare, in occidente come in oriente. La
ricostruzione storica "finta" del preludio alla battaglia
delle Marianne, con accorto uso di personaggi storici e delle loro
caratteristiche. La mitologia nordica. La storia degli Anasazi.
C'è il
fascino della scoperta e ricostruzione di un evento storico
impossibile, ma narrato in modo quasi plausibile.
Ci sono le
sottili annotazioni en passant su guerra e
nazionalismo.
C'è
la pietà di Martin per il mostro, quasi un riferimento al suo
"parente" de La
tredicesima fatica.
E ovviamente
tutto quanto già citato prima: la curiosità di Castelli per altre
culture, geografie, eccetera; l'effervescente spirito giovane di
Martin (senza bisogno della sventola di turno che gli fa gli occhi
dolci, o di Martin che fa il galletto stagionato); il gusto per il
racconto dentro il racconto, con i vegliardi che narrano a Martin
lunghe storie "impossibili" che nessuno conosce; la
struttura narrante su diversi piani temporali.
C'è tutto?
Quasi.
A Badino
sfugge una caratteristica di Java, cui il supervisore pone rimedio
nei dialoghi finali. Però la correzione risulta mal fatta, visto che
Java manco partecipa a quel dialogo per confermarla. Oppure stiamo
travisando tutto e la scena è venuta così male sin dall'inizio,
senza che nessuno lo notasse.
E come se non
bastasse, davvero Java ha un potere "attivo" così forte?
L'abbiamo sempre visto servirsi di piccoli animali per esplorare
luoghi irraggiungibili, ma non ha mai usato i suoi talenti per
frenare le innumerevoli e colossali bestie che hanno spesso
minacciato lui e Martin, dai dinosauri in giù (o in su).
Il batiscafo
supertecnologico capace di scendere a profondità che non esistono
sembra un po' una forzatura alla Topolino. Anche perchè poi si parla
del Challenger Deep, massima profondità mai raggiunta.
La
riemersione accelerata dello stesso batiscafo sembra altrettanto
improbabile, con una decompressione che si limita a danneggiare il
batiscafo (per finta? Sappiamo che Karen vuole consegnare Martin e
Onda a Nomura...).
Martin ha
smascherato Karen perchè questa non aveva mostrato interesse a
riprendere il Leviatano. Ma essendoci una telecamera attiva su
batiscafo (come abbiamo visto), Karen stava riprendendo eccome.
Come mai la
Marina USA aveva spedito a Guam un uomo del Protocollo Leviathan?
Cosa sapeva dei mostri giapponesi ante-atomica? Davvero era
completamente impreparata all'attacco del Ryu-Kaijin?
Cosa succede
quando Martin parla del Ragnarok e della battaglia tra bene e male?
Perchè una vignetta mostra Hitler e i soldati nazisti, sebbene il
dialogo non li menzioni?
C'è infine
una cosa che manca: le origini del Leviatano. Sebbene tutto in questa
storia lasci presagire un gustoso seguito, in cui esplorare il
mistero degli Anasazi, connettendolo alla stirpe sciamanica mondiale
(e che, ci sono solo indiani d'America e giapponesi? No, ovviamente),
non possiamo non chiederci che origine abbia il Leviatano.
Non è un
semplice essere primitivo di un'epoca di mostri dimenticata,
nonostante le parole di Martin: tramite Nomura, Badino lo connota
come essere archetipo (sarà un Grande Antico?), capace di mostrarsi
in diversi modi (viene dal mondo delle Idee? da quello del Sogno?) ma
controllabile da semplici esseri umani "dotati" (potrebbe
essere un'arma biologica dei tempi di Atlantide?).
E ancora: chi
sono questi guardiani che gestiscono l'equilibrio di un'altra forza
globale, quella della Terra? Hanno un legame diretto con gli uomini
dell'Età dell'Oro, i quali erano in comunione con la natura?
C'è
da notare che, per l'ennesima volta, Zagor ha battuto Martin sul
tempo, visto che in Zagor
Zenith nn. 405-407 e nn. 600-601 ha
già scoperto parecchie cose sugli Anasazi: la connessione con
Atlantide e Mu potrebbe corroborare la nostra ipotesi su un legame
tra il Leviatano e le civiltà perdute. Oppure Badino potrebbe prendere una via del tutto diversa ma parallela, e quindi
compatibile, rivendicando così un certo primato di Martin Mystère.
(Nota di continuità di Cristian
Di Biase)
Speriamo in
una risposta, altrimenti l'enigma resta risolto a metà.
Abbiamo anche
parlato di citazioni consapevoli di altri prodotti narrativi.
Per
esempio, la sequenza dell'attacco alla nave da crociera ci ricorda
molto The
Mist,
che lo stesso Castelli aveva citato in Martin
Mystére n. 317, "Longitudine zero" (2011).
Gli Anasazi e
i Navajo code-talker furono un argomento di gran moda ai tempi di The X-Files, e ci sono anche due o tre film che trattano questo episodio
apparentemente oscuro della Seconda Guerra mondiale.
I Leviatani
sono anche i villain della Stagione 7 del
telefilm Supernatural, attualmente in onda sulla Rai. (Va
bene, questo è un caso).
La tattica
giapponese di usare mostri "kaju" per difendersi non solo è
un'allusione all'abbondante produzione nipponica di film di mostri
(da Godjira in poi), ma coincide anche con l'arrivo di Pacific
Rim sul grande schermo.
Parliamo
di noi
Nella
pagina della posta, Alfredo Castelli parla dell'edizione
cartacea di Get a Life! numero zero, da lui voluta per
raccogliere i materiali dedicati al trentennale di Martin:
modestamente, Castelli omette di averne scritto l'introduzione a pagina 2.
L'albetto
offre anche: una memorabile copertina di Pino Rinaldi; un frontespizio inedito
con Martin, Java e il cast di Get a Life!; otto pagine di fumetto con
le pinup di sei personaggi portanti della serie; rubriche e pagina
della posta in stile mysteriano.
Come sanno i fedeli lettori della
serie a fumetti online (gratuita), il fumetto Affari di
famiglia (ora disponibile in formato PDF scaricabile gratuitamente) è quello che svela come mai Martin e comprimari non
invecchiano. Gli stessi lettori fedeli sanno anche che Get
a Life! non
si ferma mai e sta attualmente celebrando il quarantennale del
Mystero del 2013, con una
vicenda ambientata a Mohenjo Daro, dove tutto ebbe inizio.
Al link è
visibile una foto degli albi e sono presenti le istruzioni per
ottenerne uno o più (sempre che ne siano rimasti ancora!).
Martin Mystère n.330, “Il matrimonio di Sergej Orloff”
Dicembre 2013
Storia di Carlo Recagno
Arte di Esposito Bros
Un racconto travolgente, un vortice di rivelazioni inattese, una sequela di eventi e colpi di scena, un ribaltamento di prospettiva dopo l’altro, un’epopea di portata storica che si sviluppa a colpi di sequenze introspettive e intimiste, uno scontro tra due figure titaniche, un confluire di trame che si dispiegano da anni. Stiamo parlando del leggendario Xanadu (Martin Mystère Gigante n. 2)?
Storia di Carlo Recagno
Arte di Esposito Bros
Un racconto travolgente, un vortice di rivelazioni inattese, una sequela di eventi e colpi di scena, un ribaltamento di prospettiva dopo l’altro, un’epopea di portata storica che si sviluppa a colpi di sequenze introspettive e intimiste, uno scontro tra due figure titaniche, un confluire di trame che si dispiegano da anni. Stiamo parlando del leggendario Xanadu (Martin Mystère Gigante n. 2)?
No. Stiamo
parlando del suo degno erede, Il matrimonio di Sergej
Orloff, albo che rilancia il suo illustre predecessore e, pur
concedendo meno spazio al racconto di formazione, gode di una
compattezza narrativa e progettuale anche superiore (perché quel
Gigante, alla fine, nasceva dall’esigenza di rimediare a
dimenticanze ed “errori” accumulatisi col tempo, e si disperdeva
in sequenze abbastanza fini a se stesse, quasi indulgenze compiaciute
non necessarie alla storia).
Nell’intervista
"I segreti di Sergej Orloff!",
Carlo Recagno colloca Il
matrimonio di Sergej Orloff nella
tradizione dei matrimoni tra personaggi di fumetti, tipicamente
rovinati dai supercriminali (uno su tutti, quello di Mister Fantastic
e della Ragazza Invisibile), ma non dice deliberatamente che il suo
contributo a questa tradizione non si limita a una scazzottata dopo
la quale tutto torna come prima e la lieta fine è assicurato. Tra un
rapimento, una tragedia, una scoperta e altri sviluppi degni del
miglior Dallas,
ce ne vorrà di tempo prima che anche solo un barlume di speranza ci
venga offerto, in questa storia così unica e importante della saga
di Martin Mystère.
Nonostante il
prologo ci preannunci già il disastro incombente, la narrazione
procede in modo apparentemente rassicurante e consolatorio: i
preparativi del giorno del matrimonio, le chiacchiere degli invitati,
il riassunto della vita di Orloff con la ben nota “caduta in
disgrazia” seguita dalla (opaca) redenzione, i rapporti di amicizia
recuperati o costruiti da zero (Java e Diana) e così via.
Ma una prima
crepa si insinua in questa atmosfera idilliaca, quando
un flashback rivela che dietro la vicenda originale de La
città delle Ombre Diafane (Martin Mystère nn. 17-19) si celava molta più mytologia
di quanta potessimo sospettare, e da lì in poi si scatena una
valanga inarrestabile dei già citati rivelazioni, colpi di scena,
capovolgimenti. A differenza del Gigante quasi omonimo Il
segreto delle Ombre Diafane, che si perdeva in speculazioni su
oggetti e creature del tutto “alieni” (letteralmente) allo
spirito dell’avventura originale, questo Martin Mystère 330 illustra
invece retroscena profondamente radicati nelle origini avventurose ed
eroiche del primo Martin Mystère, quello più accattivante e
dinamico dei “primi cento numeri”. Ecco quindi che l’enigmatico
Centro nipponico dell’avventura originale svela motivazioni e
moventi del tutto assenti nella vicenda del suo esordio, rispondendo
così a vecchissime domande finora mai affrontate: come mai quegli
affaristi sapevano così tanto? Perché in seguito rinunciarono e non
si fecero mai più sentire? La risposta giace nella loro anima nera, cioè quel
sinistro (e illuminato!) Kenzo, un uomo che pur portando il Terzo
Occhio si comporta in maniera assai discutibile (un apparente
paradosso, smentito non solo dall’esistenza dello stesso Orloff, ma
anche dalle implicazioni un recente albo dello stesso Recagno).
Dal Terzo
Occhio e dal mistero (ora risolto) di come Orloff sia sopravvissuto
allo scontro nella Città di Java, si passa a un altro elemento
imprescindibilmente legato all’Occhio, che è a sua volta diventato
un’icona della saga di Martin Mystère, ma che nello
stesso tempo non è mai stato trattato e approfondito come la
curiosità dei lettori avrebbe richiesto. Si tratta ovviamente del
Murchadna, di cui vengono stabilite “nuove” verità che, come
ogni altra novità di questo albo, si armonizzano spontaneamente con
trenta anni fatti già noti: solo Martin e Sergej in tutto il mondo
li possono usare (lo dice Kenzo ed è il tipico “assoluto” da
personaggio di Martin Mystère); esistono diversi modelli
di Murchadna; il loro effetto spazia su una gamma molto più vasta.
Subito dopo,
dall’oggetto, che per Recagno è sempre una scusa per parlare
invece dei personaggi, si passa quindi di nuovo all’argomento
principe di Martin e Sergej.
Il Murchadna
non è più solo una scatola vuota che serve a far evaporare i buchi neri,
né un “semplice” manipolatore di tendenze morali: nuovi dettagli
emergono sulla relazione tra Martin e il suo Murchadna; si insiste in
maniera esplicita sulla dipendenza che Orloff sviluppò portandosi il
Murchadna innestato nel braccio (l’effetto “stupefacente”); ci
si sposta sull’inedito dolore che il nuovo Murchadna causa. Esso è
avido di stabilire un rapporto simbiotico! E’ forse vivo?
Senziente? Cos’è mai la misteriosa fonte di energia che li
alimenta, e su cui Recagno ha detto di avere un’idea per una
storia? Speriamo la concretizzi presto, ma nel frattempo questi
accenni fanno spaziare l’immaginazione su orizzonti finora mai
ipotizzati.
Dal rapporto
uomo/oggetto, si passa all’altrettanto misterioso legame tra Martin
e Sergej: più che fratelli; invincibili; capaci di fare qualunque
cosa quando lottano insieme. In Xanadu,
quest’ultima frase aveva un significato tutto sommato prosaico:
in Martin Mystère 330, invece, essa viene portata a sorprendenti estremi di
interpretazione letterale, con Martin e Sergej
uniti come non mai contro il loro nemico.
Questa novità
nell’interpretazione del loro binomio/dualità non è solo una
rivelazione tanto inattesa quanto logica, nella sua coerenza
formale con quanto delineato dal lavoro di Alfredo Castelli, ma è
anche il motore di alcuni dei gustosissimi tranelli narrativi in cui
il lettore viene trascinato: la presunta catatonia di Martin per aver
ucciso Sergej, la sua fuga, il suo comportamento inspiegabile verso
gli amici (il pugno a Travis A. Travis) e persino il sottile ma costante
mutamento nel suo lessico (notate la freddezza con cui Martin
definisce Java “il neandertaliano”, oppure la precisione
chirurgica con cui descrive il funzionamento del Murchadna a Kenzo).
Tutto quanto contribuisce alla rivelazione che capovolge la
prospettiva del racconto, e che spinge a rileggere la storia per
essere doppiamente soddisfatti da come è stata orchestrata.
Per
inciso, in questi sviluppi del tutto nuovi non mancano le citazioni
di elemento storici o più recenti, come il Murchadna di Orloff
regolato su stordire, che se non andiamo errati esordì ne Il tesoro di Loch Ness (Speciale Martin Mystère n. 2), la
presunta parentela ancestrale di Martin e Sergej trapelata nel romanzetto L’occhio
sinistro di Rama,
o la possibile sorellastra di Sergej, vista per esempio di sfuggita
in Grendel! (Martin Mystère n. 288).
Felice risulta inoltre la scelta di agganciare questa mytologia
immaginaria a un mistero reale, cioè quello della piramide
di Yonaguni (che
promette di tornare in futuro ed essere ulteriormente approfondita e
collegata all’epopea Muviano-Atlantidea): si tratta di una caratteristica
fondamentale di Martin
Mystère,
assente dalle sue pagine ormai da troppo tempo.
Una breve
parentesi va dedicata ai comprimari, che vengono finalmente usati con accortezza e
intelligenza.
Diana è
raffigurata nella versione elegante e signorile delineata da Castelli
dopo la breve parentesi della strega gelosa (possiamo dire che è
quella resa definitiva in Il fuoco che uccide, Martin Mystère nn. 46-58),
e dimostra una curiosa e ironica sintonia con Sergej Orloff.
Java non
brilla per la caratterizzazione, ma il suo ruolo di forzuto
che viene massacrato conferisce una statura inquietante alla minaccia
di Morgana e dei suoi alleati magici: quante altre volte avevamo
visto una disfatta così radicale e violenta dei nostri eroi?
L’ispettore
Travis compare in un ruolo da apparizione, molto limitato, ma
insolitamente attivo e dinamico: atipico, ma ancora una volta
coerente.
Logica e
doverosa la citazione del personale della base di Altrove, oltre che di Travis:
in un universo come quello di Martin Mystère, gli eventi
importanti devono avere una qualche reazione da parte dei personaggi
dell’impianto narrativo esistente, altrimenti la storia si scollega insensatamente da quelle precedenti, finendo per rinnegarne il
valore e riconducendo tutto allo stile dei fumetti di Topolino, dove Paperino un giorno è il vendicatore Paperinik e l'altro non riesce ad acchiappare il teppista che gli ruba la spesa. Se si
tratta di leggere l’albo e buttarlo via, è un conto, ma se lo si
vuole rileggere e calare nel contesto globale che è stato
pazientemente costruito in trent’anni, allora è necessario porre
certe domande e dare risposte sensate (o, in alternativa, era il caso
di non inventare troppi dei ex machina semi-onnipotenti,
per poi doverli ignorare).
Angie Dark non
parla mai, ma risulta semplicemente meravigliosa del suo affetto per
Martin!
E
per finire, è impossibile trascurare Morgana, nonostante l’abbiamo
ampiamente commentata per Il segreto di Giovanna d'Arco (Martin Mystère n. 229).
Sarà il fascino del personaggio, che va oltre il fatto che è una
sventola nuda e bionda che resta sempre giovane e indifferente alla
gravità. Sarà la sua caratura iconica in termini di Materia
Arturiana e mytologia. Sta di fatto che, anche quando gioca un ruolo
minore, Morgana attira sempre l’interesse. Questa volta ci
soffermiamo su come essa venga gestita diversamente dagli altri
personaggi, ma sempre in modo logico: sin dai tempi della discussa
scena nella “stanza di hotel cadente”, Recagno ha dipinto Morgana
come una persona che si integra solo parzialmente nella società
odierna. Pur assimilando in modo rapace tutto ciò che le fa comodo o
le dà piacere, Morgana resta sempre e comunque una’aliena (non nel
senso degli omini verdi) che proviene da un contesto sociale
radicalmente diverso e che dispone di un potere per noi
inconcepibile: per questo motivo, può tranquillamente replicare
certi nostri costumi e ignorarne bellamente altri, in modo del tutto
istintivo e capriccioso. Un giorno è nel motel pidocchioso, un altro
è nella suite super-lussuosa.
Alla villa dove si svolge il matrimonio di Orloff giunge a piedi (non
in auto) e indossa un cappello che sfiorerebbe il ridicolo su ogni
altro personaggio. Con lei, però, non c’è da ridere: la sua
ostentata indifferenza alla nostra logica,
infatti, non è altro che la dichiarazione di libertà assoluta di
cui gode a causa del suo potere che le consente di essere e di fare
solo ciò che vuole, senza imposizione alcuna dall’esterno.
Ma abbiamo
detto che si tratta di una vicenda che mescola senza fatica
l’intimismo e l’epopea, per cui è il momento di parlare anche di
quest’ultima. Chi ama Martin Mystère dagli inizi, lo ama anche per
la grandiosità dei temi e degli scenari che questa serie ha saputo
offrire. La storia occulta del mondo, gli imperi di Atlantide e Mu,
la loro titanica storia con relativa fine che ne ha spazzato via
tutti i segreti. Dopo anni di assenza di questi argomenti, finalmente
Recagno (l’unico che di recente osava citarli) li riporta in auge,
riepilogandoli per i nuovi lettori e nello stesso tempo
rilanciandoli, dimostrando che non erano per nulla divenuti sterili o
stantii: bastava lasciare mano libera a un autore con qualche idea
(come d’altra parte è stato il caso di Zagor, tanto
per fare un nome).
E
finalmente, finalmente, anche questo caposaldo della
mytologia Castelliana si sposa in modo chiaro e logico con un altro
degli elementi più epici e cosmici della saga: stiamo ovviamente
parlando della famosa “Cerca”, uno dei tanti elementi che rende
l’universo di Martin Mystère così unico e degno di interesse da
parte di chi si annoia nel leggere trasposizioni a fumetti di film
hollywoodiani d’azione, infarciti di scazzottate e sparatorie e
dialoghi “fichi” di personaggi egocentricamente ottusi nella loro caratterizzazione esasperata e scopiazzata, senza futuro né
passato.
Questa
coniugazione tra il mistero dei Murchadna di Mu e la ricerca delle
Sette Spade di Morgana non serve solo per rinfrescare anche il
fortissimo legame con una Materia Arturiana liberamente interpretata,
ma anche e soprattutto per regalarci un ultimo, graditissimo
cambiamento che noi lettori auspichiamo ormai da anni, e che giunge
praticamente come un fulmine a ciel sereno.
Come se non bastasse la
fiumana in piena di novità e colpi di scena che l’intero albo ci
regala, come se non bastassero tutti i ribaltamenti di prospettiva
relativi a questa singola storia, ecco che anche il modo di intendere
Martin Mystère finalmente si ribalta! Dopo anni di dimenticabili
storie autoconclusive (riempitive?) realizzate con schemi precotti ed
elementi ricorrenti in modo ossessivo, si torna finalmente a
un Martin che vive con uno scopo, che guarda al futuro con un
obiettivo, che ha una missione da compiere e che deve usare le sue
capacità per alimentare una speranza (vera? Illusoria?) necessaria
per intraprendere un cammino di scoperta, ritrovamento e salvezza.
Cosa ne sarà di Orloff, quando verrà ritrovato? E verrà davvero
ritrovato? Come si evolverà il personaggio, dopo le manipolazioni
subìte in questa vicenda? Quale delle due strade sceglierà questa
volta? O ne imboccherà una terza? Queste ed altre domande,
amplificate dal numero di giocatori che potranno entrare in scena
(Agarthi, Morgana, Loki e altri ancora) da sole valgono un anno di
produzione, perché ci restituiscono la possibilità di fantasticare
su un personaggio che fino a ieri sembrava condannato all’eterna
prigionia in un immutabile stasus quo, stile Dylan Dog, e che invece rivela di avere ancora parecchie frecce
nel suo arco.
Il versante
artistico degli Esposito Bros non manca di innalzare di parecchio la
media della serie, con tavole della abituale qualità evocativa che
mescola suggestioni nostalgiche Kirbyane a visioni futuribili,
giocando abilmente con le ombre e i neri (che diventano immagini a
loro volta) e caratterizzando in maniera unica ogni singolo contesto
(per esempio, l’atmosfera architettonica “metropolitana” di
Atlantide è diversa da quella “organica” di Mu/Lemuria).
In
sintonia col titolo, anche la copertina offre un’impostazione
volutamente retrò e melodrammatica, che richiama molto i
già citati classici dei supereroi Marvel,
da Fantastic
Four ad Avengers.
Nell’insieme di mostri rossi, fiori bianchi e abiti da sposa, stona
forse solo la scelta di calcare la mano sui raggi li luce che
penetrano dalle vetrate e che “rompono” il dinamismo della scena.
Se proprio
vogliamo trovare una pecca a questa storia così felice, allora
dobbiamo chiederci perché Kenzo (o Genzo?) agisca come agisce: il
suo suicidio finale, dopo aver finalmente riportato Orloff ai livelli
di malvagità originali, sembra una soluzione affrettata per togliere
di mezzo il personaggio (il quale infatti non sembra guadagnare nulla
dalle sue azioni). Certo, si può vedere Kenzo come un personaggio
ossessionato e malato, ma sembra una via d’uscita un po’ troppo
comoda per lo sceneggiatore (per quanto non nuova: anche il Kut Humi
di Alfredo Castelli agisce spesso così).
Aggiornamento
della recensione: per un caso di serendipità (che non è affatto
tale), la visione dell’episodio n.83 di una brutta serie animata come Saint Seiya
Omega ha svelato le vere intenzioni di Recagno, per altro
già anticipate dal nome di Kenzo, ma che non avevamo saputo cogliere
completamente.
Kenzo, come
Kenzo Kabuto di Great Mazinger, ma che ricorda anche
Gendo Ikari di Neon Genesis Evangelion: insomma, una
figura paterna che plasma il figlio (anche non in senso biologico)
secondo i propri obiettivi.
A costo di
dire un’ovvietà, nessuno si è reso conto che un personaggio
giapponese deve avere una caratterizzazione impregnata di mentalità
nipponica: e cosa poteva caratterizzare meglio le figure paterne
citate, che agiscono contro ogni logica (occidentale) allo scopo di
trasmettere la propria eredità e sopravvivere così alla morte?
Questa filosofia, apparentemente autodistruttiva, è pura letteratura
(a fumetti e animata).
Il “nostro”
Kenzo non è da meno dei Saints di Athena, che, come
le foglie della pianta di Yuzuriha, si fanno da parte
(morendo) per lasciare il posto ai loro eredi morali e spirituali,
oltre che biologici. Come Shiryu si sacrifica perchè suo figlio
Ryuho raggiunga picchi per lui inimmaginabili, come Ikki muore per
sconfiggere un avversario e affidare ai giovani Saint il
futuro, così fa anche Kenzo, dopo aver (ingannevolmente?) riportato
in vita il vecchio Orloff. Può non sembrare logico per un
occidentale, ma Recagno non aveva intenzione di ricondurre un’altra
cultura ai nostri valori, bensì di usarla con coerenza per definire
le azioni di un personaggio cresciuto in essa.
Dulcis
in fundo, non
può mancare la sezione degli omaggi e delle traduzioni: dalle
mysteriose scritte in Kryptoniano (che usano l’alfabeto ufficiale
della DC Comics) alle comparsate di Lamù e dei vari Doctor Who,
tutto è stato sviscerato qui dagli
utenti Dark
Star e Miðgarðsorm.
E per non
trascurare le citazioni più prettamente mysteriane, per quanto
insolite, segnaliamo anche che gli Esposito Bros hanno incluso due
copertine storiche nella narrazione: a pagina 16 (disponibile
anche online), compaiono un rifacimento della copertina
de L’uomo delle nevi (Martin Mystère nn. 87-88) (e questa ci sembra
facile da riconoscere) e una libera interpretazione di... di quale
copertina storica che ha segnato un traguardo non da poco della serie
regolare? Per questo quiz, chiediamo ai nostri lettori di dare una
risposta: come indizi, vi diciamo che bisogna fare attenzione alla
scultura della testa serpentina e alla posa di Martin.
Nell’attesa,
abbiamo un’ultima osservazione: può darsi che un numero così
importante e consapevolmente celebrativo fosse stato programmato per
il ciclo di festeggiamento del trentennale e sia poi slittato per
motivi tecnici? Ce ne dispiacerebbe molto, se così fosse (ma
comunque l’albo fa almeno parte del quarantennale
del mystero!).
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