Get A Life, la serie NON presentata da Martin Mystére, prosegue con la presentazione de Il ragno che fu cavato dalla Terra Cava (parte 2).
Come da tradizione, la storia mescola citazioni storiche della serie, sviluppi inediti e connessioni impensate.
E' il momento di scoprire cosa sono le Macroamarantie: a quale fumetto di Martin Mystére sono collegate?
Tornano gli Androidi Atlantidei del modello visto di recente nella Saga del Lampadario!
Finalmente viene rivelato il volto del nemico di Torn, nonché ideatore della Terra Cava artificiale!
E ciliegina sulla torta, compare il sole rosso della Terra Cava in puro stile Ricci!
Arte di Seb.
Storia e lettering di Franco Villa.
Supervisione di Luca Salvadei.
Oltre al fumetto, questo post offre anche due contenuti extra veramente insoliti.
Il primo è un bonus veramente speciale e irripetibile: Alfredo Castelli si complimenta per Get A Life! e si offre di scrivere una introduzione (prolissa) a un'eventuale edizione cartacea!
Non sappiamo se ciò accadrà mai, ma restituiamo a Castelli i complimenti decuplicati, perchè GaL esiste solo grazie al suo immenso lavoro, cui vogliamo porgere omaggio con ogni nostro episodio.
E per finire, per la serie "cose a venire", è in preparazione un episodio atlantideo dedicato alla sola Ameera Nagdala e intitolato "La musica delle sfere".
Ecco un triplo assaggio dell'arte di Milad Taleghani, l'artista Iraniano che esordirà in GaL con questa storia.
Martin, Diana e Java. Ameera Nagdala. Gli ingegneri atlantidei.
Indice della serie Get A Life
1. Il segreto del Teschio di Cristallo
2. Il volto di Orloff
3. La vendetta del Lampadario
4. La progenie del Lampadario
5. Il ritorno del Fantasma del Topkapi
6. I Giganti di Prama (parte 1)
7.I Giganti di Prama (Parte 2)
7 bis. Gli Uomini Campana
8. Affari di famiglia allargata
9. Il ragno che fu cavato dalla Terra Cava (parte 1)
10. Il ragno che fu cavato dalla Terra Cava (parte 2).
lunedì 22 ottobre 2012
venerdì 19 ottobre 2012
[Recensione] Martin Mystère n. 323, “I trentasei giusti”
Martin Mystère n. 323, "I trentasei giusti"
Ottobre 2012
Storia di Carlo Recagno. Arte di Rodolfo Torti.
Nel ciclo di albi dedicato al trentennale del personaggio compare un altro elemento ricorrente della serie: Agarthi, la lamasseria/città ultramondana “gestita” da Kut Humi, il quale per l’occasione si riunisce con i suoi confratelli detti “Superiori sconosciuti”, i reggenti del mondo. Poco viene detto al loro riguardo, e la loro presenza si rivela essere una comparsata, un escamotage per avviare la narrazione (le anteprime parlavano di un “segreto di Agarthi” che però resta ancora abbastanza oscuro e vago anche dopo la lettura dell’albo).
La sequenza introduttiva dell’albo passa dalla drammatica morte di un “Giusto” ai toni quasi macchiettistici dell’irritazione di Kut Humi verso il discepolo, e si mantiene per tutto il tempo su un tono abbastanza superficiale, come nella scena della (non) presentazione dei Superiori. Essa è tanto sbrigativa e fuggente quanto lo è l’evento della grande campana, che fa presa sui sacerdoti solo per qualche secondo. L’introduzione dell’Emissario (Emissaria?) prescelta per la missione, per quanto più protratta, non si dimostra a sua volta memorabile, probabilmente perché, nella sua vaghezza, manca di impatto sia grafico che narrativo.
Subentrano poi alcune conversazioni, tra le quali rientrano anche alcuni tormentoni di Martin Mystère, che risultano tanto generiche e dozzinali da poter essere utilizzabili come pagine riempitive in un’altra storia, senza che la trama ne risenta. Alla rilettura dell’albo, la loro mancanza di utilità all’economia della storia diventa ancora più marcata, tanto da stimolare l’impulso di saltarle a piè pari.
Specularmente ai dialoghi, vi è un ampio spazio dedicato a sequenze convenzionali di scene d’azione, con i classici inseguimenti, pestaggi e sparatorie tra personaggi assortiti, in strade e case anonime di New York, corredati di un utilizzo meccanico dei poteri paranormali “d’obbligo”.
La storia personale dell’Emissario di Agarthi, definita la più potente di tutti loro, non viene esplorata e il lettore resta con numerose domande senza risposta sulla storia, le capacità e le motivazioni di questo personaggio occidentale, che risulta incongruo nel contesto asiatico dei monaci Tibetani e nell’economia della serie, nella quale non era mai comparso prima nonostante le caratteristiche di cui gode. Al momento della sua morte, non si è ancora capito perché ella abbia voluto con insistenza che Martin le spiegasse cosa sono i Tzadik, di cui lei sa già tutto.. E dopo la sua morte, non si capisce perché la campana suoni: è la stessa che, secondo i Superiori, suona solo se si apre un vuoto nei 36. Ma quindi l’Emissario è uno dei 36?
Il Grande Vecchio Malvagio ci parla poi dei rivali della sua setta millenaria, i “seguaci del bene” che hanno fatto sparire le tracce del rituale per creare gli Tzadik (o meglio, i Predisposti). Questi seguaci sembrano essere quelli di Agarthi, che a loro volta infatti non sanno come individuare gli Tzadik: resta senza spiegazione perché abbiano eliminato queste informazioni, privandosi così di uno strumento importante per proteggere gli equilibri del mondo.
Essendo le istruzioni per creare lo Tzadik andate perse, si presume che ora gli Tzadik non possano essere più creati, ma debbano generarsi spontaneamente, a meno che non ci sia in gioco una terza forza che ancora conosce queste istruzioni e che però è rimasta nascosta per l’intera vicenda, nonostante la crisi.
La conclusione della storia viene suggerita abbastanza presto, e cioè quando il Predisposto della fazione malvagia assiste alla tortura dello scagnozzo incompetente. La stessa conclusione viene ribadita quando il Predisposto piange per la morte della propria amante: a quel punto, è chiaro che la trama seguirà il classico schema del figlio che si ribella al padre. Poco più avanti, l’ipotesi sull’esito della storia viene confermata dalla precisazione che i Giusti possono anche essere persone malvagie.
Sembra che questa sia l’unica variante degna di rilievo che è stata introdotta nel tema della leggenda dei trentasei giusti, che per il resto viene fedelmente riportata nei suoi dettagli basilari, senza interpretazioni originali o accostamenti inediti. Non ci sono riferimenti alle varianti oscure della leggenda o elaborazioni della numerologia associata, né approfondimenti alternativi della “storia segreta” della leggenda stessa. A fine albo, essa risulta quindi altrettanto oscura e inesplorata, con l’eccezione di un esiguo dettaglio pseudo-storico collocato 2.000 anni fa, ma anch’esso abbandonato nelle nebbie della vaghezza: di quel rito svoltosi due millenni orsono, infatti, non si menzionano né il luogo, né l’identità del prescelto, né il suo contributo alla storia del mondo, né chi fossero i contendenti che cercarono di sventare o che protessero l’evento in questione.
Si resta sul vago anche per il “sigillo” (cos’è? Perché? Che storia ha?) e il “portatore del sigillo” (chi è? Come mai sa? Che storia ha?), che sembrano non fare nemmeno parte della mitologia del rituale o dei Giusti.
Vaghe sono anche le scelte e nelle motivazioni del Predisposto, di cui non viene descritta la storia personale, con l’eccezione della perdita di un’amante e della madre, che però è morta durante il parto e non dovrebbe quindi rivestire una grande importanza nella vita del ragazzo, a meno che il condizionamento totale a cui la sua vita e quella dei suoi antenati erano sottoposti (secondo le parole del Grande Vecchio Malvagio in persona) non sia stato poi così pervasivo e abbia invece permesso inavvedutamente l’ingresso di valori diversi da quelli programmati (senza che nessuno se ne accorgesse, nonostante le immagini indichino il contrario).
A proposito della setta millenaria, alla gag del telefono cellulare si aggiunge quella dei corifei che ne fanno parte e che sono davvero simpatici nel loro ripetere ogni parola che sentono, da “il rito” a “Mystère”. Curiosamente, lo chiamano solamente per cognome, quando si rivela durante il rito, come se Martin Mystère fosse il loro più acerrimo nemico: invece, durante la storia, il suo coinvolgimento è stato marginale e di basso profilo, quasi inosservato.
Martin Mystère reagisce al tono elusivo del contesto generale con un comportamento equivalente, facendosi trascinare dagli eventi salvo qualche puntualizzazione di natura formale per salvare le apparenze.
La sequenza dell’infiltrazione nel palazzo della Setta Millenaria, che lo avrebbe visto protagonista “in solitaria” (ma non troppo), come sarebbe legittimo per il protagonista della serie, diventa uno sbrigativo flashback di poche vignette con immagini generiche, le cui didascalie implicano che certi eventi abbiano avuto luogo, lasciandoli non visti e non detti; ciò sbilancia la struttura dell’albo, che in precedenza ha dedicato ampio spazio a comprimari, comparse e personaggi riempitivi, mentre ora che è il turno del protagonista, la narrazione si contrae e lesina spazio e dettagli.
Il paragone con il romanzo fantasy proposto da Martin solleva dubbi: se la vicenda appartenesse a quel filone, allora sarebbe anche circostanziata nel definire e identificare i personaggi, i luoghi, il significato degli eventi, la loro collocazione pseudostorica e i dettagli dell’impalcatura narrativa ideata per l’epopea.
Nel finale, come a compensare la sua scarsa rilevanza nella risoluzione degli eventi, Martin Mystère riceve un premio di consolazione che, però, è appunto tale e risulta quindi artificioso, soprattutto nella sua repentina spiegazione, che sembra quasi un ripensamento introdotto all’ultimo minuto e spinge il lettore a chiedersi perché mai le cose funzionino così, sebbene fino a quel momento di tutto ciò non vi sia stata menzione.
La brusca conversione del Predisposto al bene, con tutte le conseguenze logiche che essa implica, è analizzata proprio da Martin Mystère, quasi per favorire la sospensione dell’incredulità di cui la vicenda ha un forte bisogno, ma anche così si resta con la sensazione di insoddisfazione di una storia con un buon potenziale che però non è stato sfruttato a dovere, se non nella suggestiva copertina, che risulta più avvincente di ciò che deve annunciare e promuovere.
L’arte è sempre uguale a se stessa, tanto che l’Emissario di Agarthi, con quella sua improbabile pettinatura, una cascata di capelli dritti che finiscono in riccioli, potrebbe benissimo essere la Wendy di “Ritorno all’isola che non c’è”, dopo una seduta dal parrucchiere per una tintura. Qualche sforzo in più viene dedicato al Predisposto, ai personaggi minori e alle ambientazioni (peraltro poco rilevanti ai fini pratici della vicenda).
Discuti la storia sul forum di Agarthi.
Storie da Altrove
Storie da Altrove n. 15, "La dama che incantò Arsenio Lupin" (2012)
Storie da Altrove n. 14, "La donna che cambiò la Storia d'Italia" (2011)
Storie da Altrove n. 13, "La casa che urlava nel buio" (2010)
Almanacco del Mistero
Almanacco del Mistero 2012, "L'ombra di Fantômas" (2011)
Almanacco del Mistero 2011, "Il leone del Transvaal" (2010)
Almanacco del Mistero 2009, "I segreti di Wold Newton" (2008)
Speciale
Speciale Martin Mystére n. 29, "Gli enigmi del giovane Martin" e albetto allegato "La minaccia dei terribili tre!" (2012) Speciale Martin Mystére n. 28, "I dolori del giovane Martin" e albetto allegato "Numeri immaginati" (2011)
Serie regolare
Martin Mystére n. 323, "I trentasei giusti" (2012)
Martin Mystére n. 322, "Congiura nei cieli" (2012)
Martin Mystére n. 318, "La terza stirpe" (2011)
Martin Mystére n. 317, "Longitudine zero" (2011)
Martin Mystére n. 315, "Con la coda dell'occhio" (2011)
Martin Mystére n. 300, "I Sette Signori dell'Iride" (2008)
Martin Mystére n. 299, "Il segreto di Giovanna d'Arco" (2008)
Ottobre 2012
Storia di Carlo Recagno. Arte di Rodolfo Torti.
Nel ciclo di albi dedicato al trentennale del personaggio compare un altro elemento ricorrente della serie: Agarthi, la lamasseria/città ultramondana “gestita” da Kut Humi, il quale per l’occasione si riunisce con i suoi confratelli detti “Superiori sconosciuti”, i reggenti del mondo. Poco viene detto al loro riguardo, e la loro presenza si rivela essere una comparsata, un escamotage per avviare la narrazione (le anteprime parlavano di un “segreto di Agarthi” che però resta ancora abbastanza oscuro e vago anche dopo la lettura dell’albo).
La sequenza introduttiva dell’albo passa dalla drammatica morte di un “Giusto” ai toni quasi macchiettistici dell’irritazione di Kut Humi verso il discepolo, e si mantiene per tutto il tempo su un tono abbastanza superficiale, come nella scena della (non) presentazione dei Superiori. Essa è tanto sbrigativa e fuggente quanto lo è l’evento della grande campana, che fa presa sui sacerdoti solo per qualche secondo. L’introduzione dell’Emissario (Emissaria?) prescelta per la missione, per quanto più protratta, non si dimostra a sua volta memorabile, probabilmente perché, nella sua vaghezza, manca di impatto sia grafico che narrativo.
Subentrano poi alcune conversazioni, tra le quali rientrano anche alcuni tormentoni di Martin Mystère, che risultano tanto generiche e dozzinali da poter essere utilizzabili come pagine riempitive in un’altra storia, senza che la trama ne risenta. Alla rilettura dell’albo, la loro mancanza di utilità all’economia della storia diventa ancora più marcata, tanto da stimolare l’impulso di saltarle a piè pari.
Specularmente ai dialoghi, vi è un ampio spazio dedicato a sequenze convenzionali di scene d’azione, con i classici inseguimenti, pestaggi e sparatorie tra personaggi assortiti, in strade e case anonime di New York, corredati di un utilizzo meccanico dei poteri paranormali “d’obbligo”.
La storia personale dell’Emissario di Agarthi, definita la più potente di tutti loro, non viene esplorata e il lettore resta con numerose domande senza risposta sulla storia, le capacità e le motivazioni di questo personaggio occidentale, che risulta incongruo nel contesto asiatico dei monaci Tibetani e nell’economia della serie, nella quale non era mai comparso prima nonostante le caratteristiche di cui gode. Al momento della sua morte, non si è ancora capito perché ella abbia voluto con insistenza che Martin le spiegasse cosa sono i Tzadik, di cui lei sa già tutto.. E dopo la sua morte, non si capisce perché la campana suoni: è la stessa che, secondo i Superiori, suona solo se si apre un vuoto nei 36. Ma quindi l’Emissario è uno dei 36?
Il Grande Vecchio Malvagio ci parla poi dei rivali della sua setta millenaria, i “seguaci del bene” che hanno fatto sparire le tracce del rituale per creare gli Tzadik (o meglio, i Predisposti). Questi seguaci sembrano essere quelli di Agarthi, che a loro volta infatti non sanno come individuare gli Tzadik: resta senza spiegazione perché abbiano eliminato queste informazioni, privandosi così di uno strumento importante per proteggere gli equilibri del mondo.
Essendo le istruzioni per creare lo Tzadik andate perse, si presume che ora gli Tzadik non possano essere più creati, ma debbano generarsi spontaneamente, a meno che non ci sia in gioco una terza forza che ancora conosce queste istruzioni e che però è rimasta nascosta per l’intera vicenda, nonostante la crisi.
La conclusione della storia viene suggerita abbastanza presto, e cioè quando il Predisposto della fazione malvagia assiste alla tortura dello scagnozzo incompetente. La stessa conclusione viene ribadita quando il Predisposto piange per la morte della propria amante: a quel punto, è chiaro che la trama seguirà il classico schema del figlio che si ribella al padre. Poco più avanti, l’ipotesi sull’esito della storia viene confermata dalla precisazione che i Giusti possono anche essere persone malvagie.
Sembra che questa sia l’unica variante degna di rilievo che è stata introdotta nel tema della leggenda dei trentasei giusti, che per il resto viene fedelmente riportata nei suoi dettagli basilari, senza interpretazioni originali o accostamenti inediti. Non ci sono riferimenti alle varianti oscure della leggenda o elaborazioni della numerologia associata, né approfondimenti alternativi della “storia segreta” della leggenda stessa. A fine albo, essa risulta quindi altrettanto oscura e inesplorata, con l’eccezione di un esiguo dettaglio pseudo-storico collocato 2.000 anni fa, ma anch’esso abbandonato nelle nebbie della vaghezza: di quel rito svoltosi due millenni orsono, infatti, non si menzionano né il luogo, né l’identità del prescelto, né il suo contributo alla storia del mondo, né chi fossero i contendenti che cercarono di sventare o che protessero l’evento in questione.
Si resta sul vago anche per il “sigillo” (cos’è? Perché? Che storia ha?) e il “portatore del sigillo” (chi è? Come mai sa? Che storia ha?), che sembrano non fare nemmeno parte della mitologia del rituale o dei Giusti.
Vaghe sono anche le scelte e nelle motivazioni del Predisposto, di cui non viene descritta la storia personale, con l’eccezione della perdita di un’amante e della madre, che però è morta durante il parto e non dovrebbe quindi rivestire una grande importanza nella vita del ragazzo, a meno che il condizionamento totale a cui la sua vita e quella dei suoi antenati erano sottoposti (secondo le parole del Grande Vecchio Malvagio in persona) non sia stato poi così pervasivo e abbia invece permesso inavvedutamente l’ingresso di valori diversi da quelli programmati (senza che nessuno se ne accorgesse, nonostante le immagini indichino il contrario).
A proposito della setta millenaria, alla gag del telefono cellulare si aggiunge quella dei corifei che ne fanno parte e che sono davvero simpatici nel loro ripetere ogni parola che sentono, da “il rito” a “Mystère”. Curiosamente, lo chiamano solamente per cognome, quando si rivela durante il rito, come se Martin Mystère fosse il loro più acerrimo nemico: invece, durante la storia, il suo coinvolgimento è stato marginale e di basso profilo, quasi inosservato.
Martin Mystère reagisce al tono elusivo del contesto generale con un comportamento equivalente, facendosi trascinare dagli eventi salvo qualche puntualizzazione di natura formale per salvare le apparenze.
La sequenza dell’infiltrazione nel palazzo della Setta Millenaria, che lo avrebbe visto protagonista “in solitaria” (ma non troppo), come sarebbe legittimo per il protagonista della serie, diventa uno sbrigativo flashback di poche vignette con immagini generiche, le cui didascalie implicano che certi eventi abbiano avuto luogo, lasciandoli non visti e non detti; ciò sbilancia la struttura dell’albo, che in precedenza ha dedicato ampio spazio a comprimari, comparse e personaggi riempitivi, mentre ora che è il turno del protagonista, la narrazione si contrae e lesina spazio e dettagli.
Il paragone con il romanzo fantasy proposto da Martin solleva dubbi: se la vicenda appartenesse a quel filone, allora sarebbe anche circostanziata nel definire e identificare i personaggi, i luoghi, il significato degli eventi, la loro collocazione pseudostorica e i dettagli dell’impalcatura narrativa ideata per l’epopea.
Nel finale, come a compensare la sua scarsa rilevanza nella risoluzione degli eventi, Martin Mystère riceve un premio di consolazione che, però, è appunto tale e risulta quindi artificioso, soprattutto nella sua repentina spiegazione, che sembra quasi un ripensamento introdotto all’ultimo minuto e spinge il lettore a chiedersi perché mai le cose funzionino così, sebbene fino a quel momento di tutto ciò non vi sia stata menzione.
La brusca conversione del Predisposto al bene, con tutte le conseguenze logiche che essa implica, è analizzata proprio da Martin Mystère, quasi per favorire la sospensione dell’incredulità di cui la vicenda ha un forte bisogno, ma anche così si resta con la sensazione di insoddisfazione di una storia con un buon potenziale che però non è stato sfruttato a dovere, se non nella suggestiva copertina, che risulta più avvincente di ciò che deve annunciare e promuovere.
L’arte è sempre uguale a se stessa, tanto che l’Emissario di Agarthi, con quella sua improbabile pettinatura, una cascata di capelli dritti che finiscono in riccioli, potrebbe benissimo essere la Wendy di “Ritorno all’isola che non c’è”, dopo una seduta dal parrucchiere per una tintura. Qualche sforzo in più viene dedicato al Predisposto, ai personaggi minori e alle ambientazioni (peraltro poco rilevanti ai fini pratici della vicenda).
IN RETE
Discuti la storia sul forum di Agarthi.
LE NOSTRE RECENSIONI
Storie da Altrove
Storie da Altrove n. 15, "La dama che incantò Arsenio Lupin" (2012)
Storie da Altrove n. 14, "La donna che cambiò la Storia d'Italia" (2011)
Storie da Altrove n. 13, "La casa che urlava nel buio" (2010)
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Almanacco del Mistero 2012, "L'ombra di Fantômas" (2011)
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Speciale
Speciale Martin Mystére n. 29, "Gli enigmi del giovane Martin" e albetto allegato "La minaccia dei terribili tre!" (2012) Speciale Martin Mystére n. 28, "I dolori del giovane Martin" e albetto allegato "Numeri immaginati" (2011)
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Martin Mystére n. 323, "I trentasei giusti" (2012)
Martin Mystére n. 322, "Congiura nei cieli" (2012)
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Martin Mystére n. 315, "Con la coda dell'occhio" (2011)
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Martin Mystére n. 299, "Il segreto di Giovanna d'Arco" (2008)
mercoledì 10 ottobre 2012
Get A Life! #2: "The Face Of Orloff"
Get A Life (the fancomic miniseries NOT presented by Martin Mystére) presents The Face Of Orloff in English.
Sergej Orloff is Martin Mystère's greatest enemy, but he is also a tormented man whose life radically changed after the events of Martin Mystére Gigante #2, "Xanadu": he lost his Murchadna weapon and his bionic arm, he took off the mask, he realized that his scarred face had been healed by Blackjack...
Now, many years after that epic adventure, it's time for Orloff to learn what happened to one of those things he lost!
Special guests: the Elsewhere staff, from Antonietta Fernandez to Chris Tower, Max Brody and Ian Rogers. And don't miss the first appearance of a fearsome weapon from the lost continent of Mu!
Art and English edits by Seb.
Story and lettering by Franco Villa.
Edits by Luca Salvadei.
Sergej Orloff is Martin Mystère's greatest enemy, but he is also a tormented man whose life radically changed after the events of Martin Mystére Gigante #2, "Xanadu": he lost his Murchadna weapon and his bionic arm, he took off the mask, he realized that his scarred face had been healed by Blackjack...
Now, many years after that epic adventure, it's time for Orloff to learn what happened to one of those things he lost!
Special guests: the Elsewhere staff, from Antonietta Fernandez to Chris Tower, Max Brody and Ian Rogers. And don't miss the first appearance of a fearsome weapon from the lost continent of Mu!
Art and English edits by Seb.
Story and lettering by Franco Villa.
Edits by Luca Salvadei.
[Recensione] Storie da Altrove 2012, “La dama che incantò Arsenio Lupin”
Storie da Altrove 2012
"La donna che incantò Arsenio Lupin"
Storia di Carlo Recagno. Arte di Sergio Giardo.
SCHEDA DEI CONTENUTI
di Franco Villa e Cristian Di Biase
TEMA PRINCIPALE
Il piatto forte di questo nuovo SdA è l'incontro scontro tra due personaggi letterari ormai assurti a icone assolute, in quanto divenuti parte dell'immaginario collettivo come archetipi rispettivamente del detective infallibile e del ladro (gentiluomo) inafferrabile.
Stiamo parlando ovviamente di Sherlock Holmes e di Arsene "Arsenio" Lupin (il primo), che oltre a costituire il modello ideale delle due tipologie contrapposte di personaggio, sono anche i rappresentati di un certo modo di concepire l'esistenza, la società e la letteratura stessa.
Di conseguenza, l'albo "La donna che incantò Arsenio Lupin" compie l’oneroso sforzo di mettere in scena questi due stili contrapposti, in tutte le loro variegate sfaccettature.
Lo scontro tra Holmes e Lupin si dipana tra induzioni e inganni, elaborazione dei travestimenti e osservazione dei dettagli, giochi di specchi ed esercizi di logica: la vittoria continua a cambiare sponda durante lo svilupparsi della trama e della "battaglia" tra le due menti, ma com'è inevitabile, due menti simili non possono che giungere a una fase di stallo.
Ecco quindi che a questo punto viene offerto ciò che tutti i fan adorano e auspicano: la comparsa di un terzo nemico, che dia ai due personaggi leggendari l'occasione di unire le loro forze per un bene comune, rendendo quindi l'impresa ancora più epica ed emozionante. E salvando anche l'autore dall'accusa sempre latente di partigianeria, nel caso dovesse scegliere di risolvere invece la trama concedendo a uno dei due personaggi di avere il sopravvento sull'altro.
L'alleanza è ben lungi dal tradursi in un pedissequo e banale svolgimento in cui le differenze tra i due personaggi sono messe da parte per far trionfare il bene: Holmes e Lupin continuano a lavorare seguendo le loro specifiche inclinazioni, e la trama continua quindi ad alternare le sorprendenti induzioni di uno con gli astuti inganni dell'altro, finché non sembra che i due acerrimi nemici (?) non siano tornati a combattere l'uno contro l'altro.
Ma anche questo, come da manifesto programmatico dell'albo, è stato un inganno.
La contrapposizione speculare dei due personaggi non si ferma solo all'intreccio, ma dilaga in ogni ambito delle loro vite: ecco quindi le confidenze che si scambiano i rispettivi assistenti Watson e Grognard, l'analisi del loro rapporto con le donne, le citazioni di eventi delle loro vite più o meno apocrifi (nel senso di produzioni slegate dall’opera di Doyle e di LeBlanc), e infine un fugace accenno a ciò che essi rappresentano e ciò che invece sono in realtà. Lupin, il ladro gentiluomo, non è un criminale qualsiasi ed è spinto da motivazioni più che condivisibili, oltre che umane. Holmes, l'algido baluardo della legalità, rifiuta la definizione di "uomo della legge", lasciando intendere qualcosa di veramente fosco nel suo passato. Come a dirci che, dopotutto, questi due titani della letteratura popolare non sono agli antipodi come si vorrebbe, ma piuttosto facce di una stessa medaglia, la cui complessità potenziale supera di gran lunga ciò che finora è stato scritto dei due personaggi. Non è certo un caso il rispetto reciproco che si dimostrano, né che entrambi siano diventati icone immortali e che la "fede" nella loro esistenza minacci di passare dalla finzione alla realtà.
Come l'articolo in appendice spiega nel dettaglio, l'universo in cui si muovono Holmes e Lupin è quello delle opere originali dei loro rispettivi creatori, regolato sulla geografia e la cronologia ufficiali in modo tale da far "funzionare" questo incontro rispetto ai principali (tutti?) capisaldi della letteratura che li riguarda. Non mancano poi agganci alla mitologia Holmesiana sviluppata in questi anni di "Storie Da Altrove", per non parlare di alcuni accenni a vicende Lovecraftiane che hanno coinvolto lo stesso Holmes e di cui (per ora) non sappiamo ancora nulla.
Come lo stesso Recagno spiegava nel presentare le anteprime dell'albo sulla pagina di Facebook dedicata al BVZM, il suo grande sogno di poter inscenare una sfida tra Holmes e Lupin, nella falsariga delle opere di Maurice Leblanc dedicate a questo tema, è divenuto realtà nel 2012, anno in cui i diritti letterari sul personaggio di Lupin sono scaduti, rendendone possibile l'utilizzo.
E’ capitato proprio al momento giusto: la prima storia scritta da Recagno per la serie di Martin Mystére ("Aria di Baker Street") non solo era dedicata a Sherlock Holmes, ma usciva a fine 1992, cioè 20 anni fa. Nell'anno del trentennale di Martin Mystére, quindi, c'è l'occasione per celebrare anche un altro anniversario legato all'universo mysteriano.
A proposito dell'universo mysteriano e della ricorrenza delle tre decadi, questo albo di SdA continua con le citazioni da celebrazione, di cui segnaliamo solo quattro delle tante.
L’ambientazione francese permette di riproporre l'organizzazione indigena "Le Centre", che esordì su Martin Mystére n. 268, “La pietra caduta dal cielo”, e che presenta un'omonimia non casuale con la base del Martin Mystery dei cartoni animati. Anche la storia di questa base intreccia eventi di fantasia e personaggi reali: ecco quindi che alla sua fondazione avrebbe contribuito Jules Verne (già visto in un albo della serie regolare, oltre che nel celebre “La macchina pensante” ripubblicato su un Martin Mystére Extra), con la fattiva collaborazione di Gustave Eiffel, cioè il “padre” della omonima Torre parigina in cui ha sede “Le Centre” (dove si troverà questa base, in epoca moderna?).
Dopo le basi segrete dell’impossibile, l’eredità di Atlantide è il secondo grande tema mysteriano della storia, e consiste in una rivelazione/rilettura di grande respiro, visto che interpreta la Grande Opera degli alchimisti in chiave tecnologica, proponendo una variante "artificiale" della Pietra Filosofale, legata a manufatti atlantidei che, guarda caso, implicano la ricerca di sette oggetti di potere, un altro concetto che ha fatto da cardine ad alcune delle migliori storie mysteriose di tutti i tempi.
Seguendo la ricostruzione fatta dal Conte di Saint Germain, sembrerebbe quasi che l’intera mitologia alchemica della Grande Opera sia solo un’interpretazione distorta di un prodigio tecnologico Atlantideo, sebbene ciò sia una visione riduttiva, in quanto la “vera” Pietra Filosofale è già apparsa in albi della serie regolare, implicando che gli stessi tecno-magi atlantidei non fossero altro che gli alchimisti (ben più progrediti) della loro epoca, dediti all’imitazione di qualcosa di inarrivabile e alieno.
Un collegamento più generico all’universo di MM è il riferimento ai druidi di Broceliande, terra legata al filone narrativo di Morgana, Artù e gli oggetti mistici correlati (a loro volta citati dai Sette Oggetti di quest’albo).
Diana Lombard non viene citata, ma questo albo potrebbe contenere un indizio su di lei: se per attivare la Grande Opera artificiale bisogna essere “Predisposti”, allora significa che anche lei, il personaggio Mysteriano “predisposto” per eccellenza, potrebbe essere collegata agli oggetti cosmici che la Grande Opera atlantidea cercava di imitare.
Tra i personaggi storici più o meno leggendari che sfilano nella storia segnaliamo: Giacomo Casanova, il Conte di Saint Germain e Giuseppe Balsamo (alias Cagliostro). Cagliostro è sempre stato trattato marginalmente nell’universo di MM, se si esclude la storia (di fantasia) che gli fu dedicata su Zona X, la quale vedeva tra gli autori proprio quel Pier Carpi citato nella prefazione a questo SdA.
Per quanto riguarda la discendenza nipponica di Arsenio Lupin, segnaliamo il secondo film d’animazione nipponico dedicato a Lupin III, Il castello di Cagliostro, che propone uno scontro tra i discendenti delle due “famiglie” dei Lupin e dei Cagliostro.
Quando il Conte di Saint Germain parla dell’atrocità necessaria per conseguire la Grande Opera, allude all’omicidio rituale, che implica la perdita della propria anima: è possibile che sia una citazione della saga di Harry Potter, nella quale il malvagio Voldemort diviene immortale creando gli oggetti mistici Horcrux, proprio compiendo un delitto che fa letteralmente a pezzi la sua anima.
L’ARTE
Ottima prova del sempre abile e versatile Sergio Giardo, che illustra un albo ricco di personaggi impegnativi e di atmosfere assai esigenti: alle cupe ambientazioni parigine da feuilleton novecentesco, che richiedono un uso accorto di ombre e tratteggi, si mescolano momenti più solari come le giocose citazioni delle pagine dedicate a Le Centre, senza trascurare contaminazioni da manga nelle sequenze dedicate a Fujiko (che tradiscono un po’ anche la familiarità di Giardo con le ambientazioni ibride di Nathan Never).
La sontuosa copertina di Giancarlo Alessandrini viene giustamente esaltata dalla accorta colorazione di Alessandro Muscillo, che rende tridimensionalmente giustizia alla ricchezza dei dettagli.
L'INVANA, ETERNA CERCA
Di Cristian Di Biase
Cos'è un capolavoro? Apriamo il dizionario Sansoni e leggiamo: "capolavoro s.m. [pl. capolavori] L'opera migliore di un artista, di un pensatore, di una scuola. // Opera di alto valore estetico. // Cosa fatta in modo eccellente. // Prova pratica effettuata da un operaio per ottenere l'assunzione o una qualifica professionale superiore."
A queste definizioni possiamo aggiungere una considerazione: i capolavori sono sottovalutati dai propri contemporanei.
Stanti così le cose, ci sembra appropriato classificare le Storie da Altrove come capolavori. Vediamo il perché.
Gli albi di questa collana sono senza dubbio quelli in cui Carlo Recagno si esprime più compiutamente e nei quali si percepisce un suo maggiore coinvolgimento: insomma, le Storie da Altrove sono le storie in cui Recagno dà l'impressione di sbizzarrirsi di più. Cosa che non può dirsi sempre per le avventure da lui scritte per la serie regolare di Martin Mystère, ove talvolta ha ceduto, o cede, alla pressione della produzione seriale. Nella "sua" collana annuale, invece, Recagno può pianificare e agire con relativa calma, curando ogni minimo dettaglio.
Passiamo dunque alla seconda e alla terza definizione: i quindici (finora) albi di Storie da Altrove sono opere di alto valore estetico. I quattro sceneggiatori (su tutti Recagno) e i quattro disegnatori al lavoro sin qui hanno fornito, tutti, prestazioni eccellenti. E se è vero che, sul piano testuale, Beretta e Castelli hanno fornito un imprinting indelebile (rispettivamente con il primo e il quarto numero); che, sul piano grafico, i tratteggi gotici di Colombi e Spada erano senza dubbio più sperimentali del raffinato Giardo; e che l'esperimento di crossover del settimo numero (di Recagno ed EspositoBros) è stato uno dei più inusuali del fumetto italiano (la storia, pur indipendente, traeva le fila di un vecchio Special e di una storia di Zagor e proseguiva in un albo della collana Giganti); è vero altresì che da quando si è instaurata la coppia Recagno-Giardo la collana ha compiuto un decisivo salto di qualità.
Di fatto, l'unica storia che vale la pena raccontare è l'eterna sfida fra Uomo e Assoluto. L'Uomo ha un innato bisogno di darsi uno scopo: chi trova la pace dei sensi prima o poi si annoia. "Chi si accontenta, gode" è una mezza verità, giacché gode sul momento, ma, una volta satollo, smette di godere. E di nuovo, daccapo, sente la necessità di dover stare meglio, di migliorarsi. Cerca, quindi, l'Assoluto, il miglioramento definitivo. Che di definitivo ha solo l'essere una chimera, un utopia che si può solo immaginare e mai toccare con mano. Ma di questo all'Uomo - che egli se ne sia reso conto o meno - non importa: l'importante è impegnarsi a cercare qualcosa, a dare uno scopo alla propria esistenza. Ogni narrazione degna di questo nome, sfrondata di contesti, stili e contorni assortiti, ricalca questa Trama cosmica, Assoluta. Il plot è sempre lo stesso, dunque. A fare la differenza sono proprio quei contesti, quegli stili e quei contorni, continuamente riplasmati e riplasmabili a seconda dei gusti dell'autore.
E' quello che accade, ogni anno, nelle Storie da Altrove di Recagno-Giardo. Ed è il motivo per cui chi scrive ne rimane puntualmente affascinato: ogni numero di SdA è una variazione della Trama suprema. Cambia il cast, cambia la location, cambia l'oggetto misterioso di cui protagonisti e antagonisti cercano di impossessarsi; così è la polpa, mentre il succo rimane lo stesso.
La reiterazione dello stesso canovaccio può essere giustificata in diversi modi: scarsità di idee, comodo riciclo; e può generare noia e un calo di interesse nel lettore. Tuttavia il plot può essere uno e uno soltanto: le Storie da Altrove sono fiabe moderne, fra le ultime produzioni a fumetti a svolgere quel ruolo educativo oggi sempre più dimenticato (anche - è il caso di dirlo - dalla serie del BVZM). Come ogni fiaba, ovviamente anche le Storie da Altrove presentano un contorno ludico: guai se così non fosse, per l'Uomo è fondamentale Giocare e tenere la mente impegnata. Le innumerevoli citazioni, l'utilizzo di personaggi famosi, ecc., sono, però, solo la facciata di questi albi, che nascondono, invece, molto di più.
Nell'ultimo numero finora pubblicato svolge un ruolo di primo piano nientemeno che la Grande Opera, il risultato alchemico per antonomasia. O, meglio, il mcguffin per antonomasia: fino a prova contraria, la Grande Opera è quanto di più coincide con la Trama suprema di cui abbiamo parlato sopra: è un qualcosa che non esiste, ma che è fondamentale per chi è alla sua ricerca. Ricerca interiore che l'Uomo compie nel tentativo di migliorarsi fino all'estremo. Non è un caso che l'autore novarese la identifichi con l'immortalità, l'estremo della vita umana. Come non è un caso che la ricerca debba concludersi con un nulla di fatto (Holmes e Lupin non risolvono i propri conflitti interiori), o addirittura con un'involuzione e un incarognimento dell'animo (Cagliostro e nipote).
Verdi-Svengali-musica universale; Poe-Frankenstein-debolezze personali; Einstein-Foscolo-armonia ultraterrena; Holmes-Moriarty-conoscenza; Houdinì-Aldous-lato oscuro; Van Helsing-Olimpia-umanità; D'Annunzio-Kate-buon senso. E' come se ogni anno Recagno riscrivesse Il Pendolo di Foucault, il romanzo definitivo, ludico, metanarrativo e formativo al contempo, costruito sullo scheletro dell'Albero Sefirotico e metaforico risultato della Grande Opera.
Insomma, quali che siano i protagonisti e gli oggetti leggendari, ogni Storia da Altrove racconta, ogni anno, LA storia. Che volere di più?
La risposta (LA risposta?) potrebbe essere: qualcosa di più... semplice.
Il rapporto quantità/qualità media delle Storie da Altrove si divora a colazione quello di Eco: non è una sparata da fanboy, ma la constatazione derivante da un confronto: un romanzo scritto in diversi anni a fronte di 154 pagine di sceneggiatura ogni dodici mesi.
Ma un fumetto va paragonato con un altro fumetto, e non con un fumetto qualunque, bensì con un fumetto che possieda qualche caratteristica comune allo spin-off mysteriano. Di fumetti dal sapore mysterioso ve ne sono diversi in circolazione (fra i più recenti, Hoax Hunters del l'Image e Saucer Country della Vertigo), ma non li prendiamo in considerazione: il paragone fra un comic spillato e un albo bonelliano è infattibile non foss'altro per la diversa consistenza.
A nostro parere, confrontabili con Storie da Altrove sono soltanto due opere (siamo aperti a eventuali segnalazioni):
- Lega degli Straordinari Gentlemen di Alan Moore e Dave McKean ha di recente concluso la quarta storia del ciclo (SdA è a quota quindici), un storia (e un ciclo) il cui succo è lo stesso delle storie recagnane: trattasi, dunque, di un'altra fiaba moderna (ancorché meno legata a vincoli censori), di un'altra Epica del nostro tempo, realizzata, però, in molti più anni di lavoro, a fronte di un numero di pagine comunque minore di quelle che compongono un solo albo di SdA.
- Il Bureau of Paranormal Research and Defense, creato da Mike Mignola nel 1993 (quando la base di Altrove esisteva già da sei anni) per Hellboy e poi divenuto centro di una serie a sè stante, offre lo spunto per storie godibili, che in un secondo piano di lettura nascondono grossomodo il solito succo "fiabesco" protagonista di questo intervento; il ludus di Hellboy e di B.P.R.D., però, è meno denso di quello offerto nelle Storie da Altrove, riconducendosi quasi sempre a scazzottate e ad elementi dalla fruibilità più semplice ed immediata di quella proposta da Recagno.
In sostanza la Lega ed Hellboy sono più vivaci sul piano grafico ed estetico, ma Storie da Altrove funziona bene anche nella sua gabbia bonelliana. Non perde dunque il confronto con i due colossi USA.
Fuoriuscendo nuovamente dal mondo fumettistico, il paragone più immediato è da farsi, comunque, con Doctor Who, un brand tornato agli onori della cronaca grazie al telefilm madre, letteralmente rinato per via del sapiente mix fra apparenza (dialoghi briosi, citazioni, personaggi cool) e sostanza (sì, di nuovo la fiaba e l'epos). Recagno trae tantissima ispirazione dalle avventure del Dottore, ma a nostro avviso non ne è un semplice fanboy. E' un "allievo" che ha perlomeno raggiunto il "maestro", giacché, come detto, Doctor Who è anche 'cool' e gioca sull'apparenza molto più di quanto faccia Recagno nelle sue SdA, nelle quali, stringi stringi, l'uso di personaggi letterari e non è più dimesso di quanto non sembri; tradotto: nonostante gli "strilli" in copertina, nomi quali Sherlock Holmes, Arsenio Lupin o Albert Einstein non attirano le frotte di lettori che l'uso di simili scelte commerciali portano comprensibilmente a sperare. L'Italia è terra di giallisti, di noir e di storie esistenziali, e il fantastico funziona solo nei cinema. Siamo quasi convinti che se fosse pubblicato negli USA Storie da Altrove godrebbe del meritato successo.
Ad ogni modo, è indubbio che la qualità intrinseca di ogni singolo numero di questa collana sia elevata. E che un autore che per molti anni riesce a rimodellare la materia di cui sono fatte le storie (anzi, di cui è fatta LA storia) e la Storia è un autore cui si deve riconoscere notevoli doti. Doti che lo rendono di fatto l'erede naturale di Castelli non per imposizione o mancanza di alternativa, ma per mera meritocrazia. Il che ci riconduce alla quarta definizione di capolavoro, ovvero "Prova pratica effettuata da un operaio per ottenere l'assunzione o una qualifica professionale superiore.".
E a questo punto ci sembra che alle sottovalutate - così da corroborare anche la quinta e ultima definizione - Storie da Altrove non calzi poi male quella parola, capolavoro, e che forse, al suo ventesimo anno di carriera mysteriana, è tempo che si cominci a tenere nella giusta considerazione colui che, in una immaginaria saga, avrebbe intrattenuto i cercatori con le sue storie di maghi, oggetti perduti e morali antropocentriche ed universali.
Postilla sulle citazioni
Per il resto, mi sembra che la prima vignetta di pag.59 sia basata su una o due famose fotografie che ora non riesco a rintracciare. La quarta vignetta di pag.68 è un ricalco/omaggio: ne ricordo almeno una con Martin e Java nella stessa posizione, ma forse si è vista anche su Storie da Altrove in qualche storia di Dante Spada (nel primo o nel quarto numero, credo). Nella prima vignetta di pag.72, la donna mi sembra Adele Blanc-Sec, ma non ne sono sicuro (non riesco a capire se sia Louise Bourgoin); l'uomo al suo fianco l'ho già visto, ma non riesco a collegarlo a nessuno. La trovata della cabina è un topos vecchio, già visto mille volte in Star Trek e in Stargate SG1, ma la sua presenza qui mi dà una strana sensazione in termini di continuity mysteriana: mi viene automatico collegarla ai "saloni di bellezza" atlantidei che usava Kate per tenersi giovane (Martin Mystére n. 226 e n. 300 e SdA8). Difatti, mentre leggevo l'albo per la prima volta, avevo la forte impressione che la "contessa" fosse Kate, in realtà già smentita dalla tempistica (nel 1902 abbiamo visto Kate essere "buona"). Tuttavia non riesco a non pensare che le due vicende siano collegate.
LE ALTRE PIATTAFORME
Sul blog di PostCardCult, Carlo Recagno presenta una guida completa a citazioni e contenuti dell’albo.
Segnaliamo anche tre discussioni sullo stesso argomento.
Non può mancare la discussione sul forum di Agarthi, che è il principale punto d’incontro dei fan del BVZM.
Segue la discussione sul forum di Comicus.
Per finire, la discussione sul forum “Spirito con la scure”.
LE NOSTRE RECENSIONI
Storie da Altrove
Storie da Altrove n. 14, "La donna che cambiò la Storia d'Italia" (2011)
Storie da Altrove n. 13, "La casa che urlava nel buio" (2010)
Almanacco del Mistero
Almanacco del Mistero 2012, "L'ombra di Fantômas" (2011)
Almanacco del Mistero 2011, "Il leone del Transvaal" (2010)
Almanacco del Mistero 2009, "I segreti di Wold Newton" (2008)
Speciale
Speciale Martin Mystére n. 29, "Gli enigmi del giovane Martin" e albetto allegato "La minaccia dei terribili tre!" (2012) Speciale Martin Mystére n. 28, "I dolori del giovane Martin" e albetto allegato "Numeri immaginati" (2011)
Serie regolare
Martin Mystére n. 322, "Congiura nei cieli" (2012)
Martin Mystére n. 318, "La terza stirpe" (2011)
Martin Mystére n. 317, "Longitudine zero" (2011)
Martin Mystére n. 315, "Con la coda dell'occhio" (2011)
Martin Mystére n. 300, "I Sette Signori dell'Iride" (2008)
Martin Mystére n. 299, "Il segreto di Giovanna d'Arco" (2008)
"La donna che incantò Arsenio Lupin"
Storia di Carlo Recagno. Arte di Sergio Giardo.
SCHEDA DEI CONTENUTI
di Franco Villa e Cristian Di Biase
TEMA PRINCIPALE
Il piatto forte di questo nuovo SdA è l'incontro scontro tra due personaggi letterari ormai assurti a icone assolute, in quanto divenuti parte dell'immaginario collettivo come archetipi rispettivamente del detective infallibile e del ladro (gentiluomo) inafferrabile.
Stiamo parlando ovviamente di Sherlock Holmes e di Arsene "Arsenio" Lupin (il primo), che oltre a costituire il modello ideale delle due tipologie contrapposte di personaggio, sono anche i rappresentati di un certo modo di concepire l'esistenza, la società e la letteratura stessa.
Di conseguenza, l'albo "La donna che incantò Arsenio Lupin" compie l’oneroso sforzo di mettere in scena questi due stili contrapposti, in tutte le loro variegate sfaccettature.
Lo scontro tra Holmes e Lupin si dipana tra induzioni e inganni, elaborazione dei travestimenti e osservazione dei dettagli, giochi di specchi ed esercizi di logica: la vittoria continua a cambiare sponda durante lo svilupparsi della trama e della "battaglia" tra le due menti, ma com'è inevitabile, due menti simili non possono che giungere a una fase di stallo.
Ecco quindi che a questo punto viene offerto ciò che tutti i fan adorano e auspicano: la comparsa di un terzo nemico, che dia ai due personaggi leggendari l'occasione di unire le loro forze per un bene comune, rendendo quindi l'impresa ancora più epica ed emozionante. E salvando anche l'autore dall'accusa sempre latente di partigianeria, nel caso dovesse scegliere di risolvere invece la trama concedendo a uno dei due personaggi di avere il sopravvento sull'altro.
L'alleanza è ben lungi dal tradursi in un pedissequo e banale svolgimento in cui le differenze tra i due personaggi sono messe da parte per far trionfare il bene: Holmes e Lupin continuano a lavorare seguendo le loro specifiche inclinazioni, e la trama continua quindi ad alternare le sorprendenti induzioni di uno con gli astuti inganni dell'altro, finché non sembra che i due acerrimi nemici (?) non siano tornati a combattere l'uno contro l'altro.
Ma anche questo, come da manifesto programmatico dell'albo, è stato un inganno.
La contrapposizione speculare dei due personaggi non si ferma solo all'intreccio, ma dilaga in ogni ambito delle loro vite: ecco quindi le confidenze che si scambiano i rispettivi assistenti Watson e Grognard, l'analisi del loro rapporto con le donne, le citazioni di eventi delle loro vite più o meno apocrifi (nel senso di produzioni slegate dall’opera di Doyle e di LeBlanc), e infine un fugace accenno a ciò che essi rappresentano e ciò che invece sono in realtà. Lupin, il ladro gentiluomo, non è un criminale qualsiasi ed è spinto da motivazioni più che condivisibili, oltre che umane. Holmes, l'algido baluardo della legalità, rifiuta la definizione di "uomo della legge", lasciando intendere qualcosa di veramente fosco nel suo passato. Come a dirci che, dopotutto, questi due titani della letteratura popolare non sono agli antipodi come si vorrebbe, ma piuttosto facce di una stessa medaglia, la cui complessità potenziale supera di gran lunga ciò che finora è stato scritto dei due personaggi. Non è certo un caso il rispetto reciproco che si dimostrano, né che entrambi siano diventati icone immortali e che la "fede" nella loro esistenza minacci di passare dalla finzione alla realtà.
Come l'articolo in appendice spiega nel dettaglio, l'universo in cui si muovono Holmes e Lupin è quello delle opere originali dei loro rispettivi creatori, regolato sulla geografia e la cronologia ufficiali in modo tale da far "funzionare" questo incontro rispetto ai principali (tutti?) capisaldi della letteratura che li riguarda. Non mancano poi agganci alla mitologia Holmesiana sviluppata in questi anni di "Storie Da Altrove", per non parlare di alcuni accenni a vicende Lovecraftiane che hanno coinvolto lo stesso Holmes e di cui (per ora) non sappiamo ancora nulla.
Come lo stesso Recagno spiegava nel presentare le anteprime dell'albo sulla pagina di Facebook dedicata al BVZM, il suo grande sogno di poter inscenare una sfida tra Holmes e Lupin, nella falsariga delle opere di Maurice Leblanc dedicate a questo tema, è divenuto realtà nel 2012, anno in cui i diritti letterari sul personaggio di Lupin sono scaduti, rendendone possibile l'utilizzo.
E’ capitato proprio al momento giusto: la prima storia scritta da Recagno per la serie di Martin Mystére ("Aria di Baker Street") non solo era dedicata a Sherlock Holmes, ma usciva a fine 1992, cioè 20 anni fa. Nell'anno del trentennale di Martin Mystére, quindi, c'è l'occasione per celebrare anche un altro anniversario legato all'universo mysteriano.
A proposito dell'universo mysteriano e della ricorrenza delle tre decadi, questo albo di SdA continua con le citazioni da celebrazione, di cui segnaliamo solo quattro delle tante.
L’ambientazione francese permette di riproporre l'organizzazione indigena "Le Centre", che esordì su Martin Mystére n. 268, “La pietra caduta dal cielo”, e che presenta un'omonimia non casuale con la base del Martin Mystery dei cartoni animati. Anche la storia di questa base intreccia eventi di fantasia e personaggi reali: ecco quindi che alla sua fondazione avrebbe contribuito Jules Verne (già visto in un albo della serie regolare, oltre che nel celebre “La macchina pensante” ripubblicato su un Martin Mystére Extra), con la fattiva collaborazione di Gustave Eiffel, cioè il “padre” della omonima Torre parigina in cui ha sede “Le Centre” (dove si troverà questa base, in epoca moderna?).
Dopo le basi segrete dell’impossibile, l’eredità di Atlantide è il secondo grande tema mysteriano della storia, e consiste in una rivelazione/rilettura di grande respiro, visto che interpreta la Grande Opera degli alchimisti in chiave tecnologica, proponendo una variante "artificiale" della Pietra Filosofale, legata a manufatti atlantidei che, guarda caso, implicano la ricerca di sette oggetti di potere, un altro concetto che ha fatto da cardine ad alcune delle migliori storie mysteriose di tutti i tempi.
Seguendo la ricostruzione fatta dal Conte di Saint Germain, sembrerebbe quasi che l’intera mitologia alchemica della Grande Opera sia solo un’interpretazione distorta di un prodigio tecnologico Atlantideo, sebbene ciò sia una visione riduttiva, in quanto la “vera” Pietra Filosofale è già apparsa in albi della serie regolare, implicando che gli stessi tecno-magi atlantidei non fossero altro che gli alchimisti (ben più progrediti) della loro epoca, dediti all’imitazione di qualcosa di inarrivabile e alieno.
Un collegamento più generico all’universo di MM è il riferimento ai druidi di Broceliande, terra legata al filone narrativo di Morgana, Artù e gli oggetti mistici correlati (a loro volta citati dai Sette Oggetti di quest’albo).
Diana Lombard non viene citata, ma questo albo potrebbe contenere un indizio su di lei: se per attivare la Grande Opera artificiale bisogna essere “Predisposti”, allora significa che anche lei, il personaggio Mysteriano “predisposto” per eccellenza, potrebbe essere collegata agli oggetti cosmici che la Grande Opera atlantidea cercava di imitare.
Tra i personaggi storici più o meno leggendari che sfilano nella storia segnaliamo: Giacomo Casanova, il Conte di Saint Germain e Giuseppe Balsamo (alias Cagliostro). Cagliostro è sempre stato trattato marginalmente nell’universo di MM, se si esclude la storia (di fantasia) che gli fu dedicata su Zona X, la quale vedeva tra gli autori proprio quel Pier Carpi citato nella prefazione a questo SdA.
Per quanto riguarda la discendenza nipponica di Arsenio Lupin, segnaliamo il secondo film d’animazione nipponico dedicato a Lupin III, Il castello di Cagliostro, che propone uno scontro tra i discendenti delle due “famiglie” dei Lupin e dei Cagliostro.
Quando il Conte di Saint Germain parla dell’atrocità necessaria per conseguire la Grande Opera, allude all’omicidio rituale, che implica la perdita della propria anima: è possibile che sia una citazione della saga di Harry Potter, nella quale il malvagio Voldemort diviene immortale creando gli oggetti mistici Horcrux, proprio compiendo un delitto che fa letteralmente a pezzi la sua anima.
L’ARTE
Ottima prova del sempre abile e versatile Sergio Giardo, che illustra un albo ricco di personaggi impegnativi e di atmosfere assai esigenti: alle cupe ambientazioni parigine da feuilleton novecentesco, che richiedono un uso accorto di ombre e tratteggi, si mescolano momenti più solari come le giocose citazioni delle pagine dedicate a Le Centre, senza trascurare contaminazioni da manga nelle sequenze dedicate a Fujiko (che tradiscono un po’ anche la familiarità di Giardo con le ambientazioni ibride di Nathan Never).
La sontuosa copertina di Giancarlo Alessandrini viene giustamente esaltata dalla accorta colorazione di Alessandro Muscillo, che rende tridimensionalmente giustizia alla ricchezza dei dettagli.
L'INVANA, ETERNA CERCA
Di Cristian Di Biase
Cos'è un capolavoro? Apriamo il dizionario Sansoni e leggiamo: "capolavoro s.m. [pl. capolavori] L'opera migliore di un artista, di un pensatore, di una scuola. // Opera di alto valore estetico. // Cosa fatta in modo eccellente. // Prova pratica effettuata da un operaio per ottenere l'assunzione o una qualifica professionale superiore."
A queste definizioni possiamo aggiungere una considerazione: i capolavori sono sottovalutati dai propri contemporanei.
Stanti così le cose, ci sembra appropriato classificare le Storie da Altrove come capolavori. Vediamo il perché.
Gli albi di questa collana sono senza dubbio quelli in cui Carlo Recagno si esprime più compiutamente e nei quali si percepisce un suo maggiore coinvolgimento: insomma, le Storie da Altrove sono le storie in cui Recagno dà l'impressione di sbizzarrirsi di più. Cosa che non può dirsi sempre per le avventure da lui scritte per la serie regolare di Martin Mystère, ove talvolta ha ceduto, o cede, alla pressione della produzione seriale. Nella "sua" collana annuale, invece, Recagno può pianificare e agire con relativa calma, curando ogni minimo dettaglio.
Passiamo dunque alla seconda e alla terza definizione: i quindici (finora) albi di Storie da Altrove sono opere di alto valore estetico. I quattro sceneggiatori (su tutti Recagno) e i quattro disegnatori al lavoro sin qui hanno fornito, tutti, prestazioni eccellenti. E se è vero che, sul piano testuale, Beretta e Castelli hanno fornito un imprinting indelebile (rispettivamente con il primo e il quarto numero); che, sul piano grafico, i tratteggi gotici di Colombi e Spada erano senza dubbio più sperimentali del raffinato Giardo; e che l'esperimento di crossover del settimo numero (di Recagno ed EspositoBros) è stato uno dei più inusuali del fumetto italiano (la storia, pur indipendente, traeva le fila di un vecchio Special e di una storia di Zagor e proseguiva in un albo della collana Giganti); è vero altresì che da quando si è instaurata la coppia Recagno-Giardo la collana ha compiuto un decisivo salto di qualità.
Di fatto, l'unica storia che vale la pena raccontare è l'eterna sfida fra Uomo e Assoluto. L'Uomo ha un innato bisogno di darsi uno scopo: chi trova la pace dei sensi prima o poi si annoia. "Chi si accontenta, gode" è una mezza verità, giacché gode sul momento, ma, una volta satollo, smette di godere. E di nuovo, daccapo, sente la necessità di dover stare meglio, di migliorarsi. Cerca, quindi, l'Assoluto, il miglioramento definitivo. Che di definitivo ha solo l'essere una chimera, un utopia che si può solo immaginare e mai toccare con mano. Ma di questo all'Uomo - che egli se ne sia reso conto o meno - non importa: l'importante è impegnarsi a cercare qualcosa, a dare uno scopo alla propria esistenza. Ogni narrazione degna di questo nome, sfrondata di contesti, stili e contorni assortiti, ricalca questa Trama cosmica, Assoluta. Il plot è sempre lo stesso, dunque. A fare la differenza sono proprio quei contesti, quegli stili e quei contorni, continuamente riplasmati e riplasmabili a seconda dei gusti dell'autore.
E' quello che accade, ogni anno, nelle Storie da Altrove di Recagno-Giardo. Ed è il motivo per cui chi scrive ne rimane puntualmente affascinato: ogni numero di SdA è una variazione della Trama suprema. Cambia il cast, cambia la location, cambia l'oggetto misterioso di cui protagonisti e antagonisti cercano di impossessarsi; così è la polpa, mentre il succo rimane lo stesso.
La reiterazione dello stesso canovaccio può essere giustificata in diversi modi: scarsità di idee, comodo riciclo; e può generare noia e un calo di interesse nel lettore. Tuttavia il plot può essere uno e uno soltanto: le Storie da Altrove sono fiabe moderne, fra le ultime produzioni a fumetti a svolgere quel ruolo educativo oggi sempre più dimenticato (anche - è il caso di dirlo - dalla serie del BVZM). Come ogni fiaba, ovviamente anche le Storie da Altrove presentano un contorno ludico: guai se così non fosse, per l'Uomo è fondamentale Giocare e tenere la mente impegnata. Le innumerevoli citazioni, l'utilizzo di personaggi famosi, ecc., sono, però, solo la facciata di questi albi, che nascondono, invece, molto di più.
Nell'ultimo numero finora pubblicato svolge un ruolo di primo piano nientemeno che la Grande Opera, il risultato alchemico per antonomasia. O, meglio, il mcguffin per antonomasia: fino a prova contraria, la Grande Opera è quanto di più coincide con la Trama suprema di cui abbiamo parlato sopra: è un qualcosa che non esiste, ma che è fondamentale per chi è alla sua ricerca. Ricerca interiore che l'Uomo compie nel tentativo di migliorarsi fino all'estremo. Non è un caso che l'autore novarese la identifichi con l'immortalità, l'estremo della vita umana. Come non è un caso che la ricerca debba concludersi con un nulla di fatto (Holmes e Lupin non risolvono i propri conflitti interiori), o addirittura con un'involuzione e un incarognimento dell'animo (Cagliostro e nipote).
Verdi-Svengali-musica universale; Poe-Frankenstein-debolezze personali; Einstein-Foscolo-armonia ultraterrena; Holmes-Moriarty-conoscenza; Houdinì-Aldous-lato oscuro; Van Helsing-Olimpia-umanità; D'Annunzio-Kate-buon senso. E' come se ogni anno Recagno riscrivesse Il Pendolo di Foucault, il romanzo definitivo, ludico, metanarrativo e formativo al contempo, costruito sullo scheletro dell'Albero Sefirotico e metaforico risultato della Grande Opera.
Insomma, quali che siano i protagonisti e gli oggetti leggendari, ogni Storia da Altrove racconta, ogni anno, LA storia. Che volere di più?
La risposta (LA risposta?) potrebbe essere: qualcosa di più... semplice.
Il rapporto quantità/qualità media delle Storie da Altrove si divora a colazione quello di Eco: non è una sparata da fanboy, ma la constatazione derivante da un confronto: un romanzo scritto in diversi anni a fronte di 154 pagine di sceneggiatura ogni dodici mesi.
Ma un fumetto va paragonato con un altro fumetto, e non con un fumetto qualunque, bensì con un fumetto che possieda qualche caratteristica comune allo spin-off mysteriano. Di fumetti dal sapore mysterioso ve ne sono diversi in circolazione (fra i più recenti, Hoax Hunters del l'Image e Saucer Country della Vertigo), ma non li prendiamo in considerazione: il paragone fra un comic spillato e un albo bonelliano è infattibile non foss'altro per la diversa consistenza.
A nostro parere, confrontabili con Storie da Altrove sono soltanto due opere (siamo aperti a eventuali segnalazioni):
- Lega degli Straordinari Gentlemen di Alan Moore e Dave McKean ha di recente concluso la quarta storia del ciclo (SdA è a quota quindici), un storia (e un ciclo) il cui succo è lo stesso delle storie recagnane: trattasi, dunque, di un'altra fiaba moderna (ancorché meno legata a vincoli censori), di un'altra Epica del nostro tempo, realizzata, però, in molti più anni di lavoro, a fronte di un numero di pagine comunque minore di quelle che compongono un solo albo di SdA.
- Il Bureau of Paranormal Research and Defense, creato da Mike Mignola nel 1993 (quando la base di Altrove esisteva già da sei anni) per Hellboy e poi divenuto centro di una serie a sè stante, offre lo spunto per storie godibili, che in un secondo piano di lettura nascondono grossomodo il solito succo "fiabesco" protagonista di questo intervento; il ludus di Hellboy e di B.P.R.D., però, è meno denso di quello offerto nelle Storie da Altrove, riconducendosi quasi sempre a scazzottate e ad elementi dalla fruibilità più semplice ed immediata di quella proposta da Recagno.
In sostanza la Lega ed Hellboy sono più vivaci sul piano grafico ed estetico, ma Storie da Altrove funziona bene anche nella sua gabbia bonelliana. Non perde dunque il confronto con i due colossi USA.
Fuoriuscendo nuovamente dal mondo fumettistico, il paragone più immediato è da farsi, comunque, con Doctor Who, un brand tornato agli onori della cronaca grazie al telefilm madre, letteralmente rinato per via del sapiente mix fra apparenza (dialoghi briosi, citazioni, personaggi cool) e sostanza (sì, di nuovo la fiaba e l'epos). Recagno trae tantissima ispirazione dalle avventure del Dottore, ma a nostro avviso non ne è un semplice fanboy. E' un "allievo" che ha perlomeno raggiunto il "maestro", giacché, come detto, Doctor Who è anche 'cool' e gioca sull'apparenza molto più di quanto faccia Recagno nelle sue SdA, nelle quali, stringi stringi, l'uso di personaggi letterari e non è più dimesso di quanto non sembri; tradotto: nonostante gli "strilli" in copertina, nomi quali Sherlock Holmes, Arsenio Lupin o Albert Einstein non attirano le frotte di lettori che l'uso di simili scelte commerciali portano comprensibilmente a sperare. L'Italia è terra di giallisti, di noir e di storie esistenziali, e il fantastico funziona solo nei cinema. Siamo quasi convinti che se fosse pubblicato negli USA Storie da Altrove godrebbe del meritato successo.
Ad ogni modo, è indubbio che la qualità intrinseca di ogni singolo numero di questa collana sia elevata. E che un autore che per molti anni riesce a rimodellare la materia di cui sono fatte le storie (anzi, di cui è fatta LA storia) e la Storia è un autore cui si deve riconoscere notevoli doti. Doti che lo rendono di fatto l'erede naturale di Castelli non per imposizione o mancanza di alternativa, ma per mera meritocrazia. Il che ci riconduce alla quarta definizione di capolavoro, ovvero "Prova pratica effettuata da un operaio per ottenere l'assunzione o una qualifica professionale superiore.".
E a questo punto ci sembra che alle sottovalutate - così da corroborare anche la quinta e ultima definizione - Storie da Altrove non calzi poi male quella parola, capolavoro, e che forse, al suo ventesimo anno di carriera mysteriana, è tempo che si cominci a tenere nella giusta considerazione colui che, in una immaginaria saga, avrebbe intrattenuto i cercatori con le sue storie di maghi, oggetti perduti e morali antropocentriche ed universali.
Postilla sulle citazioni
Per il resto, mi sembra che la prima vignetta di pag.59 sia basata su una o due famose fotografie che ora non riesco a rintracciare. La quarta vignetta di pag.68 è un ricalco/omaggio: ne ricordo almeno una con Martin e Java nella stessa posizione, ma forse si è vista anche su Storie da Altrove in qualche storia di Dante Spada (nel primo o nel quarto numero, credo). Nella prima vignetta di pag.72, la donna mi sembra Adele Blanc-Sec, ma non ne sono sicuro (non riesco a capire se sia Louise Bourgoin); l'uomo al suo fianco l'ho già visto, ma non riesco a collegarlo a nessuno. La trovata della cabina è un topos vecchio, già visto mille volte in Star Trek e in Stargate SG1, ma la sua presenza qui mi dà una strana sensazione in termini di continuity mysteriana: mi viene automatico collegarla ai "saloni di bellezza" atlantidei che usava Kate per tenersi giovane (Martin Mystére n. 226 e n. 300 e SdA8). Difatti, mentre leggevo l'albo per la prima volta, avevo la forte impressione che la "contessa" fosse Kate, in realtà già smentita dalla tempistica (nel 1902 abbiamo visto Kate essere "buona"). Tuttavia non riesco a non pensare che le due vicende siano collegate.
LE ALTRE PIATTAFORME
Sul blog di PostCardCult, Carlo Recagno presenta una guida completa a citazioni e contenuti dell’albo.
Segnaliamo anche tre discussioni sullo stesso argomento.
Non può mancare la discussione sul forum di Agarthi, che è il principale punto d’incontro dei fan del BVZM.
Segue la discussione sul forum di Comicus.
Per finire, la discussione sul forum “Spirito con la scure”.
LE NOSTRE RECENSIONI
Storie da Altrove
Storie da Altrove n. 14, "La donna che cambiò la Storia d'Italia" (2011)
Storie da Altrove n. 13, "La casa che urlava nel buio" (2010)
Almanacco del Mistero
Almanacco del Mistero 2012, "L'ombra di Fantômas" (2011)
Almanacco del Mistero 2011, "Il leone del Transvaal" (2010)
Almanacco del Mistero 2009, "I segreti di Wold Newton" (2008)
Speciale
Speciale Martin Mystére n. 29, "Gli enigmi del giovane Martin" e albetto allegato "La minaccia dei terribili tre!" (2012) Speciale Martin Mystére n. 28, "I dolori del giovane Martin" e albetto allegato "Numeri immaginati" (2011)
Serie regolare
Martin Mystére n. 322, "Congiura nei cieli" (2012)
Martin Mystére n. 318, "La terza stirpe" (2011)
Martin Mystére n. 317, "Longitudine zero" (2011)
Martin Mystére n. 315, "Con la coda dell'occhio" (2011)
Martin Mystére n. 300, "I Sette Signori dell'Iride" (2008)
Martin Mystére n. 299, "Il segreto di Giovanna d'Arco" (2008)